giovedì 31 ottobre 2013

I 403 FORMAGGI ITALIANI: DELIZIA PER IL PALATO.

I FORMAGGI ITALIANI SONO TANTI, TANTISSIMI... BEN 403 !!
SONO I PIÙ BUONI AL MONDO E NATURALMENTE, NON SONO IO A DIRLO: LE ESPORTAZIONI CRESCONO A LIVELLO ESPONENZIALE E IL CONSUMO È SEMPRE MAGGIORE; I RICONOSCIMENTI E PREMI, ORMAI NON FANNO PIÙ NOTIZIA.
NON PERDETE QUINDI L'OCCASIONE DI ASSAGGIARE QUESTE PRELIBATEZZE DELIZIOSE, NEL VOSTRO PROSSIMO VIAGGIO IN ITALIA.

SE, COME ABBIAMO GIÀ DETTO PER I VINI, I PRODOTTI ALIMENTARI ITALIANI POSSONO ECCELLERE NEL MONDO INTERO, È ANCHE GRAZIE PROPRIO AI FORMAGGI NOSTRANI. NATURALMENTE DIFFIDATE DALLE IMITAZIONI, SOPRATTUTTO QUELLE FRANCESI (...).

















I formaggi italiani

L’Italia vanta un notevole patrimonio caseario: sono  403 i formaggi prodotti, di cui circa una cinquantina tutelati dalla denominazione di origine protetta (Dop). Ce ne sono di famosi nel mondo come Mozzarella e Parmigiano Reggiano, e di tremendamente locali, come il Formai de mut, formaggio di monte della Alta Val Brembana (Bergamo), il Silter, una sorta di casera bresciana o la Vastedda del Belice (Sicilia), l'unico formaggio a pasta filata prodotto con latte ovino.

Ed è il Nord a vantare il maggior numero di Dop: Lombardia, Veneto e Piemonte sono le regioni che ne contano di più. La prima ha circa una decina di formaggi tutelati, dai più celebri, Gorgonzola, Grana padano e Taleggio ai più locali come la Formaggella del Luinese un formaggio di capra prodotto nelle valli intorno al lago Maggiore (Varese) o il Quartirolo lombardo uno stracchino quadrato che ha addirittura origini medioevali.
In Piemonte c'è invece la provincia con più formaggi Dop d'Italia: Cuneo, che ha l'esclusiva su Castelmagno, Raschera e Murazzano e condivide con altre le denominazioni di Grana padano, Gorgonzola, Bra e Toma piemontese.

Ma anche il centro e il Sud d'Italia sono ricchi di formaggi tipici e apprezzati: basti citare i vari pecorini dal toscano al romano, passando dal sardo al siciliano e a quello di Filiano (Basilicata) oppure al Provolone o alla Mozzarella di Bufala campana, esportati in tutto il mondo. Gli ultimi formaggi ammessi nel registro Dop sono lo Squacquerone (Emilia Romagna) e lo Strachitunt (Lombardia) che hanno ricevuto il marchio nel 2012.
A dispetto dei nostri storici concorrenti d'Oltralpe, i formaggi italiani, nel 2011, hanno superato i formaggi francesi anche in Francia, e sono da anni i prodotti alimentari più imitati e contraffatti al mondo. I primi mercati di sbocco dell'export, secondo i dati di Assolatte, sono Francia, Germania, Stati Uniti e Regno Unito per un giro d'affari di quasi due miliardi di euro. E' il Grana Padano il prodotto Dop più venduto all'estero. Insomma, in tema di formaggi, il campanilismo per ora ha dato buoni frutti.

SUDDIVISIONE

Di primo acchito volevo suddividerli per regione di produzione. Considerato, però, che alcuni formaggi vengono prodotti in più regioni, per comodità ho pensato alla soluzione più semplice, cioè elencarli in ordine alfabetico.
Non per essere nazionalista, ma personalmente trovo che i formaggi italiani siano tra i più buoni del mondo (non me ne vogliano i francesi...)
Comincerò col dirvi che la loro classificazione in categorie avviene a seconda del contenuto di grassi, della consistenza, del periodo di stagionatura e della temperatura di lavorazione della cagliata.
A seconda della CONSISTENZA, strettamente legata al contenuto d’acqua, troviamo:
  • Formaggi a dura (contenuto d’acqua inferiore al 40%)
  • Formaggi a pasta semidura (contenuto d’acqua tra il 40 ed il 45%)
  • Formaggi a pasta molle (contenuto d’acqua superiore al 45%)
In base al CONTENUTO DI GRASSO, troviamo:
  • Formaggi magri (contenuto di grassi inferiore al 20% della sostanza secca, cioè ciò che resta dopo aver tolto l’acqua), preparati con latte scremato.
  • Formaggi leggeri (contenuto di grassi tra il 20 ed il 35% della sostanza secca)
  • Formaggi preparati con latte intero (contenuto di grasso superiore al 35% della sostenza secca).
Se vogliamo suddividerli in base alla TEMPERATURA DI LAVORAZIONE DELLA CAGLIATA, abbiamo:
  • Formaggi a pasta filata: gruppo a sé stante, caratterizzati dalla filatura della cagliata in acqua calda
  • Formaggi a pasta cotta: si ottengono riscaldando la cagliata oltre i 48°C
  • Formaggi a pasta semicotta: la cagliata riscaldata non supera i 48°C
  • Formaggi a pasta cruda: la cagliata non subisce riscaldamento alcuno.
Suddividendoli, invece, per STAGIONATURA, saranno suddivisi in 4 gruppi:
  • Formaggi stagionati a maturazione lenta: oltre i 6 mesi di stagionatura
  • Formaggi stagionati a maturazione media: stagionatura non superiore ai 6 mesi
  • Formaggi stagionati a maturazione breve: stagionatura che non supera il mese
  • Formaggi freschi: quando vengono consumati entro pochi giorni dalla loro produzione
Un capitolo a parte meritano i formaggi cosiddetti ERBORINATI, contraddistinti dalla presenza della muffa "Penicillum glaucum" che produce macchie verdi nella pasta durante la maturazione. Originari quasi tutti dalla Lombardia, citiamo i più noti: Gorgonzola, Castelmagno, Murianego.

Ed eccoci alla presentazione di alcuni formaggi:



AOSTINO | ASIAGO | ASIO | BACCELLONE | BAGOSS | BALON | BEL PAESE (ITALICO) | BITTO | BOCCONCINI | BOSCAIOLA | BRA | BRANZI | BRUS  BURRATA | BURRATA DELLE MURGE | BURRINO | CACIO DI LUCARDO | CACIO SARDO |CACIOCAVALLO | CACIOCAVALLO SILANO | CACIOFIORE | CACIOTTA DI URBINO | CACIOTTA MARCHIGIANA | CACIOTTA ROMANA | CACIOTTA TOSCANA | CACIOTTA UMBRA | CAGLIATA | CANESTRATO | CANESTRATO PUGLIESE | CAPRINO | CASATELLA | CASCIOTTA DI URBINO | CASERA | CASOLET | CASTELMAGNO | CASU MARZU | COTTAGE | CRESCENZA | FIORDILATTE | FIORE SARDO | FONTAL | FONTINA | FORMAGGELLA | FORMAGGETTA | FORMAGGIO DELLA VAL FORMAZZA | FORMAGGIO DI FOSSA | FORMAGGIO DI SENIGALLIA | FORMAI DE MUT |FRESA | GIODDU | GIUNCATA | GORGONZOLA |GRANA PADANO | ITALICO | LATTERIA | MAGRO DI LATTERIA | MARCETTO | MARZOLINO | MASCARPONE | MONTASIO | MONTE VERONESE | MORLACCO DEL GRAPPA | MOZZARELLA DI BUFALA | MOZZARELLA DI BUFALA CAMPANA | MOZZARELLA DI VACCA | MURAZZANO | OVOLINA | PANERONE | PARMIGIANO REGGIANO | PECORINO | PECORINO CROTONESE | PECORINO ROMANO | PECORINO SARDO | PECORINO SICILIANO | PECORINO TOSCANO | PESTOLATO DELLA VAL LAGARINA | PIAVE | PRESSATO | PROVATURA | PROVOLA | PROVOLONE | PROVOLONE VALPADANA | QUARK | QUARTIROLO | RAGUSANO |  | RASCHERA | RASCHIO | RICOTTA | RASPADURA | RAVIGGIOLO | ROBIOLA | ROBIOLA DI ROCCA VERANO | SA CASADA | SALIGNON | SBRINZ | SCAMORZA | SIGHER | SILTER | SORA | SQUAQUARON | STERZINGER | STRACCHINO | STRACON | TALEGGIO | TOMA | TOMINO | VEZZENA | VIVARO



Vi lascio ora a un paio di video molto interessanti...

