PREMIO NOBEL NEL 1926, QUESTA SCRITTRICE CI RICORDA DA VICINO JORGE AMADO, CON I PERSONAGGI TIPICI DI QUESTE TERRE, LE AMBIENTAZIONI, I COLORI: SARDEGNA E BAHIA SONO PIÙ ...VICINE.
Maria Grazia Cosima Deledda(Nuoro, 27 settembre 1871 – Roma, 15 agosto 1936) è
stata una scrittrice e traduttrice italiana, vincitrice del Premio Nobel per la letteratura nel 1926.
Nacque a Nuoro in Sardegna, quinta di sette tra figli
e figlie, in una famiglia benestante. Il padre, Giovanni Antonio, era un
imprenditore e agiato possidente; fu poeta improvvisatore e sindaco di Nuoro
nel 1892. La madre, Francesca Cambosu, era una donna religiosissima e allevò i
figli e le figlie con estremo rigore morale. Dopo aver frequentato le scuole
elementari, Grazia Deledda venne seguita privatamente da un professore ospite
di una parente della famiglia Deledda che le impartì lezioni di italiano,
latino e francese (i costumi del tempo non consentivano alle ragazze
un'istruzione oltre quella primaria e, in generale, degli studi regolari).
Successivamente approfondì, da autodidatta, gli studi letterari. Il suo
itinerario rimane sempre assai personale, senza scosse, senza forti mutazioni
di rotta e bruschi aggiornamenti, anche dopo il trasferimento, nel 1900, a
Roma, dove risiede per il resto della sua vita.
A 24 anni pubblicò il suo primo romanzo: "Anime
oneste" e collaborò con diverse riviste. Nel 1900, sposò Palmiro Madesani,
funzionario del Ministero delle Finanze, conosciuto a Cagliari e si trasferì a
Roma dove rimase per il resto della sua vita.
La sua opera fu apprezzata da Luigi Capuana e Giovanni
Verga e fu presto confermata come scrittrice, riconosciuta e stimata anche
all'estero.
Il sapore vagamente verista della sua produzione le
procurò le antipatie degli abitanti di Nuoro, in cui le storie erano
ambientate. I suoi concittadini erano infatti dell'opinione che descrivesse la
Sardegna come terra rude, rustica e quindi arretrata. In realtà non era
intenzione della Deledda assumersi un impegno sociale come quello che spesso
caratterizzò il Verismo. Il realismo della Deledda assorbe e in certa misura,
metabolizza anche ciò che contraddice al realismo. Sogno, magia, religione,
pesano sugli eventi quanro e più delle cause sociali ed economiche.
Parallelamente, la ricerca di um bello scrivere mediano, affine a um livello
discorsivo colto, ma senza dimenticare di qualche classicismo, fa sì che le pagine
della Deledda, anche quelle più nude, appaiano piene di apporti, denunciando
uma sorta di horror vacuo, di perenne inglobazione di elementi.
In una sua lettera scrive: "Leggo relativamente
poco, ma cose buone e cerco sempre di migliorare il mio stile. Io scrivo ancora
male in italiano - ma anche perché ero abituata al dialetto sardo che è per se
stesso una lingua diversa dall'italiana".
Quella della Deledda era una scrittura moderna che ben
si adattava alla narrazione cinematografica, infatti dai suoi romanzi vennero
tratti diversi film già nei primi anni dieci del XX secolo.
La relazione tra la Deledda e i russi è ricca e
profonda, legata principalmente a Tolstoj, si inoltra nel mondo complesso anche
degli altri contemporanei: Gor'kij, Anton Čechov e quelli del passato più
recente, Gogol', Dostoevskij e Turgenev.
Grazia Deledda (1871-1936) è scrittrice fondamentale
nella storia della letteratura italiana del Novecento; è quindi censita in Le
Autrici della Letteratura Italiana.
Opere principali:
Racconti sardi (1895)
Anime oneste (1895)
La via del male (1896)
Elias Portolu (1900)
Cenere (1903)
Nostalgie (1905)
L'edera (1908)
Canne al vento (1913)
Marianna Sirca (1915)
La madre (1920)
La fuga in Egitto (1925)
Il sigillo d'amore (1926)
Annalena Bilsini (1927)
Il paese del vento (1931)
Cosima (1937) pubblicato postumo
Il cedro del Libano (1939) pubblicato postumo
Il pastore delle anatre (1961)
Riduzioni cinematografiche:
Cenere 1916, regia di Febo Mari, con Eleonora Duse.
Il 15 agosto 1936 la Deledda muore a causa di un
tumore maligno, lasciando incompiuta la sua ultima opera: Cosima, quasi Grazia.
La sua casa natale, nel centro storico di Nuoro (Santu
Predu), è adibita a museo.
L’ITALIA SI CONTRADDISTINGUE, ALL’INTERNO
DELLA SUA STORIA, PER LA GENEROSITÀ E L’ALTRUISMO CHE DA SEMPRE LA
CONTRADDISTINGUONO.
UNA PROVA SICURA DI QUESTA AFFERMAZIONE È LA
GRANDE PRESENZA DI ASSOCIAZIONI UMANITARIE, ONG, VOLONTARIATO, ECC., SU TUTTO IL
TERRITORIO NAZIONALE.
OGGI CONOSCIAMO EMERGENCY E IL SUO
FONDATORE, GINO STRADA.
Emergency è un'associazione
umanitaria fondata a Milano nel 1994 per portare aiuto alle vittime civili
delle guerre e della povertà. Dal '94 a oggi Emergency ha curato oltre
4.794.000 persone. Uno
su tre era un bambino.
Dal 1994 a oggi, Emergency è intervenuta in 16
paesi, costruendo ospedali, centri chirurgici, centri di riabilitazione, centri
pediatrici, posti di primo soccorso, centri sanitari, un centro di maternità e
un centro cardiochirurgico. Su sollecitazione delle autorità locali e di altre
organizzazioni, Emergency ha anche contribuito alla ristrutturazione e
all'equipaggiamento di strutture sanitarie già esistenti.
Dal 1994 i team di
Emergency hanno portato aiuto a 4.794.600 persone (dati al
31 marzo 2012).
Proprio perché conosce gli effetti della guerra,
sin dalla sua costituzione Emergency è impegnata nella promozione di valori di
pace.
Nel 1994 Emergency ha intrapreso la campagna che ha portato l'Italia a mettere
al bando le mine antiuomo. Nel 2001, poco prima dell'inizio della guerra
all'Afghanistan, ha chiesto ai cittadini di esprimere il proprio ripudio della
guerra con uno "straccio di pace".
Nel settembre 2002 ha lanciato la campagna "Fuori l'Italia dalla
guerra" perché l'Italia non partecipasse alla guerra contro l'Iraq.
Con la campagna "Fermiamo la guerra, firmiamo
la pace", Emergency ha promosso una raccolta di firme per la legge di
iniziativa popolare "Norme per l'attuazione del principio del ripudio
della guerra sancito dall'articolo 11 della Costituzione e dallo statuto
dell'Onu", depositata alla Camera dei deputati nel giugno 2003.
Nel 2008, insieme ad alcuni paesi africani, Emergency ha elaborato il Manifesto per una medicina basata sui
diritti umani per rivendicare una sanità basata sull'equità,
sulla qualità e sulla responsabilità sociale.
Nel settembre 2010 ha elaborato il documento "Il mondo che vogliamo",
per condividere le idee e i valori che ispirano il suo lavoro.
Emergency è stata giuridicamente riconosciuta Onlus nel 1998 e Ong nel 1999.
Per sostenere gli obiettivi di Emergency su una più
ampia scala internazionale, nel 2005 negli Stati Uniti si sono creati alcuni
gruppi di volontari che nel 2008 si sono costituiti in associazione
riconosciuta (visita Emergency Usa); nel 2007 si
è costituita Emergency UK (visita Emergency UK). Tra la fine
del 2010 e i primi mesi del 2011 sono nate Emergency Japan e Emergency Svizzera.
Dal 2006 Emergency è riconosciuta come Ong partner
delle Nazioni Unite - Dipartimento della Pubblica Informazione.
(dal
sito emercency.it)
Gino Strada nasce nel
1948. Conseguita nel 1978 la laurea in Medicina presso l'Università Statale di
Milano, successivamente si specializza in chirurgia d'urgenza. Durante gli anni
della contestazione è uno degli attivisti del "Movimento
Studentesco", anche come responsabile nel gruppo di servizio d'ordine
della facoltà di Medicina.
Come professionista pratica nel campo del trapianto di
cuore fino al 1988, poi Gino Strada indirizza i propri interessi verso la
chirurgia traumatologica e la cura delle vittime di guerra. Negli anni tra il
1989 e il 1994 lavora con il Comitato Internazionale dellaCroce Rossain
varie zone di conflitto: si sposta continuamente tra Pakistan, Etiopia, Perù,
Afghanistan, Somalia e Bosnia-Erzegovina.
Questa esperienza sul campo assieme alla sensibilità personale del
chirurgo alimentano la motivazione di Gino Strada, assieme ad un gruppo di
colleghi, per fondare "Emergency", un'associazione umanitaria
internazionale per la riabilitazione delle vittime di guerra e delle mine
antiuomo. Dalla sua fondazione che risale al 1994, nei primi 15 anni di
attività i pazienti assistiti sono oltre 3 milioni. Tra i fondatori di
Emergency c'è anche la moglie Teresa Sarti, morta nel 2009. Gino Strada è è
cittadino onorario della città di Empoli (FI) dal 2002 e della città di
Montebelluna (TV) dal 2003.
Nel marzo 2007, durante il sequestro in Afghanistan del giornalista de
"La Repubblica", Daniele Mastrogiacomo, ha assunto una posizione di
rilievo nelle trattative per la sua liberazione.
Durante gli anni di attività Gino Strada ha spesso
assunto posizioni critiche nei confronti della politica dei governi italiani -
guidati daRomano ProdieSilvio Berlusconi-
accusati da Strada di avere portato l'Italia a intervenire militarmente nei
conflitti.
In particolare Strada ha criticato il supporto italiano
all'interventoNATOin
Afghanistan contro il precedente governo talebano, un atto di guerra contro la
popolazione afghana secondo Emergency, in aperta violazione della Costituzione
della Repubblica Italiana.
Tra i libri pubblicati ricordiamo "Pappagalli verdi: cronache di un
chirurgo di guerra" (1999), "Buskashì. Viaggio dentro la guerra"
(2002), "La guerra giusta" (2005, con Howard Zinn).
In questo video: Gino Strada: “la guerra, la più grande
vergogna del genere umano” : http://youtu.be/rZGNCGe-flc
I FRATELLI POMODORO SONO TRA I PIÙ GRANDI SCULTORI MODERNI. LE LORO OPERE HANNO RAGGIUNTO UNA FAMA MONDIALE. CONOSCIAMOLI MEGLIO...
Arnaldo
Pomodoro,nato a Morciano
di Romagna (Rimini) il 23 giugno 1926 ed il fratelloGiò Pomodoro, natonel “paese dei cordai” a Orciano di
Pesaro il17 novembre del 1930,
entrambi scultori italiani di fama mondiale, dopo l’infanzia passata nella
bella campagna marchigiana, nel 1945 si trasferiscono con la famiglia a Pesaro.
Dopo gli studi creano monili, pezzi astratti di oreficeria, piccole sculture in
oro e argento che lasciano intravedere valide premesse per una nuova scultura,
lontana dalle forme tradizionali.
Nel 1954, dopo la
morte del padre, Arnaldo e Giò si trasferiscono con la famiglia a Milano,
cominciano a frequentare l'ambiente artistico di Brera, in particolareLucio Fontana,Enrico Baj, Umberto Milani, Emilio Scanavino, Gianni Dova e Ugo Mulas e ad
esporre le loro opere.
Nel 1956 vengono invitati alla Biennale di Venezia
per esporre nella sezione della medaglistica, qui Giò Pomodoro presenta una
serie di argenti fusi in osso di seppia eseguiti nei due anni precedenti.
L'anno dopo, la Triennale di Milano incarica
Arnaldo e Giò Pomodoro di organizzare un'esposizione sperimentale di opere
d'oreficeria disegnate da artisti italiani ed eseguite da artigiani orafi di
Valenza; a questa mostra Arnaldo e Giò Pomodoro presenteranno a fianco dei
lavori orafi, rilievi modellati nel ferro, stagno, piombo, argento, cemento e bronzo.
L'uso di questi materiali inediti testimonia
la ricerca e la volontà dei fratelli Pomodoro di sperimentare nuovi mezzi
formali ed espressivi.
Nel 1958 dopo essersi
sposato Giò Pomodoro tiene la sua prima Mostra Personale a Milano alla Galleria
del Naviglio, Mostra Personale che ripropone a Bruxelles, Dusseldorf ed a
Colonia.
L'anno dopo, alla Prima Biennale Giovani
di Parigi, propone una superficie in tensione fusa in bronzo e vince il primo
premio per la scultura con lo scultore Anthony Caro.
Nel 1960 i fratelli Pomodoro aderiscono
insieme a Perilli, Turcato, Dorazio,Fontana, al Gruppo «Continuità», uno dei più
importanti gruppi nella ricerca astratta tra materia e segno.
Nel 1963, il Palais
des Beaux Arts di Bruxelles ospita una mostra personale di Giò Pomodoro che,
nel 1964, espone alla Galleria Marlborough di Roma, nel 1965 a Copenaghen e poi
ancora a New York nel 1967 ed a Los Angeles nel 1969.
Nel 1970 Arnaldo Pomodoro espone le sculture
Forma X e Onda nella piazzetta antistante la Galleria Manzoni a Milano, poi
torna ad insegnare a Berkeley, da dove parte una grande mostra itinerante che
toccherà San Diego, Portland, Austin, Hartford.
Nel 1971 altra mostra di Arnaldo Pomodoro
all’aperto, a Pesaro. Il Comune di Bologna installa sue sculture nel centro
storico, collocate poi nell’ingresso della Galleria Nazionale d’Arte Moderna.
Su commissione del Comune di Modena
Arnaldo Pomodoro realizza l'opera "Una battaglia: per i
partigiani" in ricordo della Resistenza.
Progetta per la sede della casa editrice
Mondadori a Segrate (Milano) la scultura "Colonna a grandi fogli",
mentre torna alla scenografia con Luca Ronconi.
Dalla dimensione del
rilievo, Arnaldo Pomodoro passa, negli anni Settanta, alla complessità spaziale
e materica della forma a tutto tondo e realizza, nel 1963, la sua prima sfera.
Riceve il "Premio Internazionale per la
Scultura" alla Biennale di San
Paolo del Brasile; l'ispirazione di questo periodo deriva dalle forme
perfette di Brancusi.
La perfezione della forma provoca in lui,
anche sotto l'influenza del mondo tecnologico e dell'action painting di Jackson
Pollok, una pulsione distruttiva: la forma perfetta viene fatta a pezzi.
Nel 1979 a Giò
Pomodoro viene commissionata la realizzazione, a Francoforte, della piazza
Fontana, dedicata a Goethe, inaugurata poi nel 1983.
Intanto nel 1980 realizza a Ravenna il “Ponte
dei Martiri alla resistenza” e nel 1982 la “Spirale” per l’aeroporto di Malpensa.
Giò Pomodoro espone a Londra alcune sue opere,
proseguendo la sua instancabile azione creativa con “Sole -Luna- Albero”
per la città di Monza nel 1986.
Negli stessi anni Arnaldo Pomodoro esegue grandi opere per la Sudameris
Bank di San Paolo del Brasile, per la Berkeley Library del Trinity College
dell’Università di Dublino e per il Mills College di Oakland.
Realizza il libro-oggetto "De-cantare
Urbino", con poesie di Miklos N. Varga, progetta scene e costumi per il
teatro, espone a New York, colloca una grande "Sfera con sfera"
nel Principato di Monaco.
Crea un’opera grafica "Pensiero
visivo" per due poemetti di Paolo Volponi nel libro "Lungo la
traccia" (Edizioni Rizzardi).
La scultura di
Arnaldo Pomodoro è dominata da un rigoroso "ésprit de Géometrie" per
cui ogni forma è ridotta all'essenzialità volumetrica della sfera, del cubo,
del cilindro, del cono, del parallelepipedo e di altri solidi nettamente
tagliati e ricollocati in schiere o segmenti di schiere rettilinee o circolari
paragonabili alle rapide successioni delle note in una composizione musicale o
ad ingranaggi di misteriosi macchinari nascosti nell'interno di massicci
contenitori (globi, colonne continue, cubi, dischi) e resi parzialmente
visibili dagli squarci e dai tagli che rompono le lisce superfici di questi.
Nel 1991 è stato collocato davanti al Palazzo
della Gioventù a Mosca il "Disco Solare" di Arnaldo Pomodoro, dono
della Presidenza del Consiglio all’Unione Sovietica.
Nel 1992 è stata installata un’opera di grandi
dimensioni "Papyrus" nei giardini del nuovo Palazzo delle Poste e
Telecomunicazioni a Darmstadt in Germania.
Nel 1995 Arnaldo Pomodoro ha realizzato per
incarico del Comune di Rimini, una scultura in memoria di Federico Fellini.
L'anno dopo è stata collocata nel piazzale
delle Nazioni Unite a New York l’opera "Sfera con sfera " del
diametro di metri 3,30 e nel 1998 ha ricevuto l’incarico di realizzare il
portale del Duomo di Cefalù.
Negli ultimi anni Giò
Pomodoro torna a Milano ad esporre le sue opere e riceve, nell’aprile del 2002,
dalla International Sculpture Center degli Stati Uniti, il premio alla
carriera, "Lifetime Achevement Award Contemporany Sculpture 2002”, un
premio davvero meritato per un artista di grande caratura.
Anche se da anni il maestro Giò Pomodoro
lavorava e risiedeva a Querceta, in Versilia, dopo una lunga degenza in
ospedale per una grave malattia, esprime il desiderio di morire fra le sue
opere; così trasportato a Milano muore nel suo studio il 10 Dicembre 2002.
Al paese della sua
infanzia Gio’ Pomodoro ha voluto lasciare uno dei ricordi più belli: la piazza
che ora prenderà il suo stesso nome, sullo stesso luogo dove un tempo sorgeva
la sua casa natale.
Al centro della Piazza la scultura del
"Sole deposto" e altre opere come "La corda" e
"l'Orcio" ai lati dell'ingresso-fronte principale.
La produzione di
Arnaldo Pomodoro è notevolissima, sue opere sono presenti nelle piazze di
Milano, Copenaghen, Brisbane, di fronte al Trinity College dell’Università di
Dublino, al Mills College in California, nel Department of Water and Power di
Los Angeles, nel Cortile della Pigna dei Musei Vaticani, nei giardini, nelle
fontane e negli edifici pubblici del mondo.
Grazie al suggerimento dell’amico Ivanilson, ho trovato
quattro grandi interpreti femminili di musica italiana che hanno avuto
collaborazioni con colleghi brasiliani in questi ultimi 50 anni. L’amore e le
affinità tra i due paesi sono molte e non li scopriamo certamente adesso.
Vediamo un po’ più in dettaglio di chi stiamo parlando. Vi consiglio vivamente di ascoltare i riferimenti video, per ogni artista.
SAMBA DELLA ROSA Ornella Vanoni Vinicius de Moraes e Toquinho (Letra)
Ornella
Vanoni
Grande voce e interpretazione.
Figlia d'un industriale farmaceutico, studia
all'estero in collegi di lusso. Nel 1953, tornata in Italia, s'iscrive alla
Scuola d'arte drammatica del Piccolo Teatro di Milano diretta da Giorgio
Strehler, con il quale stabilisce un rapporto sentimentale. E' in questo
periodo che comincia a farsi notare con le cosiddette "canzoni della
mala": pubblicati a partire dal 1958 su due EP, brani come "Ma
mi", "Senti come la vusa la sirena" (il suo 45 giri d'esordio),
"Hanno ammazzato il Mario" e "Le mantellate" costituiscono
il suo repertorio di quegli anni e vengono da lei eseguite nel ‘59 al Festival
dei Due Mondi di Spoleto. Finita l'esperienza con Strehler, la Vanoni si
accosta all'universo dei cantautori: il suo rapporto amoroso e artistico con
Gino Paoli segna una tappa importante della sua carriera, contraddistinta da
canzoni quali "Senza fine" (1961) e "Che cosa c'è" (1963).
E' del ‘61 il suo album di debutto, come la sua prima volta in gara al Festival
di Sanremo, con "Cercami"; nel ‘63 partecipa invece al
"Rugantino" di Garinei, Giovannini, Troavajoli, da cui ricava un 45 giri
poi divenuto celeberrimo, "Roma nun fa' la stupida stasera". Gli anni
seguenti segnano il raggiungimento del grande successo popolare, con "Tu
si' na cosa grande" (1964), "Io ti darò di più" (1966), "La
musica è finita" (1967) e "Tristezza" (1967). Il suo status di
signora della canzone è consacrato da una serie di concerti al Teatro Lirico di
Milano e dai due 33 giri "Ai miei amici cantautori" (1969-70), con
titoli di Modugno, Bindi, Paoli, Lauzi, Tenco oltre a grandi firme francesi ed
anglosassoni, da Trenet a Donovan.
Il tutto è fotografato in un meraviglioso
disco dal vivo, "Ah! L'amore, l'amore, quante cose fa fare l'amore!"
(1971), che contiene il suo pezzo forse più noto, "L'appuntamento" di
Roberto Carlos. Di qui in avanti, non si contano gli esiti commercialmente ed
artisticamente eccellenti del suo percorso. Qui ci limitiamo a ricordare solo
alcuni tra i momenti più significativi: l'ellepì "Dettagli" (1973) e
la canzone omonima; l'incontro con Sergio Bardotti; "La voglia, la pazzia, l'incoscienza e l'allegria" (1976), il
suo disco dedicato al Brasile di Toquinho e Vinicius de Moraes; la bella
trilogia formata da "Ricetta di donna" (1980),
"Duemilatrecentouno parole" (1981) ed "Uomini" (1982), con
chicche come "Musica musica", "Vai Valentina", la
suggestiva versione italiana di "Famous blue raincoat" di Leonard
Cohen firmata da Fabrizio De André; "Ornella &..." (1986), un
doppio con classici nostrani registrato negli Usa con jazzisti del calibro di
Gil Evans, Herbie Hancock, George Benson e Gerry Mulligan. Poi, certo, ci sono
pure i troppi dischi di cover dell'ultimo decennio, il tour celebrativo e un
po' furbo in coppia con Gino Paoli; ma si tratta in fin dei conti di peccati
veniali, pecche perdonabili ad un'interprete tra le più importanti della musica
leggera, non solamente indigena.
La cantante italiana più famosa al mondo (prima che
arrivasse Laura Pausini), a partire dalla seconda metà degli anni ’50. Voce unica, inarrivabile.
Presto trasferitasi a Cremona, non mostra da piccina
grandi velleità musicali. Solo nell'adolescenza comincia a muoversi
nell'ambiente: esibendosi alla guida d'un gruppo denominato gli Happy Boys, nel
1958 viene notata dal discografico Davide Matalon che ne promuove il debutto,
facendole incidere due brani in inglese ("Be Bop a Lula",
"When") con lo pseudonimo di Baby Gate e due in italiano ("Non
partir", "Malatia") col nome d'arte di Mina. Si tratta di
interpretazioni assai ortodosse, che non hanno speciali esiti. Con un nuovo
complesso, i Solitari, appare durante una puntata di "Lascia o
raddoppia": la sua esecuzione di "Nessuno", proposta in
precedenza da Wilma De Angelis, ne evidenzia da subito le particolari doti
canore. Sfruttando il vento favorevole, la giovane cantante compare in altre
trasmissioni televisive e in un film di Lucio Fulci, "Urlatori alla
sbarra" (1959), che si occupa del fenomeno. La verve dell' artista
principia ad evidenziarsi alle prese con brani ritmati, da "Tintarella di
luna" (1959) a "Una zebra a pois" (1960), ma riluce
particolarmente nella sua versione di "Sapore di sale" (1963),
composta da Gino Paoli e da lei resa in maniera superba. Partecipa a
"Canzonissima 1960", a vari festival di Sanremo (in verità, senza
troppa fortuna), a "Studio Uno" (ove esegue una
"Summertime" memorabile): le sue cover di pezzi stranieri, da "Città
vuota" ("It's a lonely town") sino a "Un anno d'amore"
("C'est irreparable"), surclassano poi gli originali e rendono l'idea
di un'epoca meglio di qualunque libro o film. E' il suo periodo più felice e
fecondo: titoli quali "E se domani" (1964) o "Se
telefonando" (1966) diventano subito dei classici; sulla scia di tanto
successo, Mina fonda una propria etichetta, la PDU. Nel 1967 incide "La
canzone di Marinella" d'un ancora poco noto Fabrizio De André; l'anno
successivo è la volta del suo primo 33 giri dal vivo, registrato alla Bussola
di Viareggio. I ‘70 la vedono consolidare il proprio rapporto con la premiata
ditta Mogol-Battisti, cui deve alcune delle sue cose più belle, da
"Insieme" (1970) a "Amor mio" (1971): ma la vetta della
hit-parade la raggiunge con "Grande, grande, grande" (1971) di Tony
Renis e Alberto Testa, già rifiutata da altre sue colleghe. Nel 1973 inizia la
tradizione del suo doppio album natalizio: si parte con "Amanti di
valore" (1973), cui fa seguito "Frutta e verdura" (1974). Da
questo momento in avanti, il percorso di Mina diviene più prevedibile:
ritiratasi dalle scene nel 1978, la "tigre di Cremona" si ritaglia un
ruolo da star del panorama nostrano, fondato solo sulla sua classe. Trent'anni
di superba routine, talvolta illuminati da qualche capolavoro (a dirne uno,
"Mina quasi Jannacci" nel ‘77): ma la stagione rivoluzionaria, la
strepitosa giovinezza artistica sono oramai dietro le spalle.
A metà degli anni sessanta e inizi anni ’70, sono
frequenti le sue esibizioni in Brasile, soprattutto a Rio e Bahia, provocando
il delirio degli spettatori.
Mina abbandona l’italia e la televisione nel 1978, si
rifugia nella tranquilla Lugano in Svizzera: non si riconosce più in una TV
sempre più “sporca e interessata” e un Paese che si sta autodistruggendo sia
politicamente, sia economicamente. Non si sente più italiana.
Inciderà ancora qualche disco, senza, però, farsi più
vedere.
Voce meravigliosa, a tratti malinconica. Donna bellissima.
Iscritta bambina a numerosi concorsi musicali, si
guadagna da vivere al contempo come stunt-girl (controfigura di Monica Vitti, è
pure coprotagonista dello spaghetti-western "E il terzo giorno arrivò il
corvo"). A 13 anni arriva in finale a Castrocaro eseguendo un brano di
Celentano, "Un bimbo sul leone"; nel ‘69 partecipa al Disco per
l'Estate, assieme a Peppino De Capri, con "Gente qua, gente là".
Nessuno la nota, ed andrà così per oltre un decennio: solo nel 1980, grazie al
duetto con Pierangelo Bertoli de "Il pescatore", ottiene qualche
riscontro.
L'anno dopo, partecipa a Sanremo con "Caffè nero bollente";
nell'84 è di nuovo sul palcoscenico dell'Ariston per "Come si
cambia", poi diviene nota alla platea della televisione grazie al
programma di Canale 5 "Premiatissima", che vince con una serie di
cover - poi raccolte in un disco - di canzoni d'autore, culminante nella
"Margherita" di Riccardo Cocciante. Il biennio 1987-88 è cruciale per
l'artista: nelle due edizioni presenta, infatti, a Sanremo "Quello che le
donne non dicono" di Enrico Ruggeri e poi "Le notti di maggio"
di Ivano Fossati, entrambe vincitrici del premio della Critica, oltre che fiori
all'occhiello in "Canzoni per parlare" (1988). Di qui in avanti, è un
ininterrotto crescendo: da "Di terra e di vento" (1989), che si
aggiudica la targa Tenco ed include la stupenda "Oh che sarà" di Chico Buarque, a "I treni a
vapore" (1992), con la magnifica title track di Ivano Fossati. "Gente
comune" (1994) contiene adattamenti da Caetano Veloso ("Il culo del
mondo") e Tom Waits ("Non voglio crescere più") di eccellente
qualità; tre anni più tardi, "Belle speranze" (1997) ne conferma l'eccellenza
d'interprete, grazie a pezzi quali "Il miracolo" degli Avion Travel e
"Il fiume e la nebbia" di Daniele Silvestri. Con il seguente doppio
dal vivo, "Certe piccole voci" (1998), ella guadagna l'ennesima targa
Tenco e ripercorre interamente la sua carriera, aggiungendo al repertorio perle
quali "L'amore con l'amore si paga", ancora del prediletto Ivano
Fossati, e "Sally", piccolo gioiello di Vasco Rossi. Nel 2001
licenzia "Fragile", con riletture di Paolo Conte ("Come mi
vuoi?") e di Francesco De Gregori ("L'uccisione di Babbo
Natale"). Dopo il trionfale tour nel 2002 con De Gregori, Ron e Pino
Daniele (immortalato in un doppio cd), giunge il terzo disco dal vivo,
"Concerti" (2004), con "Metti in circolo il tuo amore" di
Ligabue e "Clandestino" di Manu Chao.
Parecchio
intensa l'attività discografica recente: "Onda tropicale" (2006) è
omaggio alla musica popolare brasiliana, in cui duetta con Nascimento, Gilberto
Gil, Chico Buarque e Carlinhos Brown;
"Canzoni nel tempo" (2007) una raccolta
delle sue canzoni più conosciute, con versioni di "Dio è morto" di
Francesco Guccini e di "Io che amo solo te" di Sergio Endrigo;
"Il movimento del dare" (2008) il primo album d'inediti dopo sette
anni di pausa; "Ho imparato a sognare" (2009) una raccolta di titoli
di vari autori - da Lucio Battisti a Tiziano Ferro, da Renato Zero a Cesare
Cremonini - rivisitati dalla superba voce della "roscia".
Fiorella è parte attiva di Axe, un Progetto educativo che in Brasile ogni anno raccoglie dalla
strada più di mille bambini e adolescenti attraverso la musica, la danza e
l’arte in generale.
Laura Pausini comincia a cantare, a otto anni, con il suo papà nei locali di
piano bar.
Quando registra il suo primo album "I sogni di Laura", ha solo
tredici anni e contiene tredici brani, di cui due scritti da lei, ma firmati
dal padre perché troppo giovane, mentre gli altri sono interpretazioni di brani
famosi.
Laura Pausini partecipa ai concorsi canori nella sua regione e, nel 1991
partecipa al Festival di Castrocaro, dove non vince, ma fà un'esperienza che le
servirà, un paio di anni dopo, quando partecipa al Festival di Sanremo, Sezione
Nuove Proposte, con il brano "La Solitudine" che si classifica al
Primo posto.
Il successo arriva improvviso: l'album che
registra dopo l'affermazione al Festival con il titolo "Laura
Pausini" include "Mi rubi l'anima", cantata in duetto con Raf
resta in classifica, fra le prime 10 posizioni, per un anno intero in Italia. Al Festival di
Sanremo dell'anno dopo concorre nella Sezione Big con il brano "Strani
Amori" e si classifica al terzo posto, ma il successo della Pausini non ha
battute di arresto. Pubblica in Italia
l'album "Laura" e l'album "Laura Pausini" in spagnolo, con
il meglio dei primi due album italiani. Il successo
ottenuto in Spagna spinge Laura Pausini a rivolgersi con particolare attenzione
al mercato internazionale e registra l'album "Laura Pausini", per il
mercato inglese.
Tutti gli anni '90 sono piene di successi,
premi e riconoscimenti in Italia, Spagna ed America. In Brasile diventa
la cantante italiana più popolare. Laura Pausini fà il
suo primo tour mondiale "Laura Pausini - World Wide Tour '97"ed è
invitata a cantare al Concerto di Natale alla presenza di Papa Giovanni Paolo
II. I maggiori
parolieri e musicisti scrivono canzoni per lei che partecipa al "Pavarotti
& Friends", cantando da sola "One more time" e in coppia con
il maestroLuciano Pavarotti"Tu che m'hai preso il cor". Anche la
"Video Collection" in VHS che contiene tutti i video-clip
realizzati dalla Pausini, hanno un grande successo.
Negli anni dopo il 2000, il nome di Laura
Pausini è sempre più spesso accanto a quello dei VIP mondiali. nelle esibizioni
più esclusive: canta in occasione della consegna dei Premi Nobel a Oslo;
a Los Angeles nel concerto di beneficenza per le famiglie dei pompieri
scomparsi nella strage dell'11 settembre a New York con Kevin Spacey e
Alejandro Sanz. Laura Pausini duetta alla pari con con
Céline Dion, Mariah Carey, Gloria Estefan, Ricky Martin, Alejandro Sanz e
Shakira in "Todo para ti", canzone scritta e interpretata da Michael
Jackson per le famiglie delle vittime dell'11 settembre. Il successo non ha allontanato Laura dalla
gente meno fortunata di lei che è attiva in molte opere benefiche ed ha
adottato parecchi bambini delle favelas brasiliane. In questa terra si è
proposta più volte con concerti meravigliosi. Famosi cantanti scrivono brani per lei come
Biagio Antonacci con "Vivimi", Vasco Rossi con "Benedetta
Passione" e "Mi abbandono a te" scritto da Madonna.
In questo videoclip di
9 minuti i migliori momenti del tour 2009 in Brasile
In Italia il rinnovamento della
scultura diede risultati notevoli nel XX secolo, dopo le esperienze impressioniste diMedardo Rossoe quelle futuriste diUmberto Boccioni(nella foto la sua opera più famosa: Forme uniche della continuità nello spazio).
Tralasciando artisti
ancora legati alla scuola del vecchio realismo, come Evaristo Boncinelli
(1883-1948) e Angelo Zanelli (1879-1942), autore del grande fregio del
Vittoriano a Roma, un posto a parte occupa la figura diAdolfo Wildt(1868-1931), vero virtuoso del marmo
nelle sue composizioni grevi di suggestioni simboliche (Trilogia, Milano, Villa
reale; la Concezione, Milano, Museo della scienza e della tecnica) e vibranti
di trasparenze floreali, come nei metafisici ed esangui ritratti. Toccato dalle
esperienze futuriste di Boccioni fu Roberto Melli (Signora dal cappello nero,
Roma, Galleria nazionale d'arte moderna), mentre notevoli influenze francesi
sono rintracciabili nell'opera liberamente tradizionale diLibero Andreotti(1875-1933). Nell'ambito del rinnovato
classicismo si espressero Romano Romanelli (1882-1968), autore di monumenti e
notevoli ritratti, e ancora Alfredo Biagini (1886-1952), Arturo Dazzi, Italo
Griselli, Attilio Selva.
Ben altra importanza assume nella prima metà del secolo la
personalità diArturo Martini(1889-1947), creatore inesauribile e
virtuoso di ogni tipo di materiale, dalla creta al legno, alla pietra, al
bronzo. Narratore di vena sempre fresca, sembra talvolta riscoprire antichi
mondi mediterranei (La lupa, Vado Ligure, Casa Martini; La sete, Milano,
Galleria d'arte moderna), mentre altre volte si rifugia in una lirica intimità
nei deliziosi bozzetti in terracotta (Gli acrobati, Intra, Collezione Rosmini;
Attesa, Vado Ligure, Casa Martini; Chiaro di luna, Anversa, Museo di scultura)
e nei sensibili ritratti.
Mentre la produzione di Martini appare dunque varia e
imprevedibile, quella diMarino Marini(1901-1980) appare concentrata quasi
esclusivamente su un unico tema, quello del Cavallo e del Cavaliere (New York,
Museo d'arte moderna; Milano, Collezione Jucker; Rotterdam, Museo Boymans;
Dusseldorf Kunstmuseum). Sono figure e gruppi che hanno la forza e il fascino
di prodotti di antichissime civiltà, nei quali si ravvisano reminiscenze
etrusche e romaniche, eppure risultano di straordinaria modernità per il
supremo dominio dello spazio e la superba astrazione formale.
Temperamento più lirico e delicato è quello diFrancesco Messina(1900-1995 nella foto il suo cavallo morente), tecnico eccezionale, che
si pone quale ultimo erede della tradizione classica del Rinascimento nelle sue
delicate figure in terracotta o in bronzo (Beatrice, Milano, Collezione
privata) e nei pacati e sereni ritratti.Giacomo Manzù(1908-1991) sembra ricollegarsi
inizialmente agli ultimi risultati dell'impressionismo del Rosso, ma il
luminoso lirismo delle prime opere viene ben presto superato in virtù di un
plasticismo più contenuto e severo e di una maggiore sintesi formale (Bambina
sulla sedia, Milano, Raccolta privata d'arte moderna; Cardinale, Roma, Galleria
nazionale d'arte moderna). Una vivissima partecipazione umana anima tutte le
opere di Manzù, i sensibilissimi ritratti, le affascinanti figure femminili,
come pure i rilievi con Crocifissioni e Deposizioni raccolte e dolenti, nei
quali l'artista dispiega tutte le sue qualità di bronzista eccezionale nella
trattazione pittorica dei volumi e della luce. Questi caratteri della scultura
di Manzù appaiono veramente sublimati in quello che è forse il suo capolavoro,
la porta laterale in bronzo della basilica di San Pietro a Roma (porta della
Morte, 1962), e in quella del duomo di Rotterdam (1968).
Ancora figurativo,Emilio Greco(1913-1995) ha creato eleganti figure,
soprattutto femminili, dall'espressione talora ambigua e inquietante, con una
tecnica sempre raffinatissima (Anna, Milano, Galleria d'arte moderna).
Una passionale foga espressionista prevale chiaramente nelle opere
del primo periodo figurativo diMirko Basaldella(1910-1969, David, Roma, Galleria
nazionale d'arte moderna), passato poi all'astrattismo, senza nulla perdere
però della violenza formale che lo contraddistingue (cancellata per le Fosse
Ardeatine; nella foto Linee forze nello spazio 1953).
In Italia l'affermazione dell'astrattismo nella scultura fu
lenta e progressiva, e molti artisti oscillarono a lungo tra figurativo e
astrazione. Questa situazione è evidente nelle opere diMarcello Mascherini(1906-1983), diPericle Fazzini(1913-1987), diLuigi Broggini(1908-1983),
Il vero inizio dell'astrattismo in Italia può però datarsi 1930
quandoLucio Fontanatenne a Milano la sua prima
"personale" di scultura astratta; mentre forme sempre più
semplificate e pure sono create daAlberto Viani(1906-1986), memore
dell'esempio di Arp, in marmi di eccezionale purezza, ove il ricordo
dell'archetipo umano si stempera in curve fluide e superfici luminose
(Cariatide, Venezia, Ca' Pesaro). Gli esseri reali diAgenore Fabbri(1911-1998) sono snaturati e
drammatizzati dalla trattazione a piani aguzzi e spezzati, di una crudele
spigolosità (L'uomo di Hiroshima, Venezia, Ca' Pesaro), ma il passo decisivo
sulla via dell'astrattismo è compiuto daUmberto Mastroianni(1910-1998; Il cavaliere
alato, Torino, Galleria d'arte moderna), la cui visione libera nello spazio è
pienamente nuova e originale; daLuciano Minguzzi(1911-2004) con le sue fragili
composizioni di fili di metallo (Pas de quatre, Milano, Collezione privata) ;
daFrancesco Somaini(1926-2005) e daUmberto Milani(1912-1969). Tra i risultati più
apprezzabili di questa tendenza sono da annoverare le opere diPietro Cascella(nato nel 1920), geometrici incastri
di ruvida pietra, di primordiale risonanza; quelle diPietro Consagra(1920-2005), che anima di improvvise
lacerazioni le sue composizioni di sottili lastre metalliche; e infine quelle
dei fratelliArnaldo Pomodoro(nato nel 1926) eGio' Pomodoro(1930-2002) , creatori di un nuovo
linguaggio in rilievi palpitanti di sottili corrispondenze tra i minuti
elementi geometrici che li compongono (Terra e sole, Torino, Galleria d'arte
moderna; Colonna del viaggiatore, Collezione Nelson A. Rockefeller).
Un ulteriore allargamento del ventaglio dei materiali della
scultura si registra nella seconda metà del Novecento. Nei primi anni Sessanta
i minimalisti utilizzano elementi modulari e per lo più di asettica produzione
industriale privi di qualsiasi contenuto specifico; essi lavorano sul ritmo o
su variazioni iterate della struttura modulare di base rifiutando qualsiasi
interiorità ed emotività della forma scultorea, allontanando ogni espressione
individuale e gusto della piacevolezza a vantaggio dell'essenzialità esecutiva.
Un'estrema libertà di sperimentazione materica si ritrova
nell'ambito variegato dell'Arte Poverae
dell'arte concettuale. Negli anni SessantaPino Pascalirealizza Bachi da setola con
spazzoloni colorati. Nella Venere degli stracci (1967)Michelangelo Pistolettocontrappone alla Venere classica,
proposta in una banale copia in gesso collocata di spalle, una montagna
disordinata di stoffe e stracci. Con una serie di palle di cemento disposte per
terraAlighiero Boetticompone il suo autoritratto: lo che
prendo il sole a Torino il 19 gennaio 1969.Mario Merz, crea i suoi celebri Igloo
in terra, vetro e tubi fluorescenti;Gilberto Zorio, realizza opere in
ghiaccio colorato chimicamente, o impresse sul cuoio;Jannis Kounellis(di origine greca, ma da anni
residente in Italia), realizza grandi sculture in ferro e carbone, o in piombo;Giuseppe Penone, con i suoi tronchi
sezionati e pazientemente lavorati rende evidente la struttura dei condotti
linfatici.
Negli ultimi decenni del Novecento si è assistito anche al
riemergere di tendenze espressionistiche, con le opere di artisti comeMimmo Paladino, membro del gruppo
della Transavanguardia (nella foto: i dormienti).
Tra le altre importanti personalità del Novecento ricordiamo: