domenica 29 luglio 2012

VERONA: LA CITTA' DI GIULIETTA E ROMEO

COMINCIAMO OGGI UN "VIAGGIO" TRA LE PIU' ANTICHE E BELLE CITTA' ITALIANE:

TRA MILANO E VENEZIA INCONTRIAMO VERONA, BELLISSIMA E AFFASCINANTE...





LE ORIGINI DI VERONA

Pare che Verona sia abitata fin dalla preistoria perché sull'Adige, presso
Ponte Pietra, vi è sempre stato il miglior guado di tutto il corso del fiume, e che fin da allora gli insediamenti erano presenti sull'altura che lo domina, il colle San Pietro.

Tra le molte ipotesi che si sono fatte su quale popolazione si fosse insediata nella futura città scaligera, quella dei Reti è finora la più sostenuta ed il primo a formularla fu Plinio il Vecchio; quella dei Galli Cenomani invece fu sostenuta da Tito Livio, mentre quella etrusca potrebbe nascere dalla presenza in zona degli Arusnati, popolo di incerte origini che qualcuno ipotizza etrusco.

Per finire è probabile anche l'ipotesi paleo-veneta (o Euganea), mentre quella romana è totalmente infondata e nasce solo dal fatto che i monumenti e gli edifici più antichi della città, tutt’oggi visibili, sono di quel periodo.

Data la sua particolare posizione geografica, lo stanziamento di una popolazione non poteva precludere il passaggio ad altri pena la guerra, quindi è plausibile pensare che nel periodo preromano il guado fosse praticato da tutti, soggetti al massimo ad un dazio o a controlli militari.

Anche sul nome di Verona esistono più ipotesi: l'etrusca da Vera, probabile nome di persona, il nome di una famiglia romana, il termine latino "ver", ossia "primavera".
Una leggenda narra che il nome provenga da una maledizione del capo Gallico Brenno contro i nemici romani: "Vae Roma", cioè "Maledetta Roma".

L'ipotesi più accreditata invece è che il nome derivi dall'unione di tre parole antiche:
"Ve", parola etrusca usata per indicare le popolazioni venete, "Ro", dal greco "reo" cioè "scorro" che quindi starebbe ad indicare il fiume Adige che attraversa la città, e "Na", radice sillabica etrusca che indica un centro abitato.

Quindi "Ve-Ro-Na" tradotto starebbe per "La città veneta sul fiume".

Le relazioni fra Roma e Verona iniziano intorno al III secolo a.C., e fina da subito sono rapporti di amicizia e alleanza, tanto che nel I secolo a.C. gli abitanti di Verona combattono al fianco di Roma contro gli invasori Teutoni e Cimbri, da non confondere, come fecero gli storici rinascimentali, con gli “tzimber” del XII secolo che ripopolarono la Lessinia centro-orientale nell'alto medioevo.

La cittadinanza romana viene estesa alle colonie locali, e quindi anche a Verona, grazie alla Lex Pompeia nell'89 a.C.. Nel 41 o 42 a.C., in seguito alle campagne militari di Cesare che portano all'annessione della Gallia Cisalpina (l'attuale Pianura Padana) e poi di quella Transalpina (all'incirca la Francia odierna), Verona viene elevata al rango di "Municipium".

Durante il periodo repubblicano Verona non viene coinvolta in modo diretto nel sanguinoso periodo delle guerre civili (49-31 a.C) e questo senza dubbio aiuta lo sviluppo e l’economia, che si specializza principalmente nella coltivazione di vite ed olivo, nell'allevamento di cavalli ed ovini e nella produzione di lana.

Questo è l'inizio di secoli di grande splendore, in cui Verona città romana viene ricostruita nell'ansa dell'Adige: il suo importante guado è sostituito da due ponti,   
Ponte Pietra, ricostruito con le pietre originali dopo la seconda guerra mondiale, e Ponte Postumio.

Con l’impero di Augusto Verona diventa un importante nodo strategico perché si trova all'incrocio di quattro strade romane importanti: la Gallica da Torino ad Aquileia, la Claudia Augusta da Modena alla Germania, la Postumia dalla Liguria all'Illiria ed il Vicum Veronensium, appunto da Verona ad Ostiglia. Inoltre la città viene utilizzata come base temporanea per le legioni, in particolare dopo la conquista della Rezia e della Vindelicia nel 15 a.C..

Con l'inizio della dinastia Flavia il lungo periodo di pace si interrompe, soprattutto a causa della guerra tra Vitellio e Vespasiano: quest'ultimo sceglie Verona come fortezza, perché attorniata da grandi spazi aperti in cui è possibile utilizzare la cavalleria. Verona diventa un luogo strategico per Vespasiano poiché da lì può bloccare le discesa in Italia di Vitellio.

Fortunatamente per la città, l'ammutinamento di una legione di Vitellio sposta la guerra lontano da Verona. E’ proprio con Vespasiano però che la città raggiunge l'apice della ricchezza e dello splendore: l'ultima grande opera, nel I secolo, è l'Arena, costruita per dare alla città, che aveva ormai superato i 25.000 abitanti, un grande edificio in cui gli abitanti potessero riunirsi e divertirsi.

Essendo un importante “Municipium” romano, e trovandosi al centro dei passaggi verso le frontiere, per un periodo Verona è spesso teatro delle lotte civili romane.

L’imperatore Gallieno nel 265 allarga le mura della città fino ad includervi l'
Arena, fortificandola in soli sette mesi dall'aprile al dicembre dello stesso anno, come è attestato dalla scritta sull'architrave di Porta dei Borsari, e con lui si aprì un periodo di tranquillità per la città.

Nell’ultima fase di dominazione romana Verona si avvia ad una lenta conversione al cristianesimo, portata a compimento grazie a quello che oggi è il patrono ed allora era il vescovo della città: San Zeno.

Il passaggio dalla Verona romana a quella barbarica non è brusco, anche perché la città nel tempo è stata governata spesso da barbari alleati in sostituzione di Roma; altre volte da barbari invasori, e infine anche per conto dell'Impero Romano d'Oriente, cioè dai Bizantini.

Nel IV secolo i barbari sono oramai entrati nella vita civile e militare dell'Impero. Nel 403 Alarico I, re dei Visigoti, giunge in Pianura Padana e si barrica all’interno delle mura di Verona, ma poi è sconfitto da Stilicone, barbaro ma romanizzato.

Nel 452 d.C. Attila lascia una scia di distruzione che termina proprio a Verona: il re degli Unni viene infatti fermato a Salionze sul Mincio da Papa Leone I, che con le sue parole e la promessa di un tributo annuo lo convince a tornare in Pannonia.

Odoacre, capo degli Eruli e dei Turcilingi che facevano parte dell'esercito imperiale, mette fine all'Impero Romano d'Occidente nel 476 e governa lasciando un buon ricordo nei Veronesi: non cambia nulla del governo precedente, e da ariano non combatte i cattolici.

Inoltre per pacificare il suo esercito applica un’antica regola romana, e confiscando ai latifondisti un terzo delle terre le distribuisce ai suoi soldati, rilanciando così l'agricoltura e l'economia. Il suo governo porta a Verona pace e sicurezza, fino a quando non è sconfitto dagli Ostrogoti di Teodorico alla fine del 400 d. C..

Sotto Teodorico (493-526) Verona diventa nei fatti la capitale dei Goti: è il centro militare più importante e la sede preferita del re, che le restituisce il suo splendore e rialza le mura atterrate dalle precedenti incursioni barbariche.

Teodorico segue l’esempio di Odoacre, ma come ritorsione alla persecuzione da parte di Giustino verso gli Ariani a Bisanzio, perseguita i Romani divenuti sospetti uccidendo anche il fedele consigliere Simmaco e facendo arrestare Boezio, suo segretario che poi in prigione scrive il famoso “De Consolatione Philosophiae”.

Alla morte di Teodorico i Bizantini, con un esercito di soli 10.000 uomini, occupano l'Italia fino a Brescia ma Alboino, re dei Longobardi, interrompe presto il breve dominio greco su Verona.

Nel 774 d.C., sempre a Verona, Carlomagno sconfigge l'ultimo re dei Longobardi, Adelchi, e questo mette la parola fine al periodo di dominazione Longobardo.

Di questo fatto storico ne ha scritto anche il Manzoni nella tragedia omonima, spostando tuttavia l'accento sul dramma personale di Ermengarda, figlia di Desiderio ripudiata e abbandonata da Carlomagno.

Pipino, figlio di Carlomagno, dà nuovo e grande impulso allo sviluppo della città. Tra le altre cose è lui a far costruire la
Basilica di San Zeno sui resti di una primitiva chiesa paleocristiana sorta presso la tomba del santo.
Alla caduta dei Carolingi inizia sulla città il dominio straniero: Verona entra a far parte della Marca di Baviera e successivamente della Marca di Carinzia.

Intorno al 950 d.C. viene creata la Marca Veronese sotto il dominio della famiglia Sambonifacio. Con l'unione delle corone di Germania e d'Italia (961 d.C.) Verona diventa l'unica città italiana dove soggiornano i re tedeschi, presso l'abbazia di San Zeno. Qui si svolgono numerose diete e vengono stipulati numerosi accordi con altri governanti italiani.
Alla morte dell’imperatore Enrico V il conte di Verona Sambonifacio diventa marchese e duca della città. Nel 1136 d.C. Verona diventa Comune a tutti gli effetti con la nomina dei primi consoli. Nella fase di transizione dal feudalesimo al comune si crea una oligarchia di una decina di famiglie che sanciscono il loro potere durante la fase comunale.
Dapprima si instaura un governo collegiale di consoli (prima 3 e poi 6), sostituiti in un secondo momento da un rettore e alla fine da un podestà.

Il 4 marzo 1152 sale al trono del Sacro Romano Impero Federico I detto “Barbarossa”, che due anni dopo scende in Italia per muovere contro Milano. Attaccando alcuni comuni lombardi, Barbarossa guadagna l'ostilità dei veronesi, dapprima latente ma in seguito, nel 1164 d.C. la città si ribella apertamente e costituisce con Vicenza, Padova e Treviso la Lega Veronese, seguita poi dalla Lega Lombarda, che nel 1167 si uniscono formando la cosiddetta Concordia.

La presenza costante delle truppe delle Leghe costringe quindi Barbarossa a non attraversare i territori presidiati, ma nel settembre del 1174 tenta un nuovo attacco. Un esercito di 12.000 soldati, tra cui si trovano anche trecento cavalieri veronesi, vince la battaglia di Legnano (1176) mentre la fanteria veronese e bresciana si trova a difesa di Milano. Sconfitto, Federico Barbarossa è costretto a riconoscere le autonomie comunali con la pace di Costanza sancita nel 1183.

In questa occasione nasce il Carroccio, un carro addobbato con i simboli della città che viene portato in processione per Verona in occasione delle grandi festività e custodito nella
basilica di San Zeno fino al 1583.

Fra il 1181 e il 1185 Verona è sede del Papato, sede di Sinodo nel 1184 e sede del Conclave che nomina Papa Urbano III alla morte di Papa Lucio III, seppellito a Verona. Urbano III tenta di scomunicare Barbarossa, ma è costretto dai veronesi, che temevano ritorsioni, a rifugiarsi a Ferrara spostando lì anche la sede del Papato.

Nel 1200 comincia a Verona la storia della famiglia degli Ezzelini, prima con Ezzelino II come podestà e successivamente con il figlio Ezzelino III da Romano detto il "Terribile". Nel 1205 scoppia anche una guerra civile fra le famiglie dominanti per il controllo della città, e solo con interventi esterni si riesce a ritrovare la pace ed un nuovo periodo di prosperità.
Purtroppo nel 1230 le lotte riprendono con rinnovato vigore: nel 1232 Ezzelino da Romano fa catturare il podestà, lo sostituisce con un altro cui impone fedeltà all'imperatore ed infine introduce in città un presidio tedesco. Con l'aiuto dell'imperatore Federico II, Ezzelino riesce a conquistare Vicenza, Padova e Trento.

Alla sua morte, avvenuta nel 1259, diventa podestà Mastino della Scala che riporta fiducia e pace a Verona concentrando su di sé tutte le cariche del comune.
Il XVI secolo a Verona vede rifiorire l’economia e si imprime nuovo vigore nella costruzione di chiese e di palazzi importanti, di cui uno degli artefici più importanti è l'architetto Michele Sammicheli.
All'inizio del secolo Venezia comincia anche a pensare alla creazione di uno stato italiano, e per questo il pontefice, insieme ai sovrani italiani ed europei si uniscono nella Lega di Cambrai con lo scopo di togliere a Venezia il dominio della terraferma. Nel 1508 i veneziani fortificano le città (creando anche il primo sistema difensivo di Verona, poi ripreso e potenziato dagli austriaci nell'Ottocento), ma nel frattempo cominciano a subire le prime sconfitte, e si ritirano verso Verona.

La città però non apre le porte: se avesse dato ospizio all'esercito veneto, sarebbe stata assediata dall'esercito nemico. L'esercito veneto deve quindi passare l'Adige su un ponte di barche: i rappresentanti della repubblica veneta capiscono la situazione, e il 31 marzo 1509 sciolgono il giuramento di fedeltà che lega Verona, in modo da salvare la città, e richiamano l'esercito a difesa di Venezia.

Verona ora è destinata all'imperatore Massimiliano I, che vuole farne la capitale di un futuro regno d'Italia. Dopo essere passata nelle mani di francesi e spagnoli però, la città torna alla Serenissima e ricomincia un rinnovato periodo di pace, interrotto questa volta non da una guerra ma da una devastante epidemia di peste che colpisce nel 1630.

Per Verona il passaggio della peste è un vero disastro: basti pensare che nel 1626 erano stati censiti 53.333 abitanti, che si riducono a 20.738 alla fine del contagio.

All'inizio del Settecento tornano le guerre: nel 1701 la guerra di successione spagnola mette uno contro l'altra Francia e Austria, mentre la repubblica veneta rimane neutrale, anche se rafforza il presidio a Verona. I francesi tentano di fermare la discesa nemica attraverso il Brennero, andando quindi ad occupare il monte Baldo per poter fermare gli austriaci nella val d'Adige dall'alto, violando così la neutralità veneta.

Quando il principe Eugenio di Savoia viene informato dei fatti, risale con 25.000 soldati austriaci le pendici dei monti Lessini e si dirige verso Legnago dove sconfigge i francesi, costringendoli a ritirarsi oltre il Mincio.

Nel maggio del 1796 le idee rivoluzionarie di Napoleone arrivano a sconvolgere la tranquillità dei veronesi: gli austriaci in guerra contro di lui infatti occuoano
Peschiera violando la neutralità veneta, e il generale francese approfitta della situazione per muovere verso Verona e occuparla poi il 1° giugno 1796.
Il 1° giugno 1796 Verona guarda ammutolita i francesi entrare in città. Napoleone prende alloggio a Palazzo Forti, mentre gli altri generali si sistemano nelle case dei nobili che sono fuggiti prima del loro arrivo.
Dopo varie battaglie in cui gli austriaci tentano di riprendere Verona, il 9 luglio 1797 viene proclamata la repubblica cisalpina e il 17 ottobre è firmato il trattato di Campoformio, con il quale la repubblica veneta viene divisa tra Austria e Francia: Verona inizialmente è ceduta agli austriaci il 21 gennaio 1798, ma dopo altre battaglie il 9 febbraio 1801 Verona viene divisa tra Austria e Francia con il Trattato di Lunéville: la linea di confine è l'Adige. Verona entra a far parte del regno d'Italia il 31 marzo 1805, con Napoleone come re.

Ad ottobre però ha inizio una battaglia tra la parte austriaca e quella francese di Verona, che si conclude con la resa degli austriaci il 29 ottobre. I francesi lasceranno Verona solo il 4 febbraio 1814, dopo 17 anni di dominio a fasi alterne: lo stesso giorno gli austriaci entrano in città da
porta Vescovo con 1.800 soldati.

Gli austriaci si presentano a Verona come liberatori. Nel 1815 al congresso di Vienna si decide la creazione del regno Lombardo-Veneto.

Nel 1833 gli ingegneri militari austriaci a cominciano la costruzione di un sistema difensivo composto oltre che dalle mura, anche da forti, castelli, caserme e vari edifici, rendendo Verona una città-piazzaforte.

L’Austria imponeva a Verona un controllo militare e poliziesco che nel tempo accresce l'odio della popolazione verso i soldati stranieri, odio che aumenta in particolare dopo il 1840: in città si manifestano le prime risse tra popolani e soldati, che sfociano presto in gravi scontri e manifestazioni patriottiche.

Il 1848 è l'anno delle rivoluzioni in tutta Europa: a Milano viene scacciato il viceré Ranieri d'Asburgo durante le Cinque giornate, mentre a Venezia il governatore austriaco è costretto a darsi alla fuga.

Anche i veronesi in questi momenti sono particolarmente in agitazione: di lì a poco infatti la popolazione scende in piazza a reclamare la Costituzione, la libertà e l'Italia.

In quegli anni di forti cambiamenti nascono numerosi comitati patriottici in molte città del regno Lombardo-Veneto, facenti capo a quello di Mantova. Le autorità però scoprono le cospirazioni e come conseguenza ha luogo tra il 8 dicembre 1852 ed il 19 marzo 1853 il purtroppo celebre martirio di Belfiore, durante il quale anche il maggiore esponente del comitato veronese, Carlo Montanari, viene catturato e imprigionato nel castello di Mantova, e successivamente giustiziato l'8 marzo.

Nel 1860 Verona partecipa alla spedizione dei mille con 23 volontari. Siamo nella terza guerra d'indipendenza, che ha la più grande battaglia a Custoza, con una grave sconfitta italiana: grazie alla schiacciante vittoria prussiana che ha fortemente indebolito l'Austria però, Verona ed il Veneto riescono finalmente ad essere uniti al regno d'Italia.
La notizia della pace tra l'Italia e l'Austria viene pubblicata a Verona il 6 ottobre, e subito la città si riempe di tricolori, e nelle vetrine dei negozi vengono esposti i ritratti del re e di Garibaldi. Gli italiani entrano ufficialmente in città il 16 ottobre 1866, con i bersaglieri a porta Vescovo che sfilano tra due ali di folla, e con le campane a festa.

La fine del primo secolo italiano vede Verona gravemente colpita dalla grande alluvione del 1882, che provoca il crollo di diversi palazzi, mentre i mulini sull'Adige vengono disancorati, andando a sbattere contro alcuni ponti, due dei quali andati completamente distrutti. Nel 1886 viene inaugurato in
Piazza delle Erbe il leone di San Marco, ricostruito dopo che era stato abbattuto dai francesi nel 1797. Alla sua inaugurazione è presente una folla entusiasta, che vede nel leone un simbolo patriottico.

Questo secolo chiude il sipario su Verona lasciando da una parte una grave crisi economica che porta al fenomeno della prima grande migrazione della popolazione, dall’altra una timida ventata di ottimismo grazie alla lenta crescita delle nuove industrie.

Il XX secolo è storia recente, e come si sa bene comincia con la Prima Guerra Mondiale, che vede Verona combattere tra le retrovie. Il modo di combattere però è cambiato molto, e per la prima volta anche i civili possono essere colpiti: la città infatti è bersaglio di due attacchi aerei che portano morti e feriti perfino nella centralissima Piazza delle Erbe.

Nell'ottobre 1917, dopo la disfatta di Caporetto, la situazione precipita e Verona diventa ufficialmente città inclusa nel territorio delle operazioni di guerra. dunque entrava in vigore la legge marziale e venivano sospesi i treni civili. Fortunatamente un anno più tardi si comincia a parlare in città di una vittoriosa offensiva italiana ed il 3 novembre 1918 i veronesi si riversano per le strade a festeggiare la vittoria: la città si riempie nuovamente di tricolori.

La Seconda Guerra Mondiale invece non coinvolge Verona fino al 1943. La notte del 24 aprile infatti Mussolini, sfiduciato dai gerarchi fascisti, viene arrestato. A Verona prendono il potere i militari, e diventa quindi sindaco della città Eugenio Gallizioli, mentre presidente della provincia è il senatore veronese Luigi Messedaglia.

A settembre però il governo si arrende e i tedeschi cominciano ad occupare i punti strategici e le città del nord Italia. Con la liberazione da parte dei tedeschi di Mussolini Verona diventa una delle capitali della Repubblica Sociale Italiana, con l'insediamento di importanti comandi militari e di alcuni ministeri. In questi anni Verona è una delle città più bombardate, a causa della sua posizione strategica e per la presenza di molti ministeri della Repubblica Sociale Italiana.

Verona oggi è tra le città decorate al Valor Militare per la Guerra di Liberazione, insignita della Medaglia d'Oro al Valor Militare per i sacrifici delle sue popolazioni e per la sua attività nella lotta partigiana durante la seconda guerra mondiale:

“Città di millenarie tradizioni risorgimentali, pur vessata da eserciti nemici e lacerata da operazione militari, nel corso di cruenti combattimenti e nei periodi di servitù, in 20 mesi di lotta partigiana. Verona testimoniò, con il sangue dei suoi figli migliori, nelle prigioni e sui patiboli, il suo indomito spirito di libertà, eroicamente sostenuta da persone di ogni categoria sociali ed associandosi idealmente a quei concittadini che, militari all'8 settembre 1943, si erano uniti ai resistenti locali in Francia, in Grecia, in Albania e in Jugoslavia. (…) Il 17 luglio del 1944 un gruppo di partigiani penetrò nel carcere degli "Scalzi" con l'obiettivo di liberare dirigenti del movimento antifascista nazionale. Tale contributo di sangue, i bombardamenti, le persecuzioni, le distruzioni di interi paesi, sia nella pianura che nelle valli prealpine, non scalfirono ma rafforzarono la lotta delle popolazione di Verona, degna protagonista del secondo Risorgimento Italiano”.

Con la fine della guerra nascono anche le premesse per la ricostruzione: il primo intervento è la demolizione delle protezioni antiaeree che erano state installate nell'
Arena, utilizzata dai cittadini per proteggersi durante i bombardamenti. A tempo di record, nell'agosto 1946, viene riaperto ponte Catena, mentre gli antichi Ponte di Castelvecchio e Ponte Pietra sono ricostruiti con i materiali originali raccolti dall'alveo dell'Adige. Il processo di edificazione utilizzato è quello originale, per cui i lavori sono molto lunghi: il primo è terminato nel 1951, il secondo nel 1959.

Solo dopo il 1955 si cominciano a costruire nuovi edifici, anche se l'espansione demografica è ancora piuttosto limitata. È negli anni sessanta che anche a Verona avviene il boom economico (e demografico), con il grande spostamento di masse di lavoratori dall'agricoltura all'industria, ma anche la nascita del turismo di massa e della coltura specializzata.

Un importante evento di cronaca da ricordare è il sequestro del Generale James Lee Dozier, comandante delle Forze Terrestri NATO in Sud Europa rapito dalle Brigate Rosse il 17 dicembre 1981. Le forze dell'ordine sono intervenute massicciamente, tanto che la città sembra essere in stato d'assedio. Solo dopo 42 giorni, il 28 gennaio, il Generale viene liberato a Padova grazie ad un'incursione dei Nocs di Verona.

Nel dopoguerra la città mantiene sostanzialmente le sue originarie caratteristiche, che sono cominciate a scemare solo alla fine degli anni novanta con presidi e comandi Nato e Ftase.

martedì 24 luglio 2012

ETTORE MAJORANA: L'ILLUSTRE SCOMPARSO


Oggi, facendo lezione con un mio alunno, abbiamo parlato di questo famoso scienziato italiano incredibilmente svanito nel nulla nel 1938: forse la scomparsa più eclatante del ventesimo secolo, mai risolta...



Col premio Nobel per la Fisica Enrico Fermi, scoprì le teorie quantistiche dei nuclei radioattivi.


“aveva saputo trovare in modo mirabile una risposta ad alcuni quesiti della natura, ma che aveva cercato invano una giustificazione alla vita, alla sua vita, che era per lui di gran lunga più ricca di promesse di quanto non lo sia per la stragrande maggioranza degli uomini.”   E. Amaldi



Ettore Majorana, nato il 5 agosto 1905 e laureatosi in fisica nel 1928, fu tra i più promettenti allievi di Enrico Fermi.
Il suo nome divenne un caso internazionale a causa della sua improvvisa scomparsa, che avvenne nel 1938. Della sua scomparsa ebbe a interessarsi persino Mussolini e l'evento divenne un enigma nazionale ad oggi ancora insoluto.
Le ipotesi avanzate furono molte: chi disse che fosse morto suicida, chi avanzava l'ipotesi fantasiosa che fosse rapito da qualche Paese che conduceva studi atomici; altri invece ritennero che si fosse rifugiato in un convento o che fosse addirittura diventato, volontariamente, un mendicante. Naturalmente, anche dal punto di vista familiare fu una tragedia. La madre si rifiutò sempre di vestire abiti luttuosi, aspettando sempre il suo ritorno.

La sua era una famiglia illustre, discendente dal ramo cadetto dei Majorana della Nicchiara; con metafora poetica si potrebbe dire che a quest'ultima andarono il blasone gentilizio e le ricchezze terriere mentre alla prima tutti i beni tipici e preziosi dell'intelligenza.

Ettore è l'ultimo di cinque fratelli, che si distingueranno tutti in qualche campo particolare, chi nella giurisprudenza, chi nell'amministrazione dello Stato, chi ancora in fisica.

Ettore Majorana è senza dubbio l'outsider del gruppo, un vero e proprio genio della fisica. Estremamente precoce ma anche eccentrico e con squilibri caratteriali preoccupanti che giocheranno un ruolo determinante nella sua fuga dal mondo (ammesso che di fuga si sia trattato). Ettore è pervaso da misantropia radicata ed è anche perennemente ombroso, pigro e dal carattere spigoloso.

Anche la sua carriera universitaria non è del tutto lineare. Dopo un primo approccio con ingegneria, si laurea in fisica nel 1929 con una tesi sulla teoria quantistica dei nuclei radioattivi.

Sotto la guida di Enrico Fermi si occupa di spettroscopia atomica e successivamente di fisica nucleare.
Con Orso Mario Corbino, Emilio Segré e Edoardo Amaldi entra a far parte del gruppo dei "Ragazzi di via Panisperna", il gruppo di geni che ha fatto la storia della fisica italiana.
Le più importanti ricerche di Ettore Majorana riguardano una teoria sulle forze che assicurano stabilità al nucleo atomico: egli per primo avanzò l'ipotesi secondo la quale protoni e neutroni, unici componenti del nucleo atomico, interagiscono grazie a forze di scambio.
La teoria è tuttavia nota con il nome del fisico tedesco Werner Heisenberg che giunse autonomamente agli stessi risultati e li diede alle stampe prima di Majorana.

Nel campo delle particelle elementari Majorana formulò una teoria che ipotizzava l'esistenza di particelle dotate di spin arbitrario, individuate sperimentalmente solo molti anni più tardi.

Dal 1931, conosciutosi il suo straordinario valore di scienziato, è invitato a trasferirsi in Russia, a Cambridge, a Yale, nella Carnegie Foundation, ma a questi inviti oppone il suo rifiuto.

Dopo aver soggiornato a Lipsia e a Copenaghen, rientra a Roma, ma non frequenta più l'istituto di fisica. Al concorso nazionale per professore universitario di Fisica, bandito nel 1936, non vuole partecipare, nonostante la segnalazione fatta da Fermi a Mussolini. Si trasferisce da Roma a Napoli (albergo "Bologna") nel 1937, dove accetta la nomina per meriti speciali a titolare della cattedra di Fisica teorica all'Università di Napoli. Si chiude in casa e rifiuta persino la posta, scrivendo di suo pugno sulle buste: "Si respinge per morte del destinatario".

Ettore Majorana si lascia persuadere a intraprendere - è il mese di marzo 1938 - un viaggio di riposo, Napoli-Palermo. A Palermo alloggia all'albergo "Sole", ma vi trascorre solo mezza giornata; la sera viene visto sul ponte del piroscafo all'altezza di Capri ma a Napoli non arriverà mai.

La commissione di inchiesta che intraprende le indagini scarta l'ipotesi che Mjorana si sia lanciato in mare, avanzando invece la supposizione che si sia trasferito segretamente all'estero.

Un commento sulla personalità scientifica di Ettore, venne fatto da Fermi a Giuseppe Cocconi subito dopo la notizia della sua scomparsa, e da questi raccontato in una lettera a E. Amaldi del 1965: Al mondo ci sono varie categorie di scienziati; gente di secondo e terzo rango, che fanno del loro meglio ma non vanno lontano. C'è anche gente di primo rango, che arriva a scoperte di grande importanza, fondamentale per lo sviluppo della scienza. Ma poi ci sono i geni come Galileo e Newton. Ebbene Ettore era uno di quelli. Majorana aveva quel che nessun altro al mondo ha. Sfortunatamente gli mancava quel che è invece comune trovare negli altri uomini: il semplice buon senso.

A lui è stato intitolato nel 1963 il "Centro di cultura scientifica Ettore Majorana" di Erice, presso Trapani.


La RAI ha trasmesso un film molto bello negli anni '80: "I ragazzi di via Panisperna" sull'argomento. Se vi interessa potete chiedermelo, posso darvelo molto volentieri.

domenica 22 luglio 2012

ALDO GIOVANNI E GIACOMO: LA POESIA FRANCO-TEDESCA



IL FAMOSO TRIO COMICO ALLE PRESE COL DIFFICILE RAPPORTO CON LA POESIA FRANCESE E TEDESCA... ESILARANTE !!!

venerdì 20 luglio 2012

IGNAZIO SILONE: IL "DOSTOEVSKIJ" ITALIANO, UN CRISTIANO SENZA CHIESA


«Io sento quant'è grande il male che voglio compiere, ma più forte della ragione parla in me il thymós [passione], ed esso è per l'uomo causa dei maggiori mali».

"...nelle sue opere, soprattutto Vino e pane, ritroviamo altezze letterarie e introspettive paragonabili al miglior Dostoevskij".

Pseudonimo di Secondino Tranquilli, Ignazio Silone nasce a Pescina, in provincia dell'Aquila, il 1° maggio del 1900, figlio di una tessitrice e di un piccolo proprietario terriero. Qualche anno dopo la morte del padre (1910), egli perde anche un fratello per i postumi di un incidente e la madre nel terremoto che nel gennaio del 1915 distrugge gran parte della Marsica. Rimasto senza genitori e senza casa, va ad abitare con la nonna paterna e col fratello più giovane, Romolo, «nel quartiere più povero e disprezzato» del paese, dove comincia a frequentare la baracca della Lega dei contadini.
Nel frattempo riprende gli studi classici interrotti a causa del terremoto. La nonna lo affida al collegio Pio X di Roma, da cui però, in seguito a un tentativo di fuga, viene espulso. Successivamente, per diretto interessamento di don Luigi Orione passa in un convitto di San Remo e poi di Reggio Calabria.
Nel periodo della prima guerra mondiale, precisamente nel 1917, lascia definitivamente la scuola. Prende parte alle proteste contro l'entrata in guerra dell'Italia e viene processato e condannato al pagamento di un'ammenda, per aver capeggiato una violenta manifestazione contro una baracca dei carabinieri di Pescina.
«Poco o nulla sappiamo su quando Secondino Tranquilli si avvicinò alla militanza politica e al movimento giovanile socialista rivoluzionario. Quel poco lo ha raccontato egli stesso, collocando intorno al 1917 il suo ingresso nel movimento socialista […] Ma le prime tracce documentate del Silone rivoluzionario lasciano intuire che nei suoi ricordi egli anticipasse ed enfatizzasse alcuni avvenimenti in realtà svoltisi agli inizi del 1918» (Mario Canali, Ignazio Silone, ovvero la doppia identità, in L'Informatore: Silone, i comunisti e la polizia).
Certamente tra i 17 e i 18 anni, si trasferisce a Roma, ove s'immerge del tutto nella lotta politica. Tra il 1919 e il 1921 affronta con vivo entusiasmo i nuovi impegni: la segreteria dell'Unione socialista romana, la redazione dell'«Avanti!» e la direzione de «L'Avanguardia», il settimanale dei giovani socialisti. Nel 1921 partecipa alla fondazione del Partito Comunista Italiano come rappresentante della Gioventù Socialista. Probabilmente a metà del 1922 si trasferisce a Trieste come redattore del quotidiano «Il Lavoratore».
«Tranquilli — racconta Canali — non era nuovo all'ambiente giuliano-dalmata, era già stato a Fiume il 14 novembre del 1921 a presiedere il congresso provinciale dei giovani comunisti e in quella circostanza aveva conosciuto Gabriella Seidenfeld, la giovane fiumana che da allora sarebbe divenuta, per molti anni, la sua compagna inseparabile». Grazie a Gabriella Seidenfeld e alle sue sorelle, Silone entra in contatto con l'organizzazione fiumana della gioventù rivoluzionaria, che da tempo è anche attiva nelle organizzazioni del sovversivismo romano.
La collaborazione con «Il Lavoratore» non si protrae oltre il mese di gennaio del 1923, probabilmente a causa delle grandi difficoltà con cui il giornale, perseguitato e ripetutamente sequestrato dalla polizia fascista, è costretto a uscire. Agli inizi di gennaio del 1923, Silone espatria clandestinamente e raggiunge prima Berlino e poi la Spagna. Tra il 1921 e il 1927, infatti, quale membro della direzione del Partito Comunista, Ignazio Silone compie varie missioni sia in Russia sia in diversi Paesi d'Europa, subendo tra l'altro il carcere in Spagna e in Francia, con l'accusa di sovversivismo.
Nel maggio del 1927 si reca insieme con Togliatti a Mosca, dove partecipa a una riunione dell'Esecutivo dell'Internazionale comunista, presieduta da Stalin. D'accordo con Togliatti, Silone si oppone all'espulsione di Trotzki e Zinovieff.
In questi anni comincia a profilarsi la crisi che in seguito lo condurrà a staccarsi totalmente dal comunismo. Mentre progressivamente si rende conto degli oscuri intrighi della politica staliniana e prende atto di «ambiguità e reticenze» dei suoi compagni di partito di fronte all'Esecutivo di Mosca, si rifugia prima in Francia e poi in Svizzera, dove svolge un'intensa attività come responsabile dell'Ufficio Stampa e propaganda.
Il 13 aprile del 1928 il fratello Romolo Tranquilli viene arrestato con l'accusa gravissima di aver partecipato all'attentato al re Vittorio Emanuele III, alla fiera campionaria di Milano. Gli autori di quest'attentato, che provocò venti morti e quaranta feriti, non sono mai stati scoperti, e lo stesso arresto di Romolo Tranquilli (morto nel 1932 in carcere per le gravi torture subite dalla polizia fascista) rimane tinto di mistero.
Fin qui, quanto narrano le vecchie biografie siloniane. Tuttavia, le recenti ricerche condotte dagli storici Dario Biocca e Mauro Canali, hanno portato alla luce sconcertanti documenti che rivelano la doppia vita condotta da Ignazio Silone, fra il 1923 e il 1930 [vedi L'Informatore: Silone, i comunisti e la polizia].
Silone — allora per l'appunto dirigente del Partito Comunista d'Italia e massimo responsabile dell'organizzazione comunista clandestina — avrebbe contemporaneamente svolto, con lo pseudonimo di Silvestri, un ruolo attivo nell'informare la Questura di Roma e la Divisione di Polizia Politica.
Nella primavera del 1929, Silone, ammalatosi gravemente a causa di un'affezione di origine tubercolare, chiede di essere esonerato da ogni attività di partito. In realtà, nelle corrispondenze inviate a Gabriella Seidenfeld e al fratello in carcere, confessa di aver sofferto di ripetute crisi depressive. E, a causa di questi gravi disturbi nervosi, si reca a Zurigo per farsi curare nella clinica del grande psicanalista Carl Gustav Jung. Non solo, ma appena ricoverato in clinica, scrive al commissario Guido Bellone una lettera in cui chiede di modificare il suo rapporto di collaborazione con Polizia politica fascista, divenuto oramai «fisicamente impossibile». La richiesta — indotta anche dalla vicenda del fratello Romolo, che viene scagionato dalle accuse più gravi, senza però essere rimesso in libertà — non viene accolta e la collaborazione di Silone con la Polizia Politica prosegue nei mesi successivi.
Ma la sua «crisi di esistenza» è irreversibile. Nella lettera del 13 aprile 1930, Ignazio Silone non solo chiede all'ispettore Bellone di interrompere definitivamente la collaborazione con la Polizia di Mussolini, ma confessa anche di attendere il momento propizio per annunciare pubblicamente la sua rottura con il Partito. «Non poteva essere che questa, dall'altra parte — commenta Dario Biocca — la condizione posta da Bellone per autorizzare… l' "uscita di sicurezza" del fiduciario. Come sappiamo fu proprio l'impegno ad abbandonare ogni attività politica, assunto da Silone appena qualche settimana più tardi nell'accomiatarsi definitivamente dal suo corrispondente "galantuomo", a costituire l'ultima comunicazione fiduciaria rinvenuta nei fascicoli della Polizia politica».
Nel 1930 s'interrompe così il flusso delle informative alla polizia fascista. E nel luglio del 1931, dissentendo dall'adesione dei dirigenti del suo partito allo stalinismo — ossia, come egli stesso lo definisce, «dall'orientamento cretino e criminale che sta assumendo il Partito comunista» — Silone si dichiara un «anormale politico, un caso clinico» e viene espulso dal Partito con l'unanimità dei voti.
L'uscita dal Partito, la sua sola possibile «uscita di sicurezza» è per lui «una data assai triste, un grave lutto», il lutto della sua gioventù. In realtà, tuttavia, la sua vera «uscita di sicurezza» diviene la scrittura, in quanto eletta a strumento per «cercare di capire e di far capire»: il solo capace di ricomporre e dare senso alla propria esistenza. Già nel 1930, aggravatosi il suo stato di salute, proprio in clinica, a Davos, nei Grigioni, Silone inizierà a scrivere il suo romanzo più famoso Fontamara, che con gran successo nel 1933 viene pubblicato, prima in tedesco e poi in quasi tutte le altre lingue.
Negli anni dell'esilio svizzero (1931-1944), Silone scrive anche una raccolta di sei racconti dal titolo Un viaggio a Parigi (1935), e i romanzi Pane e vino (1937, (rititolato Vino e pane in una stesura successiva) e Il seme sotto la neve (1941).
Negli anni 1932-'34 è redattore del mensile in lingua tedesca, edito a Zurigo, «Information», destinato a raccogliere un cospicuo gruppo di artisti e intellettuali liberi (Thomas Mann, Bertold Brecht, Robert Musil e altri). Intraprende, inoltre, un'intensa attività saggistico-culturale. Pubblica il saggio Il fascismo, le sue origini e il suo sviluppo (1934); il trattato di filosofia politica, La scuola dei dittatori (1938) e un'antologia di pagine scelte di Mazzini, dal titolo Nuovo incontro con Mazzini (1938-39).
Verso la fine degli anni '30, quando insistenti si fanno le minacce della seconda guerra mondiale, Silone torna all'attività politica, dirigendo in Svizzera il Centro estero del Partito socialista. Nonostante il formale divieto del governo federale di occuparsi di politica, stringe rapporti con i gruppi di resistenza sorti in diversi paesi, attraverso la diffusione della stampa clandestina contro i regimi dittatoriali. Nel quindicinale «L'avvenire dei Lavoratori», da lui diretto, pubblica l'eccezionale documento sul Terzo Fronte, con le tredici tesi rivolte a creare una Federazione europea e a rinsaldare gli ideali democratici.
Inoltre, tra il gennaio 1942 e l'agosto 1944, Silone avrebbe avuto una relazione epistolare con il superagente dell'OSS (Office of Strategic Services), Allen W. Dulles, che poi diresse la CIA dal 1953 al 1961 — come sembrano per l'appunto attestare i documenti, recentemente pubblicati su Internet dallo storico svizzero Peter Kamber.
Le autorità elvetiche, per non complicare i rapporti con il governo italiano, lo fanno rinchiudere prima nel carcere di Zurigo, poi nel campo d'internamento a Davos e a Baden, dove scrive il dramma Ed egli si nascose (1944).
Nel 1944 rientra in Italia, si stabilisce a Roma. Aderisce al Partito Socialista Italiano di Unità Proletaria, ma si rifiuta di entrare nel Comitato d'epurazione. Dopo la scissione del Partito socialista capeggiato da Nenni da quello guidato da Saragat (1947), fonda, insieme con altri autonomisti, la rivista «Europa Socialista» e il Partito Socialista Unitario, che si richiama all'ideale di un'Europa libera dalle interferenze sia della Russia sia dell'America. Quando poi questo partito si scioglierà e confluirà nel partito socialdemocratico, Silone tornerà a far «parte per se stesso», confessando di sentirsi tra «le persone più sconfitte della lotta politica italiana».
Congedandosi definitivamente dalla politica dei partiti, riprende l'attività letteraria e nell'arco di un decennio scrive tre romanzi: Una manciata di more (1952), Il segreto di Luca (1956), La volpe e le camelie (1960). Allo stesso tempo, però, non rinuncia a battersi per gli ideali di una democrazia reale e non formale. Pertanto intensifica il suo impegno sul piano culturale contro i mali e le ingiustizie dei paesi sia dell'Est sia dell'Ovest. Fonda insieme con altri l'Associazione per la libertà della cultura; prende parte a vari congressi internazionali di scrittori, scende in campo per i "fatti d'Ungheria"; e assume, con Nicola Chiaromonte, la direzione della rivista «Tempo presente» (1956-1968), dalla cui tribuna lancia una campagna di difesa dei dissidenti russi Solzenicyn, Sacharov e Pasternak, fra sussurri di occulti finanziamenti da parte statunitense.
Il suo difficile ruolo di «socialista senza partito e cristiano senza chiesa» emerge nei saggi e nei racconti raccolti nel volume Uscita di Sicurezza (apparso per la prima volta nel 1949 e riedito in un'edizione definitiva nel 1965) e nel dramma L'avventura di un povero cristiano (1968).
Negli anni '70 i suoi battaglieri interventi si diradano. Incompiuto rimane il suo ultimo romanzo La speranza di Suor Severina (pubblicato postumo nel 1981).
Il 22 agosto del 1978, dopo una lunga malattia, Ignazio Silone muore in una clinica di Ginevra. Viene sepolto a Pescina, «ai piedi del vecchio campanile di San Bernardo», secondo il desiderio espresso nelle sue disposizioni testamentarie.


giovedì 19 luglio 2012

MARMO DI CARRARA: LE CAVE



UNA GIORNATA DI LAVORO IN UNA CAVA DI CARRARA, PER ESTRARRE IL FAMOSO MARMO CONOSCIUTO E APPREZZATO IN TUTTO IL MONDO

venerdì 13 luglio 2012

SARDEGNA - CALA GONONE , GROTTE DEL BUE MARINO, CALA LUNA



SARDEGNA: FORSE LA REGIONE PIU' BELLA D'ITALIA, SICURAMENTE MOLTO AFFASCINANTE E TRADIZIONALE. IN QUESTO VIDEO ALCUNI KM DI COSTA DEL GOLFO DI OROSEI NEL CENTRO/EST DELL'ISOLA. LUOGHI E PERSONE MERAVIGLIOSI, QUANTI RICORDI D'INFANZIA...

mercoledì 11 luglio 2012

ITALIA IN MINIATURA



ESISTONO DUE PARCHI IN ITALIA, DOVE SONO RAPPRESENTATE LE PRINCIPALI BELLEZZE ITALIANE A GRANDEZZA MINIATURIZZATA.
IL GIARDINO DOVE SONO RIPRODOTTE HA LA FORMA DEL CLASSICO STIVALE ITALIANO, DOVE SI POSSONO INCONTRARE BELLEZZE CHE VANNO DAL DUOMO DI MILANO, AL COLOSSEO A ROMA, DAL VULCANO ETNA AL DUOMO DI FIRENZE ECC. ECC.
OLTRE AD ESSERE UN'ATTRAZIONE E UN DIVERTIMENTO, QUESTA ITALIA PUO' TRASFORMARSI IN UN VIAGGIO DENTRO L'ARTE E LA FANTASTICA NATURA CHE CONTIENE, OVVIAMENTE ... "MINIATURIZZATO".

mercoledì 4 luglio 2012

IL VULCANO ETNA, IN SICILIA

ETNA: IL VULCANO PIU' GRANDE D'EUROPA.



La sua altezza varia nel tempo a causa delle sue eruzioni che ne determinano l'innalzamento o l'abbassamento. Così nel 2011 raggiungeva i 3.340 m. s.l.m., nel 2010 3.350 m., 3.274 m. nel 1900, 3.326 m. nel 1950 e 3.269 m. nel 1942. Esso occupa una superficie di 1570 km², il suo diametro è di circa 45 chilometri e il suo perimetro è di 65 km. Le sue dimensioni lo pongono tra i maggiori al mondo e, dal punto di vista prettamente geologico, il più alto del continente europeo.
L'eruzione più lunga a memoria storica è quella del luglio 1614. Il fenomeno durò ben dieci anni ed emise oltre un miliardo di metri cubi di lava, coprendo 21 chilometri quadrati di superficie sul versante settentrionale del vulcano. Le colate ebbero origine a quota 2550 e presentarono la caratteristica particolare di ingrottarsi ed emergere poi molto più a valle fino alla quota di 975 m s.l.m., al di sopra comunque dei centri abitati. Lo svuotamento dei condotti di ingrottamento originò tutta una serie di grotte laviche, oggi visitabili, come la Grotta del Gelo e la Grotta dei Lamponi.
Nel 1669 avvenne l'eruzione più conosciuta e distruttiva, che raggiunse e superò, dal lato occidentale, la città di Catania; ne distrusse la parte esterna fino alle mura, circondando il Castello Ursino, che sorgeva su uno sperone roccioso allungato sul mare, e superandolo creò oltre un chilometro di nuova terraferma. L'eruzione fu annunciata da un fortissimo boato e da un terremoto che distrusse il paese di Nicolosi e danneggiò Trecastagni, Pedara, Mascalucia e Gravina. Poi si aprì una enorme fenditura a partire dalla zona sommitale e, sopra Nicolosi, si iniziò l'emissione di un'enorme quantità di lava. Il gigantesco fronte lavico avanzò inesorabilmente seppellendo Malpasso, Mompilieri, Camporotondo, San Pietro Clarenza, San Giovanni Galermo (oggi frazione di Catania) e Misterbianco oltre a villaggi minori dirigendosi verso il mare. Si formarono i due coni piroclastici che oggi sono denominati Monti Rossi, a Nord di Nicolosi. L'eruzione durò 122 giorni ed emise un volume di lava di circa 950 milioni di metri cubi.