giovedì 31 maggio 2012

Traghetti: collezione fotografica a partire dai primi del '900



FACENDO LEZIONE CON ALCUNI MIEI ALUNNI, MI SONO ACCORTO CHE NON IMMAGINAVANO LA POSSIBILITA' DI IMBARCARE UN TRENO SOPRA UNA NAVE...
ECCO QUI UNA BELLA RASSEGNA FOTOGRAFICA CON PIU' DI 100 ANNI DI STORIA DEI TRAGHETTI ITALIANI CHE COLLEGANO LA CALABRIA CON LA SICILIA....
BUON DIVERTIMENTO.

martedì 29 maggio 2012

Italo Calvino: l'ironia...

La vita di Italo Calvino è quella di un uomo che «con la sua immaginazione e il suo lavoro» ha voluto contribuire «all'autocostruzione continua dell'universo» che vedeva già decadente.





 

Italo Calvino nasce, il 15 ottobre 1923, a Santiago de Las Vegas, un villaggio vicino all'Avana (Cuba), dove il padre dirige una stazione sperimentale di agricoltura e una scuola d'agraria. Dal padre agronomo e dalla madre botanica riceve un'educazione rigorosamente laica.
Nel 1925 la famiglia Calvino ritorna in Italia, e si stabilisce a San Remo, nella Villa Meridiana che ospita la direzione della Stazione Sperimentale di Floricoltura, dove Calvino vive «fino a vent'anni in un giardino pieno di piante rare ed esotiche».

Compiuti gli studi liceali, Italo Calvino viene avviato dai genitori agli studi di Agraria, che non porta a compimento. Per quanto, infatti, tenti di seguire la tradizione scientifica familiare, ha già «la testa alla letteratura». Inoltre, a interrompere gli studi si intromette la guerra. Dopo l'8 settembre 1943, Calvino si sottrae all'arruolamento forzato nell'esercito fascista, e assecondando un sentimento che nutriva fin dall'adolescenza, si aggrega ai partigiani della Brigata Garibaldi, e fa così «la prima scoperta del lancinante mondo umano».
Dopo la liberazione, aderisce al Partito Comunista Italiano, collabora a giornali e riviste, e si iscrive alla Facoltà di Lettere di Torino, dove nel 1947 si laurea con una tesi su Joseph Conrad. A Torino collabora al «Politecnico» di Vittorini, ed entra a far parte del gruppo redazionale della casa editrice Einaudi. In quell'ambiente «interdisciplinare, aperto alla cultura mondiale», matura la sua vocazione a «scrivere pensando ad uno scaffale di libri non solo di letteratura».
Nel 1947 esordisce come scrittore, pubblicando, grazie a Cesare Pavese, Il sentiero dei nidi di ragno. A questo romanzo, con cui si rivela il più giovane e dotato tra gli scrittori neorealisti, segue il volume di racconti Ultimo viene il corvo (1949).
Negli anni Cinquanta e Sessanta svolge le funzioni di dirigente nella casa editrice Einaudi e intensifica sempre più la sua attività culturale e il suo impegno nel dibattito politico-intellettuale, collaborando a numerose riviste.
Inoltre si impone nel panorama letterario italiano, come il più originale tra i giovani scrittori, in seguito alla pubblicazione della raccolta dei Racconti (1958), e soprattutto del volume I nostri antenati (1960), che comprende la trilogia di romanzi fantastici e allegorici sull'uomo contemporaneo: Il visconte dimezzato (1952), Il barone rampante (1957), e Il cavaliere inesistente (1959). In questi anni pubblica anche l'importante saggio Il midollo del leone (1955), e raccoglie e traduce Le fiabe Italiane che pubblica nel 1956, anno in cui i fatti di Ungheria provocano il suo distacco dal PCI e lo conducono progressivamente a rinunciare a un diretto impegno politico.
Tra il 1959 e il 1967 dirige, insieme a Vittorini, l'importante rivista culturale letteraria «Il Menabò», in cui pubblica interventi caratterizzati da un impegno di tipo etico-conoscitivo, quali Il mare dell'oggettività (1959) e La sfida del labirinto (1962). Nel 1963, anno della Neoavanguardia, pubblica, oltre a Marcovaldo ovvero Le stagioni in città, il racconto costruito ancora su schemi di tipo tradizionale La giornata di uno scrutatore, con cui si chiude il ciclo apertosi all'incirca un decennio prima.
Nel 1964 si apre una nuova fase della vita e della carriera di Italo Calvino: sposa l'argentina Judith Esther Singer e si trasferisce a Parigi, da dove continua a lavorare per l'Einaudi, e dove viene a contatto con gli ambienti letterari e culturali più all'avanguardia. Nel 1965 nasce la figlia Abigail, ed esce il volume Le Cosmicomiche, a cui segue nel 1967 Ti con zero, in cui si rivela la sua passione giovanile per le teorie astronomiche e cosmologiche. Il nuovo interesse per le problematiche della semiotica e per i processi combinatori della narrativa trova espressione anche ne Le città invisibili (1972), e ne Il castello dei destini incrociati (1973). Intanto cresce il suo successo e il suo prestigio in tutto il mondo.
Negli anni Settanta — anni in cui nutre una residua speranza nella ragione, pur avvertendo un degradarsi generale della vita civile italiana e mondiale — Calvino pubblica numerosi interventi, prefazioni e traduzioni in molte lingue, e collabora prima al «Corriere della Sera», poi alla «Repubblica». Nel 1979 esce il romanzo Se una notte d'inverno un viaggiatore, che diviene subito un best seller.
Nel 1980 si trasferisce a Roma, e pubblica una raccolta dei suoi saggi più importanti, Una pietra sopra. Nel 1983 escono i racconti di Palomar, ricchi di disillusa amarezza. Nel 1984 la crisi della casa editrice Einaudi lo induce a passare all'editore Garzanti, presso cui pubblica il volume Collezione di sabbia, oltre alla riedizione delle sue opere più importanti.
Nel 1985, avendo ricevuto l'incarico di tenere una serie di conferenze negli Stati Uniti a Cambridge, alla Harvard University, prepara le Lezioni Americane, che tuttavia rimarranno incompiute e saranno edite solo postume nel 1988. All'inizio di settembre, infatti, Italo Calvino muore all'ospedale di Siena, colpito da un'emorragia celebrale.
Nel maggio 1986 presso Garzanti esce Sotto il sole giaguaro, il primo libro postumo di Calvino. Il volume raggruppa tre racconti: Il nome, Il naso, Sotto il sole giaguaro e Un re in ascolto. Calvino intendeva scrivere un testo dedicato ai cinque sensi. La morte gli impedì di completare i racconti dedicati alla vista e al tatto.


sabato 26 maggio 2012

Giro archeologico di Ostia Antica



CHI HA SEGUITO I MIEI CORSI DI LINGUA E CULTURA ITALIANA, SA QUANTO SONO AFFEZIONATO A QUESTO POSTO.
QUI, UN PICCOLO DOCUMENTARIO DI QUINDICI MINUTI SU QUESTA LOCALITA' VICINISSIMA A ROMA E SOPRATTUTTO ALL'AEROPORTO DI FIUMICINO. BUONA VISIONE...

venerdì 25 maggio 2012

mercoledì 23 maggio 2012

Raoul Casadei - La mazurka di periferia



SU SUGGERIMENTO DELLA MIA COLLEGA E AMICA YAMICELA...

LA MAZURKA E' UN RITMO FAMOSO DEL CENTRO ITALIA, PARAGONABILE ALLA TARANTELLA NAPOLETANA.

Pasta ricetta: Tagliolini verdi con gamberi e limone.



Una ricetta semplice, semplice, ma buonissima. Visto l'orario....

martedì 22 maggio 2012

Portovenere: tra La Spezia e le Cinque Terre



UN POSTO STUPENDO DOVE HO LASCIATO TANTI RICORDI E ANCHE UN'OTTIMA BIRRERIA...

AMATO SIA DAL PETRARCA CHE DA LORD BYRON CHE ANDAVA A NUOTO DA QUI A LERICI (45 MINUTI DI TRAGHETTO!!!).

QUI GIRARONO ANCHE UN FILM CON GREGORY PECK (NEL SECOLO SCORSO...), IL CUI TITOLO E'  "I CANNONI DI NAVARONE".

BEH, BUONA VISIONE...

mercoledì 16 maggio 2012

Adriano Celentano: il ragazzo che non sa parlar d'amore...





 6 gennaio 1938 Adriano nasce a Milano nella mitica via gluk al numero 14. I suoi genitori sono pugliesi, trasferitisi al nord per lavoro. Lasciata la scuola, svolge alcuni lavori tra cui l’orologiaio. Nulla fa presagire quello che accadrà in seguito, fino alla storica data del 18 maggio 1957: al palazzo del ghiaccio di Milano c’è il primo festival italiano del rock&roll, Adriano vi partecipa con il pezzo “ciao ti dirò” accompagnato da Giorgio Gaber, Luigi Tenco, Enzo Jannacci. Il festival si conclude con un grande trionfo per Adriano. Comincia così ad esibirsi come comico e imitatore nei cabaret milanesi. Gli bastano tre o quattro 45 giri per trasformarsi nel protagonista più idolatrato (e spesso più criticato) della canzone italiana. Popolarissimo già come "rocker", diventa in seguito interprete di singolari ballate ispirate ai generi più vari (musica soul, tango, valzer, shimmy) e, a partire dal 1965 si dedica con lo stesso successo anche al cinema, tanto come regista (Super rapina a Milano), quanto come interprete (Serafino, 1968, di P. Germi), rivelando davanti alla macchina da presa una singolare vena comica, favorita dall’aria sorniona e dalle sue doti di "molleggiato". Colleziona in circa 40 anni una serie impressionante di successi discografici, ma anche come attore non scherza. Lo ricordiamo in "Bianco, rosso e..." (1972), di A. Lattuada, in "Rugantino" (1973), in "Qua la mano" (1979), in "Il bisbetico domato" (1980), in "Segni particolari: bellissimo" (1988), e come regista in "Yuppi Du" (1975), "L'altra metà del cielo" (1976), "Geppo il folle". Nell’inverno 1987-1988 ha voluto scommettere anche sulla propria popolarità televisiva, accettando di condurre il varietà del sabato sera, "Fantastico 8". Ne sono sortite pagine intere sui quotidiani, una valanga di polemiche, ma soprattutto "picchi" di audience da record e un ennesimo successo discografico. Sono molte le canzoni che lo consegnano alla storia della canzone italiana. Alcune poi sono piccoli gioielli, come "Azzurro", "Una carezza in un pugno" e "Il ragazzo della via Gluck". Tra le incisioni più recenti ricordiamo album come "La pubblica ottusità" (1989), "Il re degli ignoranti" (1991) e "Quel punto" (1994), ma sul mercato discografico continuano ad occupare uno spazio rilevante tutti i dischi del suo lungo catalogo e diverse antologie di largo successo come il recente "Le origini di Adriano Celentano".
Nel 1999 pubblica il cd "
Io non so parlar d'amore" nato dalla collaborazione con Mogol, per i testi, e Gianni Bella per le musiche.
Nel 2000 realizza per la Rai un programma dal titolo "Francamente me ne infischio", in cui accosta musica, con la partecipazione di moltissimi artisti italiani ed internazionali, e temi sociali, scatenando polemiche per la durezza di alcuni immagini trasmesse. A novembre dello stesso anno pubblica il nuovo album nato dalla fortunata collaborazione con Mogol e Gianni Bella, "
Esco di rado (e parlo ancora meno)".
Nel 2003, esce il cd
Per sempre approdato nei negozi sulla scia dello straordinario successo ottenuto dai due precedenti album.
Ultima fatica è l'album "C'è sempre un motivo" (2004) che contiene anche un brano indedito di
Fabrizio De André intitolato "Lunfardia", cantata nel dialetto di Buenos Aires.
La situazione di mia sorella non è buona
Il 26 novembre 2007 su Raiuno Celentano torna in diretta con uno spettacolo in prima serata dal titolo La situazione di mia sorella non è buona, dove per "sorella" il Molleggiato intende il pianeta Terra (citando San Francesco d'Assisi della poesia del Cantico delle Creature (1215); e dove realizza una sorta di film in diretta tv cantando dal vivo alcuni stralci delle nuove canzoni dell'album), a suo parere "la trasmissione più difficile da fare" della sua carriera. Il programma è stato visto da 9.200.000 telespettatori con il 33% di ascolto. Per festeggiare i suoi settant'anni e i cinque decenni di attività, la Rai ha organizzato per sabato 5 gennaio 2008 uno speciale, in onda sulla rete ammiraglia, dal titolo "Buon Compleanno Adriano". La trasmissione, pur dedicata esclusivamente alla riproposizione di spezzoni di trasmissioni passate del "Molleggiato", ha fatto registrare il 28,65% di ascolto.

Dal vivo dopo quattordici anni
Adriano riappare in pubblico sabato, 8 marzo 2008, per festeggiare il centenario dell'Inter, squadra di cui è notoriamente affezionato tifoso. Allo stadio "G. Meazza" di Milano, subito dopo il fischio finale della partita vinta dai nerazzurri sulla Reggina per 2-0, il "Molleggiato" entra in campo con tanto di chitarra in mano e sciarpa della "Beneamata" al collo, si esibisce cantando "Il ragazzo della via Gluck" modificata nell'ultima parte del testo con invettive politiche. Finita l'esibizione aspetta in ginocchio il presidente interista Massimo Moratti, e con quest'ultimo intona alcune strofe di "Sei rimasta sola". «Cantare con Celentano - ha sorriso Moratti - è come giocare con Pelé: fantastico».

L'esibizione infiamma i tifosi interisti, ma anche tutti i fan di Celentano, tornato, così, ad esibirsi dal vivo dopo ben 14 anni. Il 24 ottobre 2008, il "profeta cantante" lancia sul web un nuovo singolo, dal titolo "Sognando Chernobyl", attraverso un video-clip della durata di circa 2 minuti e mezzo. In realtà, si tratta dell'anticipazione di una suite di oltre dieci minuti, in cui Adriano lancia un messaggio forte ai potenti del mondo contro quei fenomeni che distruggono il pianeta. Emblematico e "catastrofico" il ritornello della canzone: «Tutti quanti insieme salteremo in aria bum». "Sognando Chernobyl", è il primo di due singoli inediti, presenti nel nuovo "best-of" di Celentano, uscito il 28 novembre 2008.
L'animale

A fine 2008 è uscito prima della Vigilia di Natale il disco di Celentano, L'animale. La compilation è formata da due CD, uno con le canzoni d'amore e uno con quelle 'contro'. Entrambi i CD contengono 14 tracce vecchie e nuove. Nel primo si trova l'inedito La cura, canzone di Battiato che Celentano ripropone cantata da lui. Ci sono vecchi classici come Storia d'amore e pochi inediti. Il secondo invece ha più novità: si parte dalla canzone Sognando Chernobyl ad Il ragazzo della via Gluck. C'è anche un curioso remix di Prisencolinensinainciusol rivisitato e più moderno, ma con lo stesso ritmo e testo.
Il ritorno alle scene e il nuovo album
Nel 2011, in occasione del referendum sull'abrogazione dell'energia nucleare e delle elezioni comunali; Celentano torna a farsi sentire sulla questione nucleare, lanciando appelli a favore del sì sul Corriere della Sera(il referendum chiedeva di votare si per abrogare il nucleare) e intervenendo a più riprese, in collegamento telefonico e video, alla trasmissione "Annozero" di Michele Santoro; durante la quale si schiera a favore del candidato sindaco di Milano Giuliano Pisapia.

A settembre giunge la notizia dell'imminente uscita del nuovo album di inediti del Molleggiato, a distanza di quattro anni da "Dormi amore, la situazione non è buona". L'album, intitolato "Facciamo finta che sia vero", esce ufficialmente il 29 novembre; anticipato dalla diffusione in radio del singolo "Non ti accorgevi di me" e dall'apertura su Facebook della pagina ufficiale dedicata al Molleggiato. Dal 2 dicembre viene trasmesso dalle radio il secondo singolo "Non so più cosa fare", brano cantato a quattro voci da Celentano, Franco Battiato, Jovanotti e il leader dei Negramaro Giuliano Sangiorgi.
Il 3 dicembre, in occasione di un concerto di beneficenza organizzato da Beppe Grillo per gli alluvionati di Genova, Celentano torna ad esibirsi in pubblico; cantando "Il ragazzo della via Gluck".
Sanremo 2012
Il 13 dicembre viene divulgata la notizia, da parte del direttore artistico (poi dimissionario) Gianmarco Mazzi, della partecipazione certa di Celentano alla sessantaduesima edizione del Festival di Sanremo, in qualità di ospite. A causa delle molte polemiche suscitate dal suo alto compenso, si dichiara che esso sarà devoluto, interamente, in beneficenza.



lunedì 14 maggio 2012

DE CHIRICO: NOSTALGIA DELL'INFINITO

PROSEGUIAMO IL NOSTRO VIAGGIO NEL '900 ITALIANO CON UN GRANDISSIMO ARTISTA:  GIORGIO DE CHIRICO





Nasce il 10 luglio del 1888 a Volos, capitale della Tessaglia (Grecia).

Il padre era un ingegnere palermitano incaricato di costruire la rete ferroviaria locale e la madre era una nobildonna genovese.
Assecondato dal padre nella sua predisposizione alla pittura a 12 anni si iscrive al Politecnico di Atene, dove frequenta per due anni la scuola di disegno e pittura e prende le prime lezioni di disegno dal pittore greco Mavrudis.
Proprio ad Atene De Chirico realizza il suo primo quadro dal titolo "Natura morta con limoni".
Nel 1905 muore il padre e l'anno dopo la famiglia De Chirico si trasferisce in Germania dove Giorgio frequenta l'Accademia di Belle Arti, entra in contatto con la cultura tedesca, legge Schopenauer e Nietzsche, si appassiona alla pittura antica e studia il pittore simbolista svizzero Arnold Böcklin. Trasferitosi a Firenze, due anni dopo il ritorno in Italia, subisce l'influenza di Giotto e della pittura primitiva toscana, indirizzandosi verso una pittura ricca di impianti prospettici e di costruzioni a forma di arcate.
Nascono così i suoi primi quadri metafisici gli "Enigma" dove cerca di mettere su tela le sensazioni che vive, la malinconia delle belle giornate d'autunno, i pomeriggi nelle città italiane.
Nell'estate del 1911 Giorgio De Chirico si trasferisce con la madre ed il fratello Alberto a Parigi dove a contatto con gli ambienti dell'avanguardia artistica e culturale francese, inizia la sua carriera artistica.
Alla ricerca di un suo linguaggio, dipinge soggetti vari, con base comune la visione onirica. non lasciandosi però influenzare dal cubismo, né dalle correnti pittoriche d'avanguardia con le quali viene in contatto.
Le opere di Giorgio De Chirico vengono notate da Pablo Picasso e dal poeta Guillaume Apollinaire e grazie alla loro amicizia entra nella cerchia degli artisti ed intellettuali parigini.
Nelle sue opere il pittore supera la concezione estetica dell'arte figurativa, ricercando nuove forme espressive non necessariamente collegate alla congruità degli elementi rappresentati, assembla gli oggetti e li immerge in atmosfere e visioni mentali improbabili.
In occasione di una mostra di trenta opere, Apollinaire recensisce le opere di De Chirico utilizzando per la prima volta il termine "
metafisico".
Pubblico e critica sono d'accordo nell'elogiare le sue qualità creative, i quadri del giovane Giorgio De Chirico vengono fotografati e commentati da tutti i giornali dell'epoca.
Allo scoppio della Prima Guerra Mondiale, i due fratelli De Chirico rientrano in Italia, ma il pittore continua a mantenere stretti rapporti con l'ambiente parigino ed entra in contatto con il movimento Dada.
Ritenuto inadatto per il fronte viene occupato in un lavoro in ospedale, cosa che gli permette di continuare a dipingere ed frequenta l'ambiente artistico di Ferrara dove conosce Filippo De Pisis e
Carrà, ricoverato in un ospedale militare.
Nel 1916 , Giorgio De Chirico dipinge i suoi primi "Ettore e Andromaca" e "Le Muse inquietanti" , precisando i canoni della "Pittura Metafisica", teorizzata poi sulla rivista "Valori Plastici".
Nel 1918 De Chirico ottiene il trasferimento a Roma dove collabora a "Valori Plastici" ed espone nelle sale del giornale "Epoca" insieme a Prampolini, Carrà e Soffici.
Nel 1919 presenta la sua prima mostra personale alla Galleria d'Arte di Anton Giulio Bragaglia, pubblica lo scritto "Noi metafisici", ma nelle sue opere comincia ad affiorare l'interesse per la pittura rinascimentale e barocca.
Le associazioni stranianti ed emblematiche che Giorgio De Chirico inventa, elaborando con straordinaria fantasia temi di misteriosa magia poetica, procurano all'artista un periodo ricco di esposizioni in tutta Europa ed in particolare in Francia riscuotendo crescente successo.
Le visioni architettoniche, piazze d'Italia, statue solitarie, oggetti assurdamente avvicinati da inquietanti suggestioni, i manichini che riempiono gli spazi pittorici di De Chirico vengono apprezzati dai Dadaisti e dai Surrealisti, quale fonte delle loro ricerche e creazioni, ma anche dagli artisti tedeschi del "Realismo Magico", quelli del "Bauhaus" e della "Nuova Oggettività".
Fra il 1920 ed il 1924 vive tra Roma e Firenze, mentre nella sua pittura si fa sempre più sentire una originale e romantica interpretazione della classicità ed un interesse per la grande tecnica degli antichi maestri rinascimentali.
Giorgio De Chirico impara dal pittore russo Locoff la tecnica della tempera grassa verniciata e dipinge le serie delle Ville romane, dei Figliol prodigo e degli Argonauti, partecipando a varie importanti esposizioni.
Tornato a Parigi nel 1925 è attaccato dai Surrealisti per la sua nuova pittura, nel 1928, tiene  una personale prima a New York, e poi a Londra.
In questi anni, oltre alla pittura, De Chirico si dedica alla scrittura: pubblica il romanzo in francese "Hebdòmeros" nel 1929 e, frequentando il mondo della moglie sposata qualche anno prima, l'attrice russa Raissa Gurievich Kroll, si occupa di scenografie per spettacoli teatrali e balletti.
Il
Futurismo cercava un modo per rappresentare il movimento e la velocità, mentre De Chirico e la Metafisica volevano dipingere una dimensione dove ogni cosa apparisse assolutamente immobile e quasi senza tempo.
I principali esponenti della Pittura Metafisica con De Chirico, sono gli italiani Carrà, Morandi, Casorati, Sironi, Martini, Marini e Tosi.
Negli anni '30 Giorgio de Chirico continua a produrre nuove opere, ampliando i temi della sua arte: dipinge quadri i cui temi vanno dall'Archeologia, ai cavalli, ai Gladiatori e vengono esposti nelle più importanti gallerie d'arte sia in Europa che in America.
Mentre il suo matrimonio è in crisi incontra Isabella Far, che diventerà nel 1952 la sua seconda moglie, gli starà vicino fino alla morte e diventerà curatrice delle opere del maestro e custode della sua memoria.
Anche se la migliore produzione di De Chirico è da ricercare nel periodo che va dal 1909 al 1919, il periodo strettamente metafisico, anche gli anni della maturità artistica del pittore sono ricchi di lavori sui temi che gli sono cari.
Dopo la seconda Guerra Mondiale, il pittore collabora con il Teatro Comunale di Firenze, l'Opera di Roma e il Teatro alla Scala di Milano, si occupa di grafica dedicandosi all'illustrazione e disegna le scene per il balletto Don Giovanni di
Strauss.
Fra il '46 ed il '47 Scoppia uno scandalo: De Chirico dichiara falsi i dipinti degli anni '20 e '30 facenti parte della retrospettiva organizzata preso la galleria Allard di Parigi, contesta la Biennale di Venezia e vengono scoperti moltissimi quadri falsi con la sua firma.
Negli anni '50 e '60 il pittore dipinge, in costante opposizione con le tendenze dell'arte contemporanea, nature morte, paesaggi, ritratti ed interni.
Si interessa nuovamente di scenografia e comincia a dedicarsi alla pratica della scultura in bronzo trattando temi mitologici.
In seguito queste sculture verranno realizzate anche argentate e dorate e De Chirico le trasformerà in gioielli.
Negli ultimi anni della sua vita il pittore si dedica alla litografia di opere importanti quali "I promessi sposi", l"Apocalisse" ed il suo romanzo "Hebdomeros", partecipa a grandi retrospettive in tutto il mondo, persino in Giappone.
Il 20 novembre 1978, dopo una lunga malattia, Giorgio De Chirico muore a Roma,
nella sua casa a Piazza di Spagna. Le sue spoglie sono conservate nella Chiesa Monumentale di San Francesco a Ripa, a Roma.


mercoledì 9 maggio 2012

EUGENIO MONTALE: L’INQUIETUDINE DEL POETA...


 
La vita di Eugenio Montale è la vita di un uomo schivo, distaccato e disilluso verso se stesso e la propria stessa esistenza: scrivendo «sempre da povero diavolo e non da uomo di lettere professionale», diviene uno dei massimi rappresentanti della poesia e della cultura contemporanea.                                                                                                                                       Vince il Nobel nel 1975.





Una nuova intensità derivante da una continua ricerca nelle cose e nelle parole di un legame con la situazione umana, originato anche dalla forza di un linguaggio fortemente ancorato al presente; Eugenio Montale individua così il suo punto di equilibrio tra la letteratura e il quotidiano, uno spazio non rifiutato, ma vissuto con un sereno distacco lontano dal turbinoso mutare dei tempi e del significato esistenziale.

Genovese di nascita — la città ligure gli diede i natali il 12 ottobre del 1896 —, Montale nutriva una forte passione per la letteratura e la poesia, approfondite in maniera irregolare e sulla spinta della sete di conoscenza lungo l’arco di tutta la sua vita. Sergio Solmi, Bobi Bazlen e i triestini — Italo Svevo e Umberto Saba —, passando da Ezra Pound e la tanto amata letteratura inglese: furono questi gli autori che segnarono i primi approcci artistici di Montale fino al periodo fiorentino e alla nomina a direttore del Gabinetto Viesseux a Firenze, città che lo vide tra i suoi più brillanti intellettuali negli anni dal 1929 al 1938. Il suo rifiuto di aderire al partito fascista lo costrinse ad abbandonare la prestigiosa carica e dedicarsi ad attività di traduzione, inframmezzata da collaborazioni con alcune riviste. Durante la seconda guerra mondiale fu richiamato alle armi, ma ben presto fu congedato e visse il periodo dell’occupazione nazista a Firenze. Dopo la liberazione si iscrisse al partito d’azione, ma la sua militanza politica durò poco a causa della delusione provata nell’osservare come tutte le speranze in un cambiamento si riducevano allo scontro tra la sinistra e il clericalismo, a discapito di quanti auspicavano una svolta liberista di stampo europeo, che portasse alla nascita di un’Italia aliena dai retaggi nazionalistico-provinciali e proiettata in un orizzonte di più ampio respiro.

Montale indaga l’uomo e il suo isolamento nel mondo, osservati anche rispetto al fluire di natura e storia, come insegnavano i filosofi esistenzialisti e i poeti francesi — Charles Baudelaire innanzitutto — e inglesi e americani — Robert Browning, Thomas Stearns Eliot ed Ezra Pound —. La grandezza del poeta genovese risiede in quella straordinaria abilità nel tentare di comprendere l’occidente a lui contemporaneo e i cambiamenti che le arti e il sociale avevano subito dallo svilupparsi di una cultura massificata di carattere planetario. Egli aspira a essere una voce laica, razionale, italiana ed europea, pronta a sondare anche gli aspetti più terrificanti del presente con la consapevolezza, di fronte ai sinistri presagi del futuro, dei suoi limiti e dell’inarrestabile corsa degli eventi.

Una straordinaria capacità di comprensione rese Montale un acuto lettore e critico dei libri più disparati, esaminati razionalmente per andare a scovare al loro interno le tracce della condizione umana e della forza della conoscenza. L’arte, la parola, l’atto del comunicare erano per il poeta dotati di concretezza, perciò, radicati nell’esistenza individuale e proiettati in un ambito storico e collettivo, divenendo così concreti e influenti. La sua poesia nasce dalla comprensione dei limiti ad essa connessi, dalla presa di coscienza della contemporaneità, vista come una minaccia nei confronti dell’arte, in pericolo non a causa della povertà del linguaggio, ma travolta dalle tante e troppe parole che albergano nel mondo. L’unica risposta possibile è la poesia del confronto con la fine, degli aspetti umani e civili positivi e, soprattutto, degli oggetti: concreti rivelatori del senso interno delle cose, nel solco di Eliot e della nuova vitalità di simbolo e allegoria.

Montale è allo stesso tempo influenzato dalla tradizione poetica italiana, rivista alla luce di un rapporto differente, diretto e vitale, dal quale trarre i necessari presupposti per comprendere la condizione moderna. Tradizione e contemporaneità viaggiano su di un binario parallelo che porta a un linguaggio poetico perfetto, essenziale, ma denso e profondo

Ossi di seppia, dato alle stampe nel 1925, è il primo esempio di questo tipo di poesia generata da un’emozione intima ed espressa attraverso l’essenzialità degli oggetti e del linguaggio. Montale cerca nuove forme, ma non esita nella sperimentazione dei metri tradizionali, raggiungendo un eccellente risultato di linearità sintattica; i toni sublimi si trasformano in concretezza e la parola diventa precisa, tecnica nelle designazioni per diventare poi ironica e colloquiale in virtù di un abbassamento del linguaggio. Montale è una voce immersa nel paesaggio, ma non direttamente partecipante alla vita, interrogata attraverso segni, forme, suoni e movimenti, scanditi dal procedere del tempo. La vita diventa così inafferrabile, vuota e reale, disgregandosi in un continuo equilibrio con l’io e la sua distanza che si risolve in angoscia e rovina.

Le occasioni, pubblicate nel 1939 da Einaudi, ridimensionano la riflessione esistenziale della precedente poetica, la parola punta la sua attenzione sugli oggetti, tralasciando qualsiasi aspetto meditativo e problematico per concentrarsi sul susseguirsi di immagini nette, frutto anche di un forte impatto di suoni, parole e frasi. La poetica diventa complicata, ardua, impenetrabile, portatrice di un messaggio volutamente occulto, mostrandosi, però, tesa alla ricerca del contatto con l’altro che diventa una donna persa o irraggiungibile, o la lontananza del tempo e il suo rievocare esperienze, oggetti e immagini sbiadite nella memoria e ormai trascorse e intangibili. La donna rappresenta la salvezza, il riscatto del poeta da questo vivere e dall’avvicinarsi, annunciato dalla volgarità e dalla mediocrità del presente, della catastrofe; essa è reale in alcuni casi, mentre in altri rivela le tracce di persone diverse, restando, comunque, l’ultimo baluardo contro il precipitare degli eventi.

La bufera e altro, terza raccolta poetica di Montale risalente al 1956, contiene poesie pubblicate precedentemente in alcune riviste e scritte tra il 1940 e il 1954. La struttura aperta dell’opera tradisce un intento romanzesco di prossimità con la Vita Nuova dantesca, nella quale il presente si intreccia con l’amore per una donna salvatrice. La Beatrice di Montale è moderna, ostile e amorevole, lotta contro la violenza e il degrado, permettendo al poeta di riconoscersi e affermare la strenua resistenza della poesia, confrontandosi con il mondo e la sua diffidenza. Questa figura femminile si muove in un ambito enigmatico, cambia qualità e nomi, lanciando segnali contrastanti al poeta, al cui elegante verso giocosamente si nasconde. Le figure femminili si intrecciano anche alle diverse situazioni storiche in atto: il passaggio dalla speranza della fine della guerra a un dopoguerra angoscioso e sinistro diretto verso la fine della civiltà.

Al termine di un lungo periodo di silenzio poetico, negli anni ’60 Montale ritorna con una nuova poesia, più diretta, quasi dimessa, assolutamente lontana dal tono alto ed essenziale della poetica precedente. La parodia, l’ironia, la diversità di stili prendono il posto della tensione lirica per mostrarsi completamente attraverso una revisione della propria poetica, ora degradata a un livello più basso. La nuova arte si mostra semplice solo in apparenza, assumendo su di sé il vuoto delle banalizzazioni con disincanto e ironia, ma conservando come suo punto di riferimento la memoria. Il passato si confronta con se stesso e il presente in una nuova dimensione, nella quale il contemporaneo è ancora più angoscioso, tra la perduta giovinezza e l’attuale vecchiaia come scoperta della precedente condizione e del suo significato. La voce di Montale sopravvive perché non può accettare il mondo, costretta a negarsi sottraendosi alla propria identità e alla verità. Satura, raccolta uscita nel 1971, sarà il primo risultato di questa nuova poetica, di cui una parte era già stata pubblicata dieci anni prima, e il suo influsso resterà tale anche nelle composizioni degli ultimi anni, dove il poeta, sfuggendo al presente, osserva i dissensi, il disordine e la confusione di una vita artefatta.

È il cosiddetto secondo Montale, quello che afferma di avere aperto ai suoi lettori, Il retrobottega della sua poesia. Nell'intervista Francesca Ricci, autrice della prima opera di esegesi del Diario del '71 e del '72, parla delle 90 schede, una per ogni poesia, che costituiscono il suo commento integrale a questa raccolta.

Anche in Quaderno di quattro anni, così come in generale in Montale in questa fase della sua vita, si riconoscono i temi trattati in precedenza dal poeta, in relazione alla vita e alla morte, al tempo e alla memoria e ai ricordi personali, che proiettano un senso inquietante sulla vita, in modo particolare nelle composizioni: Vivere, Sul lago d’Orta, Ai tuoi piedi, In negativo, Fine di settembre, Dormiveglia, I Miraggi e Morgana.

«È ancora possibile la poesia?» — si chiedeva Montale — «In un mondo nel quale il benessere è assimilabile alla disperazione e l’arte, ormai diventata bene di consumo, ha perso la sua essenza primaria?». Questa domanda, rivolta all’Accademia di Svezia il 12 dicembre del 1975, durante la cerimonia di consegna del premio Nobel, lo colloca quale spirito antesignano rispetto ad un futuro, oggi reale, inquietante e problematicamente terrificante, da lui individuato e scandagliato con anticipo impressionante.

domenica 6 maggio 2012

FABRIZIO DE ANDRE' : LA POESIA IN MUSICA


IL NOSTRO VIAGGIO NELL’ITALIA LETTERARIA CONTINUA CON FABRIZIO  DE ANDRE’. CANTAUTORE,  INTELLETTUALE   E ... ALTRO,  LEGATO IDEALMENTE AI DUE AUTORI GIA’  TRATTATI:  PASOLINI   E   PAVESE.





IL PESCATORE      http://youtu.be/6e0jMmmy2yc

CREUZA DE MA    http://youtu.be/Mq1wJcQlDZY

UNA STORIA SBAGLIATA     http://youtu.be/KYNAeLp8IWg  (canzone su Pasolini)



Un cantautore, un poeta, un intellettuale libero: un uomo che si è mosso, come egli stesso diceva, “in direzione ostinata e contraria” .

Quella che vogliamo raccontare è la storia di un poeta del suo tempo, attraverso la testimonianza di Dori Ghezzi, sua compagna di una vita, degli amici e dei collaboratori che gli sono stati vicino.

Queste le parole della moglie Dori Ghezzi: “Non credo che sapesse quanto era amato: è stata una sorpresa per tutti; molti l’hanno scoperto dopo la sua assenza. I suoi testi esistono, la sua voce la ascoltiamo, ma la voce che conosco, quando mi parlava, mi manca tanto. Il suo mondo l’aveva dentro di sé.”



La giovinezza
Fabrizio Cristiano De André nasce a Genova il 18 febbraio 1940.

La leggenda vuole che, sul grammofono di casa, il professor Giuseppe De André, per alleviare le doglie della moglie, mettesse il Valzer campestre di Gino Marinuzzi, da cui anni dopo Fabrizio avrebbe tratto spunto per uno dei suoi primi brani, “Valzer per un amore”.

Durante la Seconda Guerra mondiale, Fabrizio trascorre i primissimi anni della sua vita nella casa di campagna di Revignano d'Asti con la madre, Luisa Amerio, il fratello Mauro e le due nonne, mentre il padre è costretto alla macchia per sfuggire ai fascisti. Quel breve periodo è per Fabrizio uno dei più importanti e formativi: sia per il tipo di vita che conduce, che per alcuni incontri determinanti, come quello con il fattore Emilio Fassio, che gli trasmette l'amore per gli animali e per un ambiente che Fabrizio ricercherà per tutta la vita. L'infanzia a Revignano d'Asti e i personaggi che la popolano - come la piccola Nina Manfieri (cui molti anni dopo dedicherà la canzone “Ho visto Nina volare”) o i contadini Emilio e Felicina Fassio - rimarranno di ispirazione fino alla sua ultimissima produzione.

A guerra finita, la sua famiglia vuole ritornare in città. Da qui nasce la sua prima “disperazione”... Fabrizio aveva solo cinque anni. La famiglia ritorna a Genova, stabilendosi nella nuova casa di Via Trieste 13. Nell'agosto 1948, a Pocol, sopra Cortina, incontra Paolo Villaggio, allora sedicenne. Le famiglie De Andrè e Villaggio iniziano una duratura frequentazione, soprattutto nel periodo estivo. I due ragazzi simpatizzano subito, ma la differenza di età non permette, almeno all’inizio, una vera e propria amicizia. Paolo e Fabrizio si perdono così di vista, per ritrovarsi solo una decina di anni dopo sulle tavole di un palcoscenico e non lasciarsi più!

Nell'estate del 1950, terminata la quarta elementare, Fabrizio trascorre l'ultima vacanza a Revignano. Suo padre ha deciso di vendere il cascinale e di acquistare un appartamento ad Asti. Questo è un ulteriore fattore di sofferenza per Fabrizio che è molto legato a quel luogo dove ha trascorso i momenti più belli della sua infanzia. Decide che, una volta diventato grande, avrebbe ricomprato il cascinale e non avrebbe abbandonato più quei luoghi che tanto amava. Questo desiderio lo accompagnerà negli anni a venire: anni dopo realizzerà questo sogno, anche se al di là del mare, in Sardegna.

Nella primavera del 1956, il padre di Fabrizio porta dalla Francia due 78 giri di Georges Brassens. Dall'incontro col grande cantautore francese De Andrè ricava stimoli per la lettura di autori anarchici che gli resteranno sempre cari: Bakunin, Malatesta, Kropotkin e Stirner. Nel mondo cantato da Brassens egli ritrova gli stessi personaggi, umili e autentici, che vivevano nei caruggi della sua città e che troveranno spazio, comprensione e dignità nelle sue canzoni durante tutta la sua carriera.

De Andrè si iscrive alla Facoltà di Giurisprudenza ma la sua propensione agli studi “ufficiali” è scarsa. “Probabilmente sarei divenuto un pessimo avvocato” dirà anni dopo.
Le sue giornate trascorrono tra musica, letture e, soprattutto in compagnia degli amici: Luigi Tenco, Gino Paoli, Paolo Villaggio e altri.
Ricordando quel tempo: “Ebbi ben presto abbastanza chiaro che il mio lavoro doveva camminare su due binari: l'ansia per una giustizia sociale che ancora non esiste, e l'illusione di poter partecipare, in qualche modo, a un cambiamento del mondo. La seconda si è sbriciolata ben presto, la prima rimane”.

Intanto, nel 1958, compone “Nuvole barocche” e “E fu la notte”, brani che anni dopo Fabrizio definirà come “due peccati di gioventù”. E' nell'estate del '60 che scrive insieme a Clelia Petracchi quella che ha sempre considerato la sua prima vera canzone, “La ballata del Miche'”, che rimane, se non una delle più belle, una delle più note e, in considerazione della giovane età dell'autore, una delle più significative (…stanotte Miché, s'è impiccato a un chiodo perché non voleva restare vent'anni in prigione lontano da te; nel buio Miché se n'è andato sapendo che a te non poteva mai dire che aveva ammazzato soltanto per te. Io so che Miché ha voluto morire perché ti restasse il ricordo del bene profondo che aveva per te. vent'anni gli avevano dato la corte decise così perché un giorno aveva ammazzato chi voleva rubargli Marì…)

Gli anni di Genova
I difficili rapporti che Fabrizio aveva con il padre (allora Direttore de “La Nazione” e de “Il Resto del Carlino”), per via delle idee politiche e sociali molto diverse dalle sue e con il fratello Mauro, lo inducono a scelte distanti da quelle che avrebbero voluto i suoi familiari. Al contrario, fondamentale per Fabrizio è la figura della madre, che in una vecchia intervista definisce "il vinavil, il collante di tutta la famiglia”.

Per protesta contro l’ambiente conservatore, Fabrizio De Andrè va a vivere nei caruggi di Genova con il poeta anarchico Riccardo Mannerini. De Andrè ha 19 anni e con Mannerini condivide una vita tanto sregolata quanto creativa.(Con lui, nel 1968 scriverà il suo primo album, “Tutti morimmo a stento”; un lavoro che parla della morte, non quella fisica ma la morte mentale che un uomo può incontrare nel corso della sua vita: “Ci sono vari tipi di morte”, dice De Andrè “prima di arrivare a quella vera. Quando tu perdi un lavoro, un amico, muori un po’”.)

Nel luglio 1962 sposa Enrica Rignon (detta Puny) e il 29 dicembre dello stesso anno nasce il figlio Cristiano. Fabrizio, appena ventiduenne, ha già una famiglia e, più che un lavoro, un hobby poco redditizio, tanto è vero che comincia a vagliare l’ipotesi di finire gli studi in giurisprudenza. Ma nel 1965 c’è la svolta: Mina interpreta una sua composizione, “La canzone di Marinella”, che diviene immediatamente un grande successo. Sull'onda della notorietà, nel 1966 esce l’LP: Tutto Fabrizio De André, contenente alcuni dei migliori brani scritti fino a quel momento, tra cui “La canzone di Marinella”, “La guerra di Piero”, “Il testamento”, “La ballata del Miché”, “La canzone dell'amore perduto”, “La città vecchia”, “Carlo Martello”.

Nel 1967 Fabrizio De Andrè e Paolo Villaggio vengono citati per il contenuto osceno di “Carlo Martello ritorna dalla battaglia di Poitiers”. Paolo Villaggio racconta a La Storia Siamo Noi che un Pretore di Potenza denuncia alcuni versi: “Frustando il cavallo come un mulo, quel gran faccia da culo”. “Alla fine abbiamo sostituito quelle parole in: Frustando il cavallo come un ciucio tra il glicine e il sambuco”.
Ma quella di Carlo Martello non sarà l’unica censura subita da De Andrè. Eppure, paradossalmente, Radio Vaticana trasmette le canzoni di De Andrè che Radio Rai, invece, non manda in onda. D'altronde Fabrizio De Andrè è considerato un cantautore filo comunista e anche per questo viene spiato e tenuto sotto controllo anche dai servizi segreti italiani: quegli sono gli anni di album come “La Buona Novella”, esempio d’intelligenza e di pietà, di amore vero ed interesse per il prossimo e “Storie di un impiegato”.
La Buona Novella doveva essere un’allegoria, un paragone tra le istanze della rivolta del ’68 e quelle più elevate dal punto di vista spirituale. “Storia di un impiegato”, invece, è la storia del maggio francese, ed è incentrato sulla ineluttabile radicalità della sovversione. Se in esso era ancora viva l'idea di un cambiamento possibile, traspare allo stesso tempo un’analisi disincantata riguardo ad alcuni aspetti.

Nel 1967 esce “Volume I”, in cui spiccano “Via del Campo”, “Bocca di rosa” e “Preghiera in gennaio”: quest'ultima composta in occasione e a ricordo della tragica morte dell'amico Luigi Tenco, suicidatosi il 27 gennaio a Sanremo, da cui De André è rimasto molto colpito, mentre le prime due dedicate, con profondo senso di solidarietà e comprensione, a due figure di prostitute, (di una delle quali si era invaghito Fabrizio).
In un'intervista a TV7 dirà che Bocca di Rosa è la canzone che più gli somiglia.


Con questo album si apre la stagione più prolifica della carriera del cantautore.

Dopo un momento difficile, anche economicamente, e di paura di esibirsi davanti al pubblico, grazie all’aiuto degli amici Paolo Villaggio e Marco Ferreri, esordisce dal vivo nel locale simbolo della Versilia, “La Bussola”; proprio lui che invece aveva sempre rifiutato faccia a faccia col pubblico. Dopo vari tentativi da parte degli amici di farlo salire sul palco (sembra che all'ultimo momento non volesse più esibirsi), il concerto si rivela un vero e proprio successo. Con i soldi guadagnati realizza il suo sogno e acquista un'azienda agricola nelle vicinanze di Tempio Pausania, in Sardegna. E nel 1977, dall'unione con Dori Ghezzi (la cantante milanese alla quale si lega dal 1974, dopo la separazione dalla prima moglie), nasce Luisa Vittoria, detta Luvi. Subito dopo escono gli album Rimini (1978), scritto in collaborazione con Massimo Bubola, e In concerto con la PFM (1979).

L’anarchia e la libertà
Penso che un uomo senza utopia, senza sogno, senza ideali, senza passione, senza slanci sarebbe un mostruoso animale fatto d’istinto e di raziocinio

Fabrizio De Andrè si è sempre definito anarchico individualista; non amava l’ordine costituito e non gli interessava il punto di vista del potere ma quello delle singole persone.

Tra i cantautori italiani è stato quello che ha saputo attingere alle forme più differenti di musica, dalla ballata folk nordamericana, alla poesia medievale francese, alla canzone classica italiana: dal punto di vista artistico è stato un ricercatore sfrenatamente libero.

Racconta invece in un’intervista per TV7 del 1997: “Ho avuto dei riferimento culturali precisi che a loro volta avranno avuto dei riferimenti in questi punti luminosi della storia dell’espressione umana. Credo che l’uomo possa anche conquistare le stelle ma penso che le sue problematiche fondamentali sono destinate a rimanere le stesse per molto tempo, se non per sempre.”


Il 29 ottobre 1980, all'età di sessant'anni, muore l'amato Georges Brassens, ucciso da un tumore. De André racconta un anno dopo, durante un'intervista concessa al quotidiano La Stampa: “Pur avendone avuto la possibilità, non ho mai voluto conoscerlo personalmente, per evitare che diventasse una persona e magari scoprirlo anche antipatico. Per me è stato un mito, una guida, un esempio; è grazie a lui che mi sono avvicinato all'anarchismo. Egli rappresentava il superamento dei valori piccolo-borghesi e insegnò anche ai borghesi certe forme di rispetto ai quali non erano abituati. I suoi testi si possono leggere anche senza la musica. Per me è come leggere Socrate: ti insegna come comportarsi o, al minimo, come non comportarsi”.

Il sequestro
Ma nella storia di Fabrizio e di sua moglie Dori c’è anche una pagina drammatica. Il 27 agosto del 1979 De Andrè e Dori Grezzi vengono sequestrati nella loro abitazione di Tempio Pausania, di notte, dall’Anonima Sarda: rimarranno loro prigionieri per quattro mesi. In un’intervista, subito dopo il loro rilascio, Fabrizio dice: “Il primo mese di sequestro ci hanno fatto compagnia le emozioni, poi è prevalsa la monotonia

Fabrizio De Andrè e Dori Ghezzi vengono liberati pochi giorni prima del Natale del 1979: per il loro rilascio viene pagato un riscatto di oltre 550 milioni delle vecchie lire.
Quell'esperienza segna in maniera indelebile De Andrè come uomo e come artista ma non cancella l'amore di Fabrizio per la sua terra d'adozione: la Sardegna.

Dalle parole di Fabrizio De Andrè: “Fondamentalmente i veri prigionieri continuano ad essere i sequestratori, non noi, tanto è vero che noi siamo usciti, loro sono ancora dentro”.

Non vi è traccia di rancore nelle dichiarazioni da lui rilasciate dopo la liberazione: “I rapitori erano gentilissimi, quasi materni... Ricordo che uno di loro una sera aveva bevuto un po' di grappa di troppo e si lasciò andare fino a dire che non godeva certo della nostra situazione”.

Nel 1982 Fabrizio De Andrè aderisce a Sardinia e Libertade, l’assemblea costituente dei gruppi indipendentisti sardi. La decisione deriva soprattutto dal suo amore per la Sardegna e dall’attenzione che ha sempre riservato alle minoranze politiche ed etniche (a cominciare dagli indiani d’America).
In un’intervista del 1997 per uno speciale del TG1, De Andrè racconta: “Da quando frequentavo i circoli libertari di Genova e Carrara mi sono schierato in maniera precisa e da allora non ho mai più trovato durante la mia vita nessun altro schieramento che dal punto di vista sociale o morale mi garantisse qualcosa di meglio.”

Dopo un periodo di riposo, il cantautore torna all'attività con un album, Fabrizio De André , che contiene un brano, “Hotel Supramonte”, rielaborazione dei traumi e delle incertezze patiti durante il rapimento.

La seconda giovinezza
In questa personalità così complessa fatta di luci e ombre ci sono anche fragilità e demoni personali contro cui combattere.
De Andrè, per via del suo grave problema con l’alcol, cambia umore ed atteggiamenti troppo spesso tanto che qualcuno li ha definiti come schizofrenici.

Nel 1984, con l’album Creuza de mä, fuoriesce un altro lato di De Andrè: non più o non solo cantautore, ma soprattutto cantante. Da molti critici, infatti, è considerato come il suo capolavoro. Il disco, per il quale ottiene numerosi premi e riconoscimenti e che viene presentato al pubblico nel corso di una memorabile tournée col figlio Cristiano e con Mauro Pagani (della PFM), evoca suoni, profumi, voci, odori e sapori di tutto il Mediterraneo, ma è soprattutto - come lo ha definito Luigi Viva – “un canto d'amore a Genova”.

Mauro Pagani racconta: “Creuza de mä è una sorta di romanzo d’avventura, come un libro di Salgari, dove i pirati sono finti, dove le comparse hanno la parrucca ed i costumi sono noleggiati. Tutto ciò che Fabrizio aveva appreso era figlio dei libri. Il disco doveva essere un mix di almeno venti lingue parlate: e Fabrizio ha l’intuizione di scriverlo in genovese. Nel disco, geniale, si capisce quale uso il cantautore abbia fatto della lingua e del dialetto genovese. In realtà in Creuza de mä De Andrè affronta un disco non come cantautore ma come cantante, sentendosi libero di pronunciare le parole nella sua lingua d’origine. Non è un caso se, dopo l’uscita di questo album, il suo modo di cantare cambia completamente perché nasce in lui il sentimento di libertà nel fare il cantante.”
De André si serve del genovese per recuperare le sonorità del Mediterraneo. Oggi a più di vent’anni dall’uscita dell’album, Creuza de mä continua ad essere di grandissima attualità, anche dal punto di vista dello sperimentalismo linguistico. L’approdo al genovese rappresenta infatti un momento cruciale della produzione di De André, che scopre ed esplora il dialetto per recuperare in esso la storia della sua città e della sua gente. Come dichiara in una nota intervista, De André arriva al genovese attraverso una lunga ricerca dentro se stesso, volta soprattutto ad appagare quella che definisce una “voglia primordiale”: il desiderio di ricongiungersi con le proprie radici. Si tratta di un progetto costruito a tavolino, tra le pagine dei vocabolari ottocenteschi da cui Fabrizio rispolvera una lingua poco parlata, ma che si compiace di esibire, nella sua musicalità. Il genovese si presta infatti a soddisfare agilmente le esigenze metriche del linguaggio musicale, senza dover costringere la sintassi a tortuosi capovolgimenti. A differenza dell’italiano, che funziona solo dal punto di vista melodico, il dialetto consente la coincidenza tra la frase musicale e la cesura metrica, così rivelandosi estremamente flessibile. De André scopre le possibilità espressive fonetiche e metriche del genovese e ne sfrutta l’agilità delle parole tronche e l’esotismo dei suoni. Album come Creuza de mä e Anime salve rispondono ad un progetto mediterraneo, che Fabrizio De André e Mauro Pagani elaborano in occasione di un viaggio in Turchia, nel 1983. L’uso del dialetto genovese è però, paradossalmente, soltanto uno strumento per la ricostruzione di un’atmosfera che non è genovese, ma orientale. L’elemento fondamentale è il sound, che rimanda a Istanbul, al Libano, ad Atene, e non a Genova. Contribuisce a creare quest’effetto anche la scelta di strumenti della tradizione islamica, greca, occitanica, che avvicina la musica all’oriente, distinguendola dalla dimensione folcloristica e vernacolare.

Il gesto che in qualche modo salva la vita a Fabrizio De Andrè è la promessa fatta al padre il 18 luglio 1985: il Prof. De Andrè, sul letto di morte, strappa a Fabrizio il giuramento di smettere di bere. “Il problema non è che gli volevo bene, perché questo non finisce. Il problema è che lui ne voleva a me”.

Maro Pagani dice: “Quando riesce a tirarsi fuori dal problema dell’alcolismo, De Andrè diviene l’uomo fantastico di cui la maggior parte della gente ha il ricordo, e che ha usato gli ultimi anni della sua vita per pacificarsi su tutti i fronti, iniziando ad avere dei rapporti sereni con tutte le persone che gli stavano intorno”.

Dori Ghezzi: “Ero presente quando il padre glielo ha chiesto. Forse desiderava che qualcuno glielo chiedesse; non sopportava che chiunque altro glielo chiedesse ma quella è stata la leva che lo ha messo di fronte a questa enorme responsabilità.”

Nell'estate del 1989, muore anche il fratello Mauro, colpito da aneurisma. Aveva appena 54 anni, e Fabrizio fu naturalmente scosso dalla terribile notizia: “Alla morte di mio padre, almeno, eravamo preparati: era anziano. Ma Mauro...”.

Ci sono, però, anche momenti lieti, come il matrimonio con Dori Ghezzi, celebrato nel dicembre del 1989 dopo quindici anni di convivenza; ed anche il matrimonio di Cristiano.

Le Nuvole
Nel 1990, dopo sei anni di silenzio, esce il nuovo album Le nuvole , sicuramente il disco più apertamente politico di tutta la produzione del cantautore, che tocca il suo apice con La domenica delle salme.
Mauro Pagani, racconta:“Le Nuvole è uno strano compromesso: c’è una facciata in italiano, ottocentesca, come volevamo io e Fabrizio. In realtà l’idea del disco era mettere in evidenza che nonostante siano cambiate molte cose all’interno delle società odierne, l’impianto morale e contenutistico dell’Europa non è cambiato negli ultimi cento anni. Non siamo diversi dal Congresso di Vienna. Sono canzoni definitive dal punto di vista della descrizione del sociale che viene descritto come un campo in cui oramai i buoni hanno perso, i giochi sono fatti e non c’è speranza di ribaltarli. Don Raffaè fa parte di queste canzoni. Questa canzone è il racconto del padrino, del capo clan secondo le parole di u secondino soggiogato dal carisma dell’uomo di potere. In un mondo dove lo stato non è riconosciuto, Don Raffaè diventa un’autorità. L’idea di questo pezzo arriva tramite una persona di fiducia: il pezzo è ispirato ad una novella scritta da lui stesso in carcere. Quello che si trova in Anime salve è quello che ricorre in tutti i suoi lavori: il tema della pietà.”

Nel 1991, a distanza di sette anni dal suo ultimo tour, Fabrizio tornas a calcare il palcoscenico con rinnovato successo, traendone l'LP dal vivo Fabrizio De André 1991 - Concerti.

Nel 1992, anno delle “Colombiane”, Genova festeggia con un'esposizione e lavori per svariati miliardi i cinquecento anni della scoperta dell'America: De André viene invitato a partecipare e ad esibirsi con Bob Dylan, ma rifiuta il benché minimo coinvolgimento, ricordando anzi lo sterminio degli Indiani d'America.

Il 3 gennaio 1995, all'età di ottantatré anni, viene a mancare la madre Luisa, unica della famiglia a morire di vecchiaia.

Nel 1996 esce Anime Salve, scritto in collaborazione con Ivano Fossati, che ruota intorno al duplice tema delle minoranze isolate e della solitudine. Nello stesso anno pubblica presso Einaudi “Un destino ridicolo”, romanzo scritto a quattro mani con Alessandro Gennari.

Ma nell'estate del 1998 è costretto a interrompere il tour seguito ad Anime Salve. La tac, eseguita il 25 agosto, non lascia speranze: la diagnosi è un tumore ai polmoni. Appena pochi mesi dopo, alle ore 2.15 di notte dell'11 gennaio 1999, a soli 59 anni, Fabrizio muore presso l'Istituto Tumori di Milano dov'era ricoverato, assistito sino all'ultimo momento dai suoi cari.

Una folla commossa, di oltre diecimila persone, ha seguito i suoi funerali, svoltisi il 13 gennaio nella Basilica di Carignano, a Genova. Su quel mare di umanità svettavano la bandiera del Genova (la sua squadra del cuore) e quella anarchica (a testimonianza e ricordo del suo “credo” politico, o meglio del suo “modo d'essere”).

Riposa al cimitero di Staglieno, nella cappella di famiglia.

Due dei suoi amici più cari, Ivano Fossati e Paolo Villaggio, ci raccontano commossi: “Quello che si trova in Anime Salve, attraverso un filo non sottile, si trova andando indietro nel tempo in quasi tutti i suoi lavori, come il tema della pietà. Non riesco ad abituarmi all’idea che esista una sorta di testamento di Fabrizio perché so che la sua velocità di elaborazione era talmente alta che mi risulta difficile credere che si possa pensare a lui come se ad un certo punto avesse trovato un termine.” (Ivano Fossati)

Io ho avuto per la prima volta il sospetto che quel funerale, di quel tipo, con quell’emozione, con quella partecipazione di tutti non l’avrei mai avuto e a lui l’avrei detto. Gli avrei detto ‘Guarda che ho avuto invidia, per la prima volta, di un funerale’.”
(Paolo Villaggio)