venerdì 20 luglio 2012

IGNAZIO SILONE: IL "DOSTOEVSKIJ" ITALIANO, UN CRISTIANO SENZA CHIESA


«Io sento quant'è grande il male che voglio compiere, ma più forte della ragione parla in me il thymós [passione], ed esso è per l'uomo causa dei maggiori mali».

"...nelle sue opere, soprattutto Vino e pane, ritroviamo altezze letterarie e introspettive paragonabili al miglior Dostoevskij".

Pseudonimo di Secondino Tranquilli, Ignazio Silone nasce a Pescina, in provincia dell'Aquila, il 1° maggio del 1900, figlio di una tessitrice e di un piccolo proprietario terriero. Qualche anno dopo la morte del padre (1910), egli perde anche un fratello per i postumi di un incidente e la madre nel terremoto che nel gennaio del 1915 distrugge gran parte della Marsica. Rimasto senza genitori e senza casa, va ad abitare con la nonna paterna e col fratello più giovane, Romolo, «nel quartiere più povero e disprezzato» del paese, dove comincia a frequentare la baracca della Lega dei contadini.
Nel frattempo riprende gli studi classici interrotti a causa del terremoto. La nonna lo affida al collegio Pio X di Roma, da cui però, in seguito a un tentativo di fuga, viene espulso. Successivamente, per diretto interessamento di don Luigi Orione passa in un convitto di San Remo e poi di Reggio Calabria.
Nel periodo della prima guerra mondiale, precisamente nel 1917, lascia definitivamente la scuola. Prende parte alle proteste contro l'entrata in guerra dell'Italia e viene processato e condannato al pagamento di un'ammenda, per aver capeggiato una violenta manifestazione contro una baracca dei carabinieri di Pescina.
«Poco o nulla sappiamo su quando Secondino Tranquilli si avvicinò alla militanza politica e al movimento giovanile socialista rivoluzionario. Quel poco lo ha raccontato egli stesso, collocando intorno al 1917 il suo ingresso nel movimento socialista […] Ma le prime tracce documentate del Silone rivoluzionario lasciano intuire che nei suoi ricordi egli anticipasse ed enfatizzasse alcuni avvenimenti in realtà svoltisi agli inizi del 1918» (Mario Canali, Ignazio Silone, ovvero la doppia identità, in L'Informatore: Silone, i comunisti e la polizia).
Certamente tra i 17 e i 18 anni, si trasferisce a Roma, ove s'immerge del tutto nella lotta politica. Tra il 1919 e il 1921 affronta con vivo entusiasmo i nuovi impegni: la segreteria dell'Unione socialista romana, la redazione dell'«Avanti!» e la direzione de «L'Avanguardia», il settimanale dei giovani socialisti. Nel 1921 partecipa alla fondazione del Partito Comunista Italiano come rappresentante della Gioventù Socialista. Probabilmente a metà del 1922 si trasferisce a Trieste come redattore del quotidiano «Il Lavoratore».
«Tranquilli — racconta Canali — non era nuovo all'ambiente giuliano-dalmata, era già stato a Fiume il 14 novembre del 1921 a presiedere il congresso provinciale dei giovani comunisti e in quella circostanza aveva conosciuto Gabriella Seidenfeld, la giovane fiumana che da allora sarebbe divenuta, per molti anni, la sua compagna inseparabile». Grazie a Gabriella Seidenfeld e alle sue sorelle, Silone entra in contatto con l'organizzazione fiumana della gioventù rivoluzionaria, che da tempo è anche attiva nelle organizzazioni del sovversivismo romano.
La collaborazione con «Il Lavoratore» non si protrae oltre il mese di gennaio del 1923, probabilmente a causa delle grandi difficoltà con cui il giornale, perseguitato e ripetutamente sequestrato dalla polizia fascista, è costretto a uscire. Agli inizi di gennaio del 1923, Silone espatria clandestinamente e raggiunge prima Berlino e poi la Spagna. Tra il 1921 e il 1927, infatti, quale membro della direzione del Partito Comunista, Ignazio Silone compie varie missioni sia in Russia sia in diversi Paesi d'Europa, subendo tra l'altro il carcere in Spagna e in Francia, con l'accusa di sovversivismo.
Nel maggio del 1927 si reca insieme con Togliatti a Mosca, dove partecipa a una riunione dell'Esecutivo dell'Internazionale comunista, presieduta da Stalin. D'accordo con Togliatti, Silone si oppone all'espulsione di Trotzki e Zinovieff.
In questi anni comincia a profilarsi la crisi che in seguito lo condurrà a staccarsi totalmente dal comunismo. Mentre progressivamente si rende conto degli oscuri intrighi della politica staliniana e prende atto di «ambiguità e reticenze» dei suoi compagni di partito di fronte all'Esecutivo di Mosca, si rifugia prima in Francia e poi in Svizzera, dove svolge un'intensa attività come responsabile dell'Ufficio Stampa e propaganda.
Il 13 aprile del 1928 il fratello Romolo Tranquilli viene arrestato con l'accusa gravissima di aver partecipato all'attentato al re Vittorio Emanuele III, alla fiera campionaria di Milano. Gