lunedì 24 febbraio 2014

LA MAFIA OGGI È TRANQUILLA... IL SUO POTERE È COPERTO

MA LA MAFIA ESISTE ANCORA? SE QUALCUNO AVESSE ANCORA IL BEN CHE MINIMO DUBBIO...







Mafia e politica al Nord, ecco la mappa: 74
casi, il record a Milano con 18
L'analisi di ilfattoquotidiano.it basata sui dati
delle inchieste giudiziarie degli ultimi quattro anni, dalla Liguria alla
Lombardia. Un cittadino su cinque amministrato da almeno un personaggio
avvicinato dai clan, soprattutto di 'ndrangheta. Cinque i Comuni sciolti sopra
la linea del Po. Il sostegno elettorale al primo posto tra i motivi che
determinano l'approccio. 

Cinque comuni sciolti per infiltrazione
mafiosa
 e un centinaio di relazioni pericolose. È la fotografia dei contatti
tra ‘ndrangheta e politica nel nord Italia
 scattata dalle più
importanti inchieste antimafia degli ultimi quattro anni. Un quadro
inquietante, sicuramente incompleto, che descrive il tentativo dei clan di
influenzare la vita amministrativa di comuni, province e regioni anche nel
profondo nord del Paese. Le indagini realizzate dal 2009 al 2013 indicano che il
20 per cento dei cittadini
 di Piemonte, Liguria e Lombardia, ossia 1
su 5, è stato amministrato o rappresentato da almeno un politico accusato di
affiliazione o concorso esterno in associazione mafiosa. Circa 75mila abitanti
del nord-ovest dal 2011 vivono in un comune sciolto per mafia. E in questo
quadro la provincia di Milano, con quella di Torino e Genova, risulta l’area in
cui più forte è il tentativo di condizionamento dei risultati elettorali.
Spulciando i documenti dell’antimafia e tenendo
conto solo di politici in carica e candidati – e non di uomini di partito o
funzionari, che pure figurano – si ricava un elenco di almeno 74 casi
di avvicinamento tra rappresentanti delle istituzioni e criminalità calabrese
 (grande
protagonista, pochissime volte affiancata o sostituita da Cosa nostra).
La stragrande maggioranza dei casi non contiene alcun reato, e in ogni caso tutte
le persone citate sono da intendersi innocenti fino all’ultimo grado di
giudizio
. Ma gli episodi tutti insieme tracciano una prima mappa
inedita dell’assalto dei clan alla politica del Nord Italia
. Emergono le
scelte degli uomini legati alla malavita e quella rete di “relazioni esterne”
dell’organizzazione criminale che, anche quando non ha rilevanza penale,
contribuisce a fare della mafia un sistema di potere e non un semplice gruppo
armato.
Sulla base delle informazioni fornite dai
magistrati, i rapporti individuati possono essere classificati in cinque tipi per
livello di coinvolgimento, a prescindere dal loro profilo penale che, lo
ribadiamo, resta perlopiù irrilevante (o, in  alcuni casi, ancora da
provare definitivamente in tribunale). Si passa dal semplice contatto (30
per cento degli episodi), cene, pranzi e appuntamenti in cui gli uomini dei
clan tentano un primo abboccamento, al sostegno elettorale (43
per cento), che rappresenta il tipo di rapporto maggiormente rilevato e nasce
talvolta da una scelta spontanea dei malavitosi (una decisione in ogni caso mai
gratuita, almeno nelle intenzioni), per arrivare agli episodi in cui più
chiaramente emerge una prospettiva di accordo tra le parti (16
per cento). A questi si sommano infine gli episodi in cui, secondo gli
inquirenti, politici e amministratori si relazionano agli uomini di mafia
sapendo  bene con chi hanno a che fare: 5 casi di presunta
affiliazione
 e 3 di concorso esterno in associazione
mafiosa.
Le inchieste rivelano che il sostegno elettorale è
il motivo di contatto più frequente tra cosche e classi dirigenti, così come lo scambio
tra voti e appalti
 è la base di ogni scioglimento comunale per mafia.
I voti sono una merce molto richiesta, la buccia di banana su cui rischiano di
scivolare anche i politici più scafati. Passa tutto da lì: è il peccato
originale che i clan sfruttano per ricavare beni e favori all’organizzazione
criminale. In questo contesto i comuni sciolti per infiltrazioni mafiosa, Bordighera (il
cui commissariamento è stato successivamente annullato), Ventimiglia,LeinìRivarolo e Sedriano,
raccontano solo una parte della storia.
Guardando
ai rapporti tra politica e mafia ogni territorio, comune, collegio o
circoscrizione elettorale del nord Italia diventa lo specchio del potere
conquistato dai clan. L’area di elezione di politici e amministratori
costituisce infatti lo spazio su cui si misura la capacità mafiosa di penetrare
le istituzioni, condizionare un territorio e la sua vita democratica. La
dimensione della sua scalata al potere.
In questa classifica alla città di Milano tocca
il valore massimo, con 11 episodi segnalati. E i numeri peggiorano quando gli
episodi si sovrappongono sullo stesso territorio. La cifra che ne risulta
(indicata nella mappa con una diversa gradazione di colore) è ben più grave e
colloca, ad esempio, il capoluogo lombardo in vetta alle posizioni con 18
casi complessivi
.
Nelle intercettazioni e nei documenti ufficiali (i
dati sono aggiornati al 31 dicembre 2013), la stragrande maggioranza dei
politici si mostra inconsapevole, distratta, responsabile tutt’al più di una