1) LA DEGUSTAZIONE - video:
http://www.youtube.com/watch?v=sxjqict_jsY&feature=share&list=PL362D6F1AEDDB21BA

2) I formaggi, varietà di sapori - Cenni storici, video:
http://youtu.be/lSRhgWtegbE




venerdì 25 ottobre 2013

Giuseppe Verdi: si festeggiano i 200 anni di un grande italiano

QUEST'ANNO RICCORRONO I 200 ANNI DALLA NASCITA DI GIUSEPPE VERDI, IL PIÙ GRANDE MUSICISTA ITALIANO.
IN ONORE E RICORDO DEL GRANDE COMPOSITORE SI SUSSEGUONO CONCERTI IN TUTTO IL MONDO PER RICORDARE QUESTO STRAORDINARIO MUSICISTA.
IERI SERA AD ARACAJU IL DIRETTORE DELL'ORCHESTRA SINFONICA DEL SERGIPE, HA DIRETTO MAGISTRALMENTE UN CONCERTO IN SUO ONORE: CON IL TEATRO TOBIAS BARRETO GREMITO FINO ALL'ULTIMO ORDINE DI POSTI, IL MAESTRO MANNIS CI HA ANCORA UNA VOLTA DELIZIATO NELLA DIREZIONE DI ALCUNI BRANI DA LUI SCELTI. LO RINGRAZIO PUBBLICAMENTE PER AVERMI DATO LA POSSIBILITÀ DI AIUTARLO A TRADURRE I TESTI PROPOSTI.

POSSIAMO PROPRIO DIRE CHE IERI SERA, È STATO PORTATO IN SCENA UN GRANDE ITALIANO AD ARACAJU...



L'Orchestra Sinfonica Sergipana diretta dal Maestro Guilherme Mannis

















Il Maestro "spiega" Verdi al pubblico















Video su Verdi trasmesso dalla Rai il 10 ottobre scorso




VERDI GIUSEPPE FORTUNINO FRANCESCO nacque da povera famiglia a Roncole di Busseto il 10 Ottobre 1813.
Sviluppatasi in lui molto presto una vigorosa inclinazione musicale, egli ebbe come primo maestro l’ organista delle Roncole Pietro Baistrocchi; si esercitava su una modesta spinetta e aiutava i genitori nella bottega, una modesta osteria di paese.
A dodici anni si recò a Busseto per aiutare negli affari il suo futuro protettore Barezzi, e fu a Busseto che studiò musica con il maestro di banda Provesi e latino con il canonico Seletti.
Fu in seguito a Milano con una borsa di studio del Monte di Pietà e con un sussidio del Barezzi: a diciannove anni tentò di entrare in Conservatorio, ma non vi fu ammesso (!!!) e decise di proseguire gli studi con il maestro Lavigna.



Tornato a Busseto, venne nominato maestro di musica del comune e direttore della banda.
Nel 1835 sposò la figlia del suo protettore Margherita Barezzi, da cui ebbe due figli che perirono con la madre a Milano negli anni 1838-1840, dove la famiglia Verdi si era nel frattempo trasferita.
La sua prima opera fu “Oberto Conte di San Bonifacio”(1839) rappresentata con successo al Teatro La Scala di Milano. La seconda opera “Un giorno di regno” (1840), a soggetto comico, cadde rovinosamente e aggiunse così nuovo dolore alle sciagure familiari.
Proprio allora iniziò la straordinaria produzione di opere. La sua instancabile e prodigiosa attività non cedette nemmeno alla vecchiaia che trascorse prevalentemente nella villa di Sant’Agata a pochi chilometri da Busseto, insieme alla inseparabile, fedelissima Giuseppina Strepponi, vissuta con lui dal 1849.
Giuseppe Verdi morì a Milano il 27 gennaio 1901 ed è oggi sepolto nella Casa di Riposo dei Musicisti da lui fondata.




                            Un momento del concerto di ieri sera



martedì 22 ottobre 2013

Crisi economica: peggiora la situazione in Italia.

MA LA CRISI IN ITALIA, C'È DAVVERO? ED È PER TUTTI? O SONO SOLO FANTASIE E IMMAGINAZIONI...
CON IL 40% DI DISOCCUPAZIONE (51% PER LE DONNE) E MIGLIAIA DI AZIENDE CHE FALLISCONO OGNI ANNO: OLTRE 12 MILA NEL 2011 E 2012, MENTRE NEL 2013 SONO GIÀ PIÙ DI 7.300 NEI PRIMI SEI MESI, PER UN TOTALE DI PIÙ DI 50 MILA DALL'INIZIO DELLA CRISI DEL 2008, CERCHIAMO DI METTERE UN PO' D'ORDINE SU COSA STA SUCCEDENDO NEL "BELPAESE"




NON RIMARRÀ NULLA, DELL'ITALIA. NEI PROSSIMI 10 ANNI SI DISSOLVERÀ



"Gli storici del futuro probabilmente guarderanno all'Italia come un caso perfetto di un Paese che è riuscito a passare da una condizione di nazione prospera e leader industriale in soli vent'anni in una condizione di desertificazione economica, di incapacità di gestione demografica, di rampate terzomondializzazione, di caduta verticale della produzione culturale e di un completo caos politico istituzionale. Lo scenario di un serio crollo delle finanze dello Stato italiano sta crescendo, con i ricavi dalla tassazione diretta diminuiti del 7% in luglio, un rapporto deficit/Pil maggiore del 3% e un debito pubblico ben al di sopra del 130%. Peggiorerà.

Il governo sa perfettamente che la situazione è insostenibile, ma per il momento è in grado soltanto di ricorrere ad un aumento estremamente miope dell'IVA (un incredibile 22%!), che deprime ulteriormente i consumi, e a vacui proclami circa la necessità di spostare il carico fiscale dal lavoro e dalle imprese alle rendite finanziarie. Le probabilità che questo accada sono essenzialmente trascurabili. Per tutta l'estate, i leader politici italiani e la stampa mainstream hanno martellato la popolazione con messaggi di una ripresa imminente. In effetti, non è impossibile per un'economia che ha perso circa l'8 % del suo PIL avere uno o più trimestri in territorio positivo. Chiamare un (forse) +0,3% di aumento annuo "ripresa" è una distorsione semantica, considerando il disastro economico degli ultimi cinque anni. Più corretto sarebbe parlare di una transizione da una grave recessione a una sorta di stagnazione. 

Il 15% del settore manifatturiero in Italia, prima della crisi il più grande in Europa dopo la Germania, è stato distrutto e circa 32.000 aziende sono scomparse (solo di questo settore n.d.r.). Questo dato da solo dimostra l'immensa quantità di danni irreparabili che il Paese subisce. Questa situazione ha le sue radici nella cultura politica enormemente degradata dell'élite del Paese, che, negli ultimi decenni, ha negoziato e firmato numerosi accordi e trattati internazionali, senza mai considerare il reale interesse economico del Paese e senza alcuna pianificazione significativa del futuro della nazione. L'Italia non avrebbe potuto affrontare l'ultima ondata di globalizzazione in condizioni peggiori. La leadership del Paese non ha mai riconosciuto che l'apertura indiscriminata di prodotti industriali a basso costo dell'Asia avrebbe distrutto industrie una volta leader in Italia negli stessi settori. Ha firmato i trattati sull'Euro promettendo ai partner europei riforme mai attuate, ma impegnandosi in politiche di austerità. Ha firmato il regolamento di Dublino sui confini dell'UE sapendo perfettamente che l'Italia non è neanche lontanamente in grado (come dimostra il continuo afflusso di immigrati clandestini a Lampedusa e gli inevitabili incidenti mortali) di pattugliare e proteggere i suoi confini. Di conseguenza, l'Italia si è rinchiusa in una rete di strutture giuridiche che rendono la scomparsa completa della nazione certa.

L'Italia ha attualmente il livello di tassazione sulle imprese più alto dell'UE e uno dei più alti al mondo. Questo insieme a un mix fatale di terribile gestione finanziaria, infrastrutture inadeguate, corruzione onnipresente, burocrazia inefficiente, il sistema di giustizia più lento e inaffidabile d'Europa, sta spingendo tutti gli imprenditori fuori dal Paese. Non solo verso destinazioni che offrono lavoratori a basso costo, come in Oriente o in Asia meridionale: un grande flusso di aziende italiane si riversa nella vicina Svizzera e in Austria dove, nonostante i costi relativamente elevati di lavoro, le aziende troveranno un vero e proprio Stato a collaborare con loro, anziché a sabotarli. A un recente evento organizzato dalla città svizzera di Chiasso per illustrare le opportunità di investimento nel Canton Ticino hanno partecipato ben 250 imprenditori italiani. 

La scomparsa dell'Italia in quanto nazione industriale si riflette anche nel livello senza precedenti di fuga di cervelli con decine di migliaia di giovani ricercatori, scienziati, tecnici che emigrano in Germania, Francia, Gran Bretagna, Scandinavia, così come in Nord America e Asia orientale. Coloro che producono valore, insieme alla maggior parte delle persone istruite è in partenza, pensa di andar via, o vorrebbe emigrare. L'Italia è diventato un luogo di saccheggio demografico per gli altri Paesi più organizzati che hanno l'opportunità di attrarre facilmente lavoratori altamente, addestrati a spese dello Stato italiano, offrendo loro prospettive economiche ragionevoli che non potranno mai avere in Italia.

L'Italia è entrata in un periodo di anomalia costituzionale. Perché i politici di partito hanno portato il Paese ad un quasi - collasso nel 2011, un evento che avrebbe avuto gravi conseguenze a livello globale. Il Paese è stato essenzialmente governato da tecnocrati provenienti dall'ufficio del Presidente Repubblica, i burocrati di diversi ministeri chiave e la Banca d'Italia. Il loro compito è quello di garantire la stabilità in Italia nei confronti dell'UE e dei mercati finanziari a qualsiasi costo. Questo è stato finora raggiunto emarginando sia i partiti politici sia il Parlamento a livelli senza precedenti, e con un interventismo onnipresente e costituzionalmente discutibile del Presidente della Repubblica , che ha esteso i suoi poteri ben oltre i confini dell'ordine repubblicano. L'interventismo del Presidente è particolarmente evidente nella creazione del governo Monti e del governo Letta, che sono entrambi espressione diretta del Quirinale. L'illusione ormai diffusa, che molti italiani coltivano, è credere che il Presidente, la Banca d'Italia e la burocrazia sappiano come salvare il Paese. Saranno amaramente delusi. L'attuale leadership non ha la capacità, e forse neppure l'intenzione, di salvare il Paese dalla rovina. Sarebbe facile sostenere che Monti ha aggravato la già grave recessione. Letta sta seguendo esattamente lo stesso percorso: tutto deve essere sacrificato in nome della stabilità. I tecnocrati condividono le stesse origini culturali dei partiti politici e, in simbiosi con loro, sono riusciti ad elevarsi alle loro posizioni attuali: è quindi inutile pensare che otterranno risultati migliori, dal momento che non sono neppure in grado di avere una visione a lungo termine per il Paese. Sono in realtà i garanti della scomparsa dell'Italia. 

In conclusione, la rapidità del declino è davvero mozzafiato. Continuando su questa strada, in meno di una generazione non rimarrà nulla dell'Italia nazione industriale moderna. Entro un altro decennio, o giù di lì, intere regioni, come la Sardegna o Liguria, saranno così demograficamente compromesse che non potranno mai più recuperare. I fondatori dello Stato italiano 152 anni fa avevano combattuto, addirittura fino alla morte, per portare l'Italia a quella posizione centrale di potenza culturale ed economica all'interno del mondo occidentale, che il Paese aveva occupato solo nel tardo Medio Evo e nel Rinascimento. Quel progetto ora è fallito, insieme con l'idea di avere una qualche ambizione politica significativa e il messianico (inutile) intento universalista di salvare il mondo, anche a spese della propria comunità. A meno di un miracolo, possono volerci secoli per ricostruire l'Italia.

Roberto Orsi - London School of Economics 18.10.2013


sabato 19 ottobre 2013

ALDO CAPITINI: IL FILOSOFO DELLA NONVIOLENZA


45 anni fa, il 19 ottobre 1968, moriva Aldo Capitini, un nonviolento aperto, libero, religioso.Una figura misconosciuta del panorama italiano, di fondamentale importanza per l’italia antifascista e post bellica.
La rinascita morale dell'uomo ispirata a Gandhi. Un maestro della pratica nonviolenta.


In questo bellissimo video, uno spaccato di storia italiana. Da non perdere.


 L’ho visto solo nelle poche foto in bianco e nero. Mi ha sempre piacevolmente stupito il contrasto fra quell’aria austera dietro gli occhiali spessi e il suo indomabile spirito giovanile, aperto e innovativo, in perenne ricerca. Aldo Capitini muore il 19 ottobre 1968. Noi ultra cinquantenni di oggi non l’abbiamo conosciuto, eravamo ancora troppo piccoli. Di lui abbiamo sentito parlare solo qualche anno più tardi, ai tempi degli obiettori in carcere, della legge 772, delle prime esperienze di servizio civile. Abbiamo scoperto così che non siamo stati i pionieri ma che qualche decennio prima di noi un professore antifascista già difendeva l’obiezione di coscienza e organizzava le Marce per la pace. Incominciavamo a muovere i primi passi nel campo sociale e politico, e leggere «Teoria della nonviolenza» o «Le tecniche della nonviolenza» ci faceva intuire quanto è vasto l’orizzonte della nonviolenza e ci invogliava a correre in avanti, per vedere un po’ più in là. Molti nostri coetanei preferivano le barricate, sognavano la guerriglia e sceglievano simboli con i fucili. Noi ci siamo affezionati al fucile spezzato che spuntava dalle pagine della rivista «Azione nonviolenta». Ci sentivamo vicini alla voglia “rivoluzionaria” di cambiamento dei tanti movimenti giovanili di sinistra ma ci allontanava quel loro compiacimento della violenza, a volte “dolorosa ma necessaria”, altre volte “levatrice della storia”.
Il percorso culturale e politico di Aldo Capitini, che abbiamo approfondito leggendo i suoi libri, ci sarà di grande aiuto.
Scopriamo che già negli anni ’40, dopo l’esperienza comune del carcere come perseguitati politici, si incrina il rapporto fra Capitini e la sinistra. Lui che vuole realizzare il movimento, gli altri che fondano il partito. Lui, che fa esplicita scelta nonviolenta, gli altri che organizzano la rivolta armata. Verso la sinistra, il liberalsocialismo, manterrà sempre un atteggiamento di dialogo, di “aggiunta”. Nel dopoguerra non aderisce ad alcun partito, e così Capitini – che era stato fra i primissimi e i pochissimi a rifiutare da subito il fascismo e che tanto fece e patì durante il regime di Mussolini – venne lasciato fuori dal Comitato di Liberazione Nazionale e dalla Costituente. Da solo inizia un lungo lavoro per l’affermazione del metodo della nonviolenza. Fino alla morte è attivissimo: fonda i Centri di Orientamento Sociale, il Movimento di Religione, il Centro di coordinamento internazionale per la nonviolenza, la Società Vegetariana Italiana, l’Associazione per la difesa e lo sviluppo della Scuola pubblica, la Consulta Italiana per la Pace, il Movimento Nonviolento. Organizza convegni e seminari sui temi della pace, delle tematiche religiose, della scuola, della pedagogia. Scrive e pubblica moltissimo: «La realtà di tutti», «Nuova socialità e riforma religiosa», «L’atto di educare», «Il fanciullo nella liberazione dell’uomo», «Religione aperta», «Colloquio corale», «Rivoluzione aperta», «L’obiezione di coscienza in Italia», «Battezzati non credenti», «L’educazione civica nella scuola e nella vita sociale», «La compresenza dei morti e dei viventi», «Educazione aperta», «Le tecniche della nonviolenza». Fonda e dirige anche due riviste: «Il potere di tutti» e «Azione nonviolenta».
Dobbiamo constatare che dopo tanti anni i lavori pratici e intellettuali di Capitini restano sconosciuti ai più, ma le sue intuizioni sulla nonviolenza si sono in molta parte realizzate, mentre altre teorie e pratiche politiche sono rimaste sepolte sotto il Muro di Berlino. Il seme ha germinato. I casi della vita mi hanno portato a dirigere la rivista «Azione nonviolenta», voluta da Capitini per «aiutare noi e gli altri a chiarirci le idee in un metodo che è destinato a rinnovare profondamente la società umana (…) il metodo nonviolento, straordinariamente dinamico, finisce per avere ragione e per trasformare le attuali società, che sono società di pochi, in una società veramente di tutti. Perché questa persuasione interiore diventi consapevole e largamente diffusa, è necessario lavorare». Proseguire l’opera di Capitini è un compito davanti al quale ci si sente spesso inadeguati. Per aiutarsi bisogna ricorrere ancora una volta al metodo nonviolento che esige prima di tutto «qualità di coraggio, tenacia, sacrificio e di non perdere mai l’amore».
di Mao Valpiana  (presidente del Movimento Nonviolento)


sabato 12 ottobre 2013

VENEZIA UNICA AL MONDO

QUANDO PENSIAMO A VENEZIA, SI RISCHIA DI FINIRE NELLA RETORICA. PAROLE COME UNICA, ROMANTICA, BELLISSIMA, INDIMENTICABILE, POSSONO RISUONARE COME SPOCCHIOSE E ESAGERATE. INVECE, MAI COME IN QUESTO CASO, SONO LE PIÙ APPROPRIATE...




Chiamata Venetia la "X Regio" nell'Impero Romano era costituita  grosso modo dai territori che oggi conosciamo come Veneto, Friuli, Trentino e Istria. Il confine meridionale era rappresentato dal mare Adriatico: un'ampia zona soggetta a progressivi mutamenti orografici, con fiumi di ampia portata che, combinando la loro azione con quella dei flutti marini, davano origine a un ambiente di tipo paludoso, con numerose lagune. Si trattava di un ecosistema "dinamico", una sorta di "via di mezzo" fra l'ambiente dell'entroterra, relativamente stabile, e quello marino.
Questa zona, che faceva parte della terra dei Veneti, assimilati all'Impero, era in epoca romana, abitata da pescatori, "salinari" (addetti, cioè, alle saline), tutti esperti nell'arte di costruire e manovrare imbarcazioni adatte all'ambiente lagunare e fluviale. La stessa zona, tra l'altro, forse per la sua "tranquillità", era usata come "luogo di villeggiatura" dai ricchi abitanti delle vicine città romane (come Padova, Altino, Aquileia).
Col progressivo disgregarsi dell'Impero e con invasioni dei popoli germanici, in particolare nel VI secolo, le zone lagunari finirono coll'offrire un rifugio a quanti vedevano le loro terre e i loro beni in balia degli invasori: avventurarsi via fiumi e canali non era facile, per chi non conosceva la zona, e i lidi sabbiosi costituivano un'ottima protezione da un eventuale attacco (dal mare). Fu in particolare, l'attuale laguna di Venezia a vedere crescere maggiormente la sua popolazione. Naturalmente questo significò anche un profondo mutamento della composizione sociale nel territorio lagunare: molti profughi erano benestanti o proprietari terrieri o allevatori delle città dell'entroterra, come Altino e Oderzo. I primi centri che si vennero a creare furono Malamocco (su un lido), Torcello (un'isola allo sbocco del fiume Sile) e un altro gruppo di isole al centro della laguna, la futura Venezia.
Se l'entroterra era in mano alle popolazioni germaniche, le lagune restarono, invece, nell'orbita latina, come parte dell'Impero d'Oriente, dipendendo direttamente da Ravenna. Fin dall'inizio, dunque, si stabilisce un profondo legame col mondo bizantino. Alla fine del VII secolo gli abitanti delle lagune non erano più governati dai "tribuni marittimi", i comandanti militari bizantini, ma avevano un comando autonomo sotto un "dux", da cui il termine "doge". Nasce  in tal modo la prima forma di stato veneziano (seppur legato a Bisanzio): il "Dogado".
Verso l'810 il governo del "doge" Agnello Particiaco si sposta da Malamocco e si insediò nella zona di Rivo Alto, al centro della laguna. È qui che per convenzione comincia la "Storia di Venezia". 
C'è una strana storia che riguarda il trafugamento del corpo di S. Marco avvenuto in Egitto; la tradizione vuole che per nascondere alle guardie portuali egiziane il corpo quando venne trafugato, "scaltri" mercanti lo nascondessero sotto uno strato di carne di maiale, notoriamente aborrita dai musulmani. Nella prima metà del X secolo furono due i mercanti veneziani che trafugarono da Alessandria d'Egitto le spoglie di S. Marco evangelista, e la leggenda narra che lui si fosse rifugiato su una delle isole realtine, dopo un naufragio. Il corpo viene quindi "ri-portato" a Rivo Alto e tumulato nell'erigenda cappella del doge, quella che sarà la Basilica di S. Marco. Aldilà di leggende e trafugamenti avventurosi, quel che è interessante da un punto di vista storico è la presenza di mercanti veneziani nel Levante già dal IX secolo!
Ciò significa che, all'epoca, i "navigatori lagunari" avevano già iniziato ad estendere il raggio della loro azione. In effetti, a quel tempo Venezia ha già cominciato a lottare per il controllo dell'Adriatico: deve farlo per sopravvivere, per difendere i propri interessi mercantili e per... accumulare ricchezze. Come tutte le potenze marittime, infatti, Venezia alterna azioni di "polizia marittima", per proteggere i propri scambi e gli interessi di quell'Impero d'Oriente che ora più che mai lei rappresenta, ad azioni di vera e propria "pirateria". In questo modo arriva a controllare tutto l'Adriatico. Grazie all'abilità della sua "marina militare" ottiene decisivi riconoscimenti dall'Imperatore d'Oriente ed eccezionali privilegi per i suoi mercanti. Alla fine dell'XI secolo, i veneziani sono i principali clienti e i principali fornitori di Bisanzio!
Ma l'abilità della marineria veneziana era integrata da un'altrettanta abile "diplomazia", che porta il giovane stato ad una serie di fruttuosi accordi commerciali (oltre a quelli già stipulati con Bisanzio e l'Imperatore germanico) con i principi nordafricani, siriani ed egiziani. Ormai Venezia vuole diventare il tramite dei traffici tra l'Oriente e la penisola, perciò inizia una serie di azioni e di guerre contro i porti rivali dell'Adriatico (Ancona, Zara, Ragusa) e contro i pirati slavi, passando dal "controllo" al "dominio" del mare. La presa di Bisanzio fu favorita da un artificio bellico dei Veneziani.
È però con le Crociate che Venezia ha l'occasione di incrementare la propria posizione sullo scacchiere del mediterraneo orientale e di risolvere il suo ambiguo rapporto con Bisanzio. Nel periodo delle prime tre crociate i veneziani avevano avuto l'occasione di accumulare notevoli ricchezze con le razzie e, soprattutto, col controllo e coi vantaggi dei commerci in varie aree del Levante. Ma fu con la IV Crociata che la Repubblica di S. Marco compì il "salto di qualità" e si inserì nel novero delle potenze marittime. Fu un'impresa guidata dagli stessi veneziani, che riuscirono a trarne i massimi vantaggi: lungi dal liberare i luoghi santi e prendendo spunto dalla crisi interna all'Impero d'Oriente, la spedizione portò, nel 1204, alla conquista e al saccheggio di Bisanzio e allo smembramento del suo Impero. Alla fine, Venezia conquisterà "un quarto e mezzo dell'Impero romano", il che si tradurrà nel possesso di tutta una serie di isole, porti e fortezze costiere nell'Egeo e nello Ionio: l'inizio del suo Impero Marittimo. 
Il successo riportato con la IV Crociata dava modo a Venezia di consolidare i suoi traffici con la "Romània" (ciò che era stato l'Impero d'Oriente) e l'"Oltremare", cioè quelle zone costiere della Siria e della Palestina in cui i crociati avevano fondato i loro effimeri regni. Porti come Tripoli (del Libano), Tiro, Acri, Giaffa, Haifa costituivano dei centri commerciali ben appetiti, poiché vi giungevano delle mercanzie estremamente pregiate e molto richieste in Occidente come spezie (provenienti dalle Indie), tessuti e prodotti di lusso.
Ma la concorrenza diventa facilmente rivalità e questa può a sua volta mutarsi in conflitto. È quello che successe tra Venezia e Genova. La repubblica marinara genovese si era insediata anche lei nell'Oltremare e, per gli aiuti dati ai Crociati, aveva ottenuto più privilegi. Ad una serie di incidenti avvenuti in Tiro, seguirono quattro violente guerre, che nello spazio di circa 120 anni, sfiancarono e provarono duramente le due contendenti. L'ultimo conflitto fu il più drammatico per Venezia, perché vide compromessa la sua stessa sopravvivenza: pressata a nord-est dal re d'Ungheria e dalla Signoria padovana dei Carrara, si ritrovò coi Genovesi in laguna, dato che nel 1378 conquistarono Chioggia. Ma fu tutta la città a unirsi strettamente nel momento di maggior pericolo e Venezia riuscì a resistere e a riconquistare Chioggia. La pace che ne seguì (Torino, 1381) lasciò irrisolti i problemi di fondo che avevano provocato il lungo conflitto con Genova, ma alla lunga, il solo fatto di essere sopravvissuta e aver mantenuto le colonie principali la resero la vera vincitrice della lotta.
Il pericolo corso durante la guerra di Chioggia, convinse i Veneziani della necessità di un controllo sul retroterra, per impedire che una qualsiasi potenza bloccasse le vie di accesso alla laguna, vitali sia per la sopravvivenza che per i commerci e per l'approvvigionamento di materie prime. Iniziò così una fase di espansione in terraferma. Alleandosi al Signore di Milano, Gian Galeazzo Visconti, Venezia sterminò i Carraresi di Padova e, agli inizi del '400, conquistò Padova, Vicenza e Verona. Poco più tardi acquistò anche Bergamo e Brescia, penetrando profondamente in Lombardia. In questo periodo la potenza navale raggiunge l'apogeo e la Repubblica di S. Marco assume l'appellativo di "Serenissima" e il doge quello di "Serenissimo Principe".
L'espansione in terraferma aveva sancito, per Venezia, il ruolo di "potenza", con tutto ciò che poteva comportare: i territori, dopo averli conquistati, bisogna anche difenderli e una politica espansionistica attira sempre le invidie e le preoccupazioni degli altri Stati.
Così Venezia si trovò impegnata su due fronti estremamente ambiziosi: il predominio sul mare e quello sulla penisola italiana. Ma alla fine del '400, grandi avvenimenti stavano sconvolgendo il mondo: le nuove scoperte geografiche e il nuovo ruolo degli Stati nazionali. Le prime non fecero sentire immediatamente il loro influsso sulla vita della Repubblica di S. Marco, ma le seconde sì.
L'invasione dell'Italia da parte dei francesi nel 1494 apriva un'era nuova per tutti gli Stati peninsulari e Venezia si trovò impegnata con entità statali molto più potenti. Il giro di alleanze e la sua strategia la portò nel 1495 a conquistare avamposti in Puglia, area chiave per il controllo di Adriatico e Ionio, e ad ottenere la ricca città di Cremona. Ma, concentrandosi troppo sulla penisola, perse di vista il suo impero marittimo e nel 1499 i Turchi la privarono d'importanti città sulle coste albanesi e greche. Con la pace del 1503 Venezia rinunciò alle sue pretese su queste città, dimostrando di pensare più ai territori italiani che alla potenza navale.
Lo spregiudicato gioco di alleanze e il suo ruolo di prima potenza italiana (come in effetti era diventata) produssero una colossale alleanza contro di lei: nel 1509 si costituì la lega di Cambrai che vedeva quasi tutta l'Europa contro Venezia. Dopo aver tentato di spezzare diplomaticamente la coalizione, Venezia mise in piedi un esercito colossale per uno stato italiano: 20.000 uomini. Per errori strategici ,esso però fu sonoramente battuto ad Agnadello, in Lombardia, e costretto alla ritirata. La sconfitta scatenò la ribellione delle città assoggettate, cosicché Venezia si ritrovò assediata, come nella IV guerra con Genova. Ma ancora una volta il pericolo suscitò il patriottismo in laguna, mentre nelle provincie artigiani e contadini si accorgevano dell'arroganza e della ferocia degli invasori e si aggregavano alle truppe riorganizzate. Dopo sette anni di guerra, riuscendo anche a rovesciare diplomaticamente molte alleanze, Venezia riuscì a riguadagnare il grosso dei territori di terraferma perduti.
Dopo questa esperienza Venezia seguì una politica di neutralità e, con la diplomazia, riuscì a difendersi dagli invasori che imperversavano nel resto della penisola. Ma il confronto con le "grandi potenze" vedeva ridimensionata la sua forza sul mare, data la crescite delle marinerie dell'Impero Turco e di quello Spagnolo. 
La nuova situazione che si era venuta a creare con la formazione e il consolidamento di grandi imperi a est e a ovest del Mediterraneo, metteva Venezia in una posizione difficile; d'altro canto Venezia si era dissanguata con le guerre italiane e ora si trovava in difficoltà anche sul mare: le flotte spagnola e turca la costringevano ad un continuo sforzo di adeguamento.
Intanto nuovi e pericolosi concorrenti si affacciavano sulla scena mercantile, ma Venezia riuscì per un certo periodo a tener loro testa, anzi, nel corso del XVI secolo si verificò una significativa ripresa dei traffici per i mercanti veneziani, che detenevano ancora buone basi come Cipro, Creta e Corfù fino al 1570.
All'inizio del 1570 il sultano turco sequestra navi veneziane nel Bosforo e nei Dardanelli e manda un ultimatum alla Serenissima. Il governo di Venezia respinge l'ultimatum e si mobilita diplomaticamente, ma a luglio una flotta turca sbarca a Cipro e assedia la capitale.
Venezia cerca di mobilitare altre potenze e, inaspettatamente, trova un alleato in papa Pio V, che vede la possibilità di un'ennesima "crociata". Tra mille difficoltà politiche e diplomatiche si riesce a mettere insieme una coalizione, la "Lega Santa", i cui principali fautori erano Venezia, gli Asburgo (e certo il Papa).
Il risultato fu la grande vittoria navale di Lepanto (1571) che, purtroppo, non portò a Venezia i benefici sperati.
Lepanto, in pratica, costituì una grande "vittoria morale", celebrata in città in mille modi, ma non impedì alla potenza navale veneziana di imboccare la via del declino. Il periodo che seguì vide l'affermarsi di altre vie di traffico (quelle oceaniche) e il progressivo venir meno delle rotte nel Mediterraneo. Il XVII secolo si presenta come un periodo di stasi economica e politica. Venezia, sorda a quanto sta avvenendo negli oceani, cerca di riaprire le vie del commercio Levantino e di mantenere i suoi ultimi possedimenti. Ma alla metà del '600, l'Impero Turco la impegna in una lunga lotta per il possesso di Creta, fra l'indifferenza delle altre potenze impegnate nella "Guerra dei trent'anni". Nel 1669 anche Creta è perduta.
Venezia si rifarà qualche anno più tardi col suo comandante Francesco Morosini, che diverrà anche Doge. Egli strapperà ai Turchi il Peloponneso, che la pace di Carlowitz del 1699 confermerà come ultima conquista veneziana. 
L'ultima conquista, difficile da mantenere per la lontananza, non ebbe vita lunga: nel 1714 i Turchi si ripresero senza eccessivo sforzo il Peloponneso, approfittando della solitudine "politica" di Venezia. Tentarono poi di prendere anche Corfù, ma la resistenza della Serenissima si acuì e stavolta le vennero in aiuto alcuni stati cristiani, fra cui gli Asburgo d'Austria. Anche grazie al loro aiuto Venezia riuscì a conservare Corfù (1716), ultimo baluardo di quello "stato da mar" che tanto inorgogliva la Venezia del passato. Nell'Adriatico ormai le flotte da guerra straniere operavano tranquillamente senza il permesso di Venezia, come avveniva in passato. Ormai la potenza navale veneziana è solo un'ombra: la sua cantieristica è, di fatto, sorpassata e dopo la guerra di Corfù l'Arsenale si limiterà a produrre meno di una nave all'anno; il ruolo di "dominatrice dell'Adriatico" è un ricordo lontano e la "temibile" flotta da guerra veneziana stenta a proteggere i convogli mercantili dagli attacchi corsari.
Nel contempo la città gode un'incredibile stagione artistica: i suoi palazzi, le sue chiese i suoi luoghi pubblici si arricchiscono di un gran numero di opere d'arte, tanto che il Governo decide di farle inventariare per impedire che finiscano all'estero; Venezia è, infatti, meta di viaggio di molti forestieri facoltosi e il suo aspetto e i suoi tesori artistici ne guadagnano l'ammirazione e il desiderio di conservarne un ricordo tangibile.   Ecco, quindi, nasce una scuola pittorica detta dei "vedutisti", che realizzano celebri "vedute di Venezia" (ricordiamo, fra tutti i vedutisti, il Guardi e il Canaletto).
All'interno dei palazzi e degli edifici pubblici furoreggia, invece, l'arte di Giovanni Battista Tiepolo, autore di bellissimi affreschi. Suo figlio Giandomenico, assieme a Pietro Longhi, si specializza nella pittura "di genere", rappresentando deliziose scene di vita sociale e familiare. Nei teatri imperversa la vena creativa di Carlo Goldoni. Nella sua bottega di scultore Antonio Canova crea il "Dedalo e Icaro", prototipo di quella scultura neoclassica che lo renderà celebre in tutto il mondo. E questi sono solo alcuni esempi.
Mentre la vita del patriziato cittadino si trascina tra feste e attività artistiche, nuovi grandi avvenimenti stanno sconvolgendo il mondo: le rivoluzioni americana e francese; l'avvento di Napoleone. Quando il Bonaparte invade la pianura padana, Venezia rinuncia ad appoggiare Bergamo e Verona che si erano ribellate all'avanzata napoleonica. Cerca di ricorrere ancora una volta all'abilità diplomatica, ma l'ambizioso comandante francese passa all'attacco. La classe dirigente veneziana, imbelle e troppo preoccupata di perdere i possedimenti in terraferma, accetta le incredibili condizioni e delibera la fine della Serenissima. È il 12 maggio 1797.
Solo il popolo, artigiani e bottegai in primis, capisce che dietro le "libertà" strombazzate da Napoleone c'è la rovina. Si ribella e viene preso a cannonate dal ponte di Rialto.  Ma aveva ragione: dopo qualche giorno Napoleone col suo esercito entra in Venezia e la saccheggia; ancora qualche mese e la città viene ceduta all'Austria, diventando, così, suddita dell'Imperatore. 

adattato per gentile concessione di GondolaVenezia


giovedì 3 ottobre 2013

BUD SPENCER E TERENCE HILL: ITALIANI DOC


MAESTRI DELLA GESTUALITÀ COME CHARLOT E BUSTER KEATON, BUD SPENCER E TERENCE HILL RISCOPRONO LA COMICITÀ DEGLI OPPOSTI. I LORO FILM SONO ORMAI DEI MITI CON I QUALI, FORTUNATAMENTE, SONO CRESCIUTO A SUON DI RISATE.
UN CONSIGLIO: GUARDATELI ANCHE VOI!!!  INTRAMONTABILI....





BUD SPENCER (“IL PERSONAGGIO...”)
Carlo Pedersoli (vero nome di Bud Spencer) nasce a Napoli il 31 ottobre 1929; la famiglia è di ceto medio ed il padre, un imprenditore, risente del periodo nero dell'epoca a cavallo tra le due Guerre Mondiali. Nel 1934 nasce a Napoli la prima sorella di Carlo, Vera. Nel 1935 Carlo inizia il percorso scolastico con le scuole elementari e nel 1937 si iscrive ad un club locale di nuoto, sport dal quale riceverà molte soddisfazioni.

[ANNI '40] La crisi economica imperversa e nel 1940 Carlo e la sua famiglia si trasferiscono a Roma. Qui inizia gli studi superiori e nel contempo si iscrive ad un società sportiva di pallanuoto. Nel 1946 termina le scuole superiori e nell'ottobre dello stesso anno supera un difficile esame all'Università di Roma e si iscrive alla Facoltà di Chimica. La ricostruzione al termine della Seconda Guerra Mondiale è un periodo molto difficile e la famiglia Pedersoli decide nuovamente di trasferirsi, questa volta in Sud America. Carlo è quindi costretto ad abbandonare gli studi universitari in Italia e che non potrà proseguire nel nuovo Paese; inizia a lavorare e svolge diverse mansioni: operaio in una catena di montaggio a Rio (Brasile), bibliotecario a Buenos Aires (Argentina) e segretario all'ambasciata italiana in Uruguay. Carlo non ha mai smesso di coltivare la sua passione per il nuoto e nel 1948 ritorna in Italia in seguito alla richiesta di un club di nuoto. Riprende gli studi universitari, questa volta alla Facoltà di Giurisprudenza ma l'impegno è tutto rivolto all'attività sportiva, tanto da diventare campione italiano di nuoto nello stile "rana".

[ANNI '50] Il nuoto è ormai l'attività principale, le vittorie si susegguono e diventa campione italiano nello stile "libero" con un tempo record diventando il primo italiano a scendere sotto il minuto, record che deterrà sino a fine carriera. Gli anni '50 sono gli anni delle grandi produzioni cinematografiche di carattere storico e nel 1951 Carlo, grazie alla sua stazza e al fisico perfetto di atleta, viene scelto come comparsa nel film Quo Vadis? nel quale veste i panni di una guardia imperiale. Il 1952 è l'anno delle Olimpiadi di Helsinky e Carlo è stato convocato dalla nazionale italiana di nuoto per parteciparvi e ottiene ottimi risultati: si classifica al quinto posto (58.9 sec) nella semifinale dei 100 m. stile libero mentre vince la medaglia di bronzo con la squadra di pallanuoto. Grazie a questi ottimi risultati viene invitato dalla Yale University (U.S.A.) a trascorrere alcuni mesi negli Stati Uniti. Continuano i successi nel nuoto e nel 1956 è nuovamente convocato dalla nazionale di nuoto per le Olimpiadi di Melbourne, dove otterrà risultati più modesti rispetto la prima, piazzandosi all'undicesimo posto nella classifica finale dei 100 m. stile libero. L'attività sportiva comincia a diventare troppo pesante a causa dei continui allenamenti in piscina; è il 1957 e Carlo decide di dare una svolta alla sua vita: a soli 27 anni, nel pieno dell'attività di un atleta, decide di abbandonare il nuoto e anche gli studi universitari e si trasferisce nuovamente in Sud America dove lavorerà per nove mesi alla costruzione di una strada che collegherà Panama a Buenos Aires, la famosa "Panamericana". In seguito lavorerà sino al 1960 in una società automobilistica di Caracas.

[ANNI '60] Dopo la seconda parentesi sudamericana nel 1960 ritorna a Roma, dove prende in sposa Maria Amata dalla quale avrà tre figli: Giuseppe (1961), Christiana (1962) e Diamante (1972). In questi anni ('60-'64) Carlo lavora per la RCA Italiana, componendo canzoni popolari napoletane e colonne sonore, come quella del film "Cleopatra". In seguito realizzerà documentari per le RAI. Arriva il 1967, l'anno della svolta: il regista Giuseppe Colizzi, amico di vecchia data, gli offre la parte nel suo spaghetti-western Dio perdona... io no!. La leggenda narra che Colizzi ha contattato in prima battuta la moglie Maria chiedendo se Carlo avesse ancora un fisico da nuotatore e la moglie rispose "ora è più simile ad un lottatore", proprio ciò che cercava il regista! Come era solito fare all'epoca, gli attori dovevano utilizzare un nome d'arte americano e Carlo decise di adottare il nome con cui ormai tutti lo conosciamo, Bud Spencer in onore del suo attore preferito Spencer Tracy. Sul set incontra e recita per la prima volta con Mario Girotti (Terence Hill) iniziando quel sodalizio che porta da subito consenso e successo e diventerà "leggenda" negli anni '70. Carlo, diventato ormai Bud Spencer, si butta completamente nel mondo del cinema (negli anni '50 aveva solo fatto la comparsa in qualche pellicola) e conclude la colloborazione con l'amico Colizzi, girando i film I 4 dell'Ave Maria e La collina degli stivali, sempre in coppia con Terence e concludendo la cosìdetta "trilogia colizziana".

[ANNI '70] Gli anni '70 sono gli anni della consacrazione: si conosolida definitivamene il sodalizio con Terence Hill con il quale girerà 17 film nel corso degli anni, diventando campione d'incassi con film come Lo chiamavano Trinità..., 
...Continuavano a chiamarlo Trinità, ...altrimenti ci arrabbiamo! e 
I 2 superpiedi quasi piatti.
Il successo è dovuto anche grazie ai film "solisti" come Anche gli angeli mangiano fagioli girato in coppia con Giuliano Gemma (scomparso questa settimana...), la serie Piedone iniziata nel 1973 con Piedone lo sbirro e terminata nel nel 1980 con Piedone d'Egitto, intervallati da Piedone a Hong Kong (1975) e Piedone l'africano (1978) per un totale di 4 film. Ha riscosso moltissimo successo il film del 1978 Lo chiamavano Bulldozer per il quale ha scritto e composto alcune canzoni con gli Oliver Onions (Guido e Maurizio De Angelis), come Cock a doodle doo. Tra un film e l'altro Bud coltiva la passione per il volo che si concretizza con il conseguimento in data 3 agosto 1977, del"Brevetto e licenza di pilota civile 2° grado (Turismo intern.)" mentre nel 1979 vince il premio Jupiter quale attore più popolare in Germania.

[ANNI '80] Negli anni successivi continua a girare film con Terence Hill e come solista, tra i più apprezzati titoli come Banana Joe, 
Cane e Gatto in coppia con un inedito

Thomas  Milian, Bomber e Superfantagenio del 1986. La seconda metà degli anni '80 vede Bud lontano dal grande schermo, ma lo vede protagonista sul piccolo con la serie televisiva Big Man.

[ANNI '90] Nel 1991 torna al cinema con il film Un piede in Paradiso, che vede la modella Carol Alt co-protagonista, film che ottiene un discreto successo. Nel 1997 fa una breve apparizione nel film Fuochi d'artificio di Leonardo Pieraccioni, mentre nello stesso anno è presente come attore principale nel film Al limite di produzione spagnola. Sempre di produzione spagnola è Figlio del vento del 1999. A parte qualche titolo cinematografico, Bud è protagonista grazie a diverse serie tv come Detective Extralarge (due serie) e Noi non siamo angeli girate in coppia con l'attore americano Philip Michael Thomas. Il "pezzo forte" degli anni '90 è stata la reunion con Terence Hill nel film Botte di Natale, del quale Terence è anche regista.

[ OGGI ] Andando avanti negli anni la produzione cinematografica e televisiva si è gradatamente ridotta: nel 2001 ha girato l'episodio pilota - che non è mai stato trasmesso in Italia - per la serie tv Padre Speranza, ma non ha avuto un seguito.
La grande attesa è stata l'uscita nelle sale cinematografiche il 24 ottobre 2003, del film Cantando dietro i paraventi del regista Ermanno Olmi, che segnò ufficialmente il ritorno sul grande schermo di Bud Spencer, che nell'occasione utilizza nuovamente il suo vero nome, Carlo Pedersoli.


TERENCE HILL (...L’ATTORE NATO”)

Mario Girotti (vero nome di Terence Hill) nasce a Venezia il 29 marzo 1940, nel pieno della seconda guerra mondiale. Il padre è italiano di origine umbra, mentre la madre è tedesca; la famiglia Girotti si completa con altri due figli, Pietro ed Odoardo. Il padre, un chimico, lavorava presso una grande industria farmaceutica tedesca e proprio a Lommatzsch - città di origine materna - Mario trascorre l'infanzia. Le immagini dei cieli rossi di fuoco durante il conflitto bellico gli rimarranno impresse nella memoria di bambino... "proprio in quel periodo ho imparato ad odiare la guerra e la violenza con tutto me stesso" ha detto lo stesso Terence in un'intervista negli anni '70. Sopravvissuto ai bombardamenti rientra in Italia con la famiglia per stabilirsi a Roma.

[ANNI '50] Sebbene non ancora dodicenne, Mario viene notato dal famoso regista Dino Risi che gli propone, previo consenso materno, di parecipare al film Vacanze col gangster (1951). Con questo film ha ufficialmente inizio la sua carriera cinematografica, quasi per gioco forse, ma la passione per questa professione non è solo un sogno infantile e la determinazione a proseguire per questa strada lo porta a partecipare a diverse pellicole nei successivi anni, facendo la classica gavetta con brevi comparsate in film come Villa Borghese (1953), La vena d'oro (1955) e avendo un discreto successo in titoli di carattere rosa-drammatico e musicarelli come Lazzarella (1957), Guaglione (1957), 
Anna di Brooklyn (1958), Cerasella (1959) e Il padrone delle ferriere (1959) aventi come protagonisti famosi cantanti italiani dell'epoca quali Domenico Modugno e Claudio Villa.

[ANNI '60] Terminati gli studi superiori Mario si iscrive all'Università di Roma, alla Falcoltà di Lettere Classiche, che tuttavia abbandonerà dopo soli tre anni, nel 1963. Infatti è l'anno in cui viene scritturato dal regista Luchino Visconti per il film Il Gattopardo, con un cast che vanta attori quali Burt Lancaster, Claudia Cardinale e Alain Delon e un giovanissimo Giuliano Gemma. La partecipazione ad un film simile, dopo alcune parti in colossal storici come Cartagine in fiamme (1960) e Giuseppe venduto dai fratelli (1960), lo porta ad intraprendere in modo definitivo la carriera di attore, da sempre il suo sogno, e abbandonare gli studi. Mario pensava di aver finalmente trovato la chiave giusta per aprire la porta del successo del cinema italiano, ma non era ancora arrivato il momento; infatti continuano ad offrirgli ruoli da belloccio in commedie musicali o parti drammatiche in pemplum, genere in auge in quel periodo. Decide quindi di trasferirsi in Germania e accettare l'offerta di girare una serie di film western basati sui racconti dello scrittore Karl May della serie Winnetou, come Giorni di fuoco (1964 - Winnetou II), Surehand, mano veloce (1965 - Old Surehand) ed altri quali Il magnifico emigrante (1965, Ruf der Walder), i due film de la serie I Nibelunghi (1966) e Operazione terzo uomo (1966). Mario diventa molto popolare conquistando il pubblico e le copertine di numerose riviste pur non avendo avuto mai ruoli da protagonita. A questo punto tenta nuovamente di rilanciarsi nel cinema italiano e ritorna, stabilendosi, a Roma; tuttavia gli vengono ancora offerte parti secondarie in film come Io non protesto, io amo (1967) con la cantante Caterina Caselli, La Feldmarescialla e Little Rita nel West entrambi del 1967 ed entrambi con la cantante Rita Pavone. Quel periodo - seconda metà degli anni '60 - lo spaghetti-western spopolava e Mario ebbe finalmente l'occasione di trovare l'asso dal mazzo di carte ed entrare nell'ambiente grazie al regista Giuseppe Colizzi, che lo chiama per il film Dio perdona... io no! (1967). Come abitudine dell'epoca, gli attori erano invitati a scegliere un nome yankee come nome artistico. La leggenda dice che Mario scelse come nuovo nome Terence Hill, ispirandosi al cognome della moglie Lory Zwicklbauer - americana di origine tedesca sposata lo stesso anno - e dallo scrittore Terenzio del quale stava leggendo alcuni scritti. In realtà dovette più semplicemente scegliere un nuovo nome da un elenco di venti, la storia della moglie era in realtà qualcosa di curioso per i media, nient'altro. Con il regista Colizzi e sempre in coppia con Bud Spencer gira altri due film: I 4 dell'Ave Maria (1968) e La collina degli stivali (1969) concludendo la cosìdetta trilogia colizziana ed in solitario è protagonista di un altro western Preparati la bara! (1967) e del film Barbagia (1969)
co-protagonista con il famoso cantante Don Backy, film che esplora le vicende del banditismo sardo.

[ANNI '70] La carriera di Terence (nuovo nome assunto da pochi anni) è ormai ben avviata e la consacrazione è dovuta al regista E.B.Clucher (Enzo Barboni) che lo mette nuovamente in coppia con Bud Spencer, in un sodalizio che li porterà a girare 17 pellicole in coppia, per una nuova rivisitazione dello spaghetti-western in chiave più comica e serena: spararatorie pressochè assenti sostituite da interminabili e continue scazzottate, questi gli ingredienti del nuovo western nato con Lo chiamavano Trinità... (1970) e ...continuavano a chiamarlo Trinità (1971). Il successo continua ed aumenta con film campioni d'incassi come ...più forte ragazzi! (1972),...altrimenti ci arrabbiamo! (1974), Porgi l'altra guancia (1974), I 2 superpiedi quasi piatti (1977), Pari e dispari (1978) e Io sto con gli ippopotami (1979) tutti in coppia con Bud Spencer.
Terence è anche protagonista in solitario di film come il bellissimo western Il mio nome è Nessuno (1973) al fianco di Henry Fonda, con Tonino Valerii alla regia - anche se molti lo attribuisco a Sergio Leone a causa della sua costante presenza sul set - ed Ennio Morricone alle musiche. Il talento di Terence è evidente e se ne accorgono anche a Hollywood, tanto che firma un contratto per due film: La bandera, marcia o muori (1976, March or Die) con il grande Gene Hackman e Catherine Deneuve, e Mister Miliardo (1977 Mr. Billion) con Valerie Pierrine, per il quale chiede ed ottiene il compenso record di un miliardo di lire.

[ANNI '80] Gli anni '80 lo vedono protagonista per lo più in coppia con Bud Spencer in film come Chi trova un amico trova un tesoro (1981), Nati con la camicia (1983), Non c'è due senza quattro (1984) e Miami Supercops (1985). Nel 1984 Terence fa l'esordio dietro la macchina da presa - ma ne è anche l'attore principale - nel film Don Camillo ispirato ai racconti del Guareschi, mentre nel 1987 torna ad essere diretto da E.B.Clucher nel film Renegade, un osso troppo duro per la prima volta al fianco del proprio figlio Ross Hill, che di lì a breve morirà in un tragico incidente stradale a soli 17 anni.

[ANNI '90] Dopo alcuni anni di silenzio, dovuti in particolare alla tragedia familiare, Terence torna sul grande schermo con il film Lucky Luke (1991), al quale segue una serie tv omonima che consta 16 episodi; ancora una volta è un grande successo di pubblico e critica. Segue la reunion con Bud Spencer dopo nove anni, nel film Botte di Natale (1994), diretto dallo stesso Terence alla seconda esperienza dietro la macchina da presa dopo Don Camillo. Nel 1997 è presente nel film Potenza Virtuale (Virtual Weapon), film d'azione per il momento inedito in Italia.

intervista a Terence Hill:    http://youtu.be/QvSYsqYwqFk

[ OGGI ] Dal 2000 Terence è impegnato nella serie televisiva Don Matteo, prodotta dalla Lux Vide e trasmessa da Rai Uno. La fiction comprende ben otto serie tv, ognuna composta da 16 episodi. L'ottima interpretazione nei panni di un prete-detective avvalorata dai dati di ascolto aventi percentuali di share molto elevati, hanno portato Terence ad essere candidato e vincere il premio Ninfa D’Oro come Migliore Attore protagonista di serie TV alla 42^ edizione del Festival Internazionale della TV di Montecarlo per la serie Don Matteo 2.

Nell'estate 2010 Terence ha girato una nuova serie tv intitolata Un passo dal cielo, nella quale interpreta Pietro, il capo della forestale nella regione dell'Alta Pusteria, in Alto Adige. Nei dodici episodi della serie, che mescola giallo e commedia, aiuta un giovane commissario a smascherare i colpevoli dei crimini commessi nella zona. La prima stagione della serie, prodotta da Lux Vide per Rai Fiction, è andata in onda su Rai Uno. La serie è stata poi rinnovata per una seconda stagione di 16 episodi per la regia di Riccardo Donna, le cui riprese sono cominciate il 2 aprile 2012 a Roma. 

(fonte internet)


QUI LA SECONDA E TERZA PARTE DELL'INTERVISTA "Terence Hill e Bud Spencer: due grandi del cinema"

http://youtu.be/bc-2_BYSsy8

http://youtu.be/lKVmWJt0Bzw


Ah!! Dimenticavo... nel 2010 è stato consegnato loro il David di Donatello alla carriera; praticamente il corrispettivo premio Oscar nazionale. Ecco il video:  http://youtu.be/k5FKympn4ZI