caccia al consenso che conduce talvolta a pericolosi incontri ravvicinati. E
infatti tutti i politici si dichiarano estranei a qualsiasi coinvolgimento o
responsabilità. Le relazioni con uomini legati ai clan nascono spesso in un’area
grigia
 popolata da colletti bianchi, affaristi e fiancheggiatori di
ogni sorta, in cui si stringono molte mani e non sempre è facile capire chi si
ha di fronte. Capita, poche volte per la verità, che i politici vengano
addirittura scelti a loro insaputa, sostenuti dai “calabresi” per giochi di
sponda o di interessi incrociati, quando collettori di voti – luogotenenti dei
boss, uomini di partito, affaristi e persino genitori o parenti – intercettano
per i candidati inconsapevoli i consensi della rete criminale (è il caso, ad
esempio, del sindaco di Torino Piero Fassino o delle giovani Fortunata Moio e
Teresa Costantino).  
Accando a questi episodi emergono però anche
abboccamenti diretti e più compromettenti. Richieste di voto avanzate senza
fare troppe domande. In questi casi i politici coinvolti non possono negare di
aver chiesto quei voti, ma giurano di non aver minimamente sospettato della
qualità criminale dei loro interlocutori, in alcuni casi ancora da provare in
tribunale. Sono gli episodi in cui, come scrivono i magistrati della procura di
Milano “non sempre è l’appartenente alla mafia che si infiltra nella società
civile” ma “esponenti di istituzioni, della società civile o delle professioni ricercano
il rapporto con la mafia
A questi fatti si sommano poi alcuni
casi limite, una decina in tutto, in cui lo scambio, secondo gli inquirenti,
avviene nella piena ed esplicita consapevolezza dei ruoli.
È sconcertante vedere quanto in alto riescano a
salire gli uomini legati alla criminalità calabrese, nei loro rapporti, prima
che scatti un qualche campanello d’allarme. Come un sasso tirato
nello stagno, i rapporti tra mafia e politica disegnano centri concentrici che
si propagano da alcuni punti nevralgici verso l’esterno. Più rapidi a
diffondersi sono trovano interlocutori disponibili, più radi dove i servizi
mafiosi non hanno mercato. Dal punto di vista della collocazione politica il
partito di gran lunga più avvicinato è il Pdl
, con 40 episodi, coincidenti
ad oltre la metà dei casi totali, per il resto quasi equamente distribuiti tra
Pd, Udc, Idv, liste civiche e altri partiti. Mentre sono tutte di centro-destra
le amministrazioni dei comuni sciolti per infiltrazione mafiosa.
I comuni commissariati per mafia sono tutti
medio-piccoli, ma il dato non deve trarre in inganno. I tentativi di contatto
riguardano infatti anche consiglieri e amministratori provinciali, regionali,
nazionali e persino un parlamentare europeo. Se negli ultimi 4 anni
i boss calabresi hanno contattato, sostenuto o fatto accordi con 10 sindaci, 6
assessori e 22 consiglieri comunali (guardando ai soli candidati eletti), i
rapporti che superano la soglia comunale rappresentano nel complesso circa il
40 per cento del totale, con 12 avvicinamenti di consiglieri o assessori
regionali e 6 di politici con cariche provinciali.
Nota metodologica e fonti
I dati riportati nella mappa e nei grafici sono
aggiornati al 31 dicembre 2013 e riguardano gli episodi contenuti nelle
principali inchieste antimafia realizzate dal 2009 al 2013. Il partito di
appartenenza e la carica dei politici sono relativi al momento del contatto con
l’organizzazione criminale. Molti di loro hanno successivamente assunto altre
cariche, o cambiato partito. Non sono stati classificati gli intermediari o gli
uomini di partito senza cariche rappresentative o amministrative al momento del
contatto. La mappa segnala esclusivamente i politici citati negli atti
giudiziari, molti dei quali non sono neppure indagati, e comunque tutti sono da
considerarsi non colpevoli fino all’ultimo grado di giudizio.
Ad ogni soggetto è attribuito un territorio in
relazione al contesto di elezione: comune, collegio o circoscrizione.
La situazione giuridica indicata per ognuno
riguarda esclusivamente le condotte che abbiano attinenza con  il tema
della ricerca. Nel caso del sostegno elettorale, per ogni soggetto è indicata
la carica conquistata anche grazie al sostegno mafioso e, in caso di mancata
elezione, la carica – se presente – posseduta prima della candidatura.
Viceversa compare la dicitura “non eletto”.



Il lavoro ha utilizzato le seguenti fonti: Relazione Commissione
antimafia XVI legislatura, gennaio 2013; G. Barbacetto e D. Milosa, Le
mani sulla città, Chiarelettere, 2011; E. Ciconte, Politici e
malandrini, Rubbettino, 2013; Marco Grasso e Matteo Indice, A
meglia parola, De Ferrari, 2013; Vittorio Mete, Fuori dal Comune,
Bonanno, 2009; M. Portanova, G. Rossi, F. Stefanoni, 
Mafia a Milano,
Melampo, 2011, Rocco Sciarrone, 
Mafie vecchie, mafie nuove,
Donzelli, 2009. Archivio web de Ilfattoquotidiano.it. La Repubblica, Il
Corriere, La Stampa e alcune testate locali. I dati demografici e i confini
territoriali attingono agli ultimi rilevamenti Istat (2011-2013).

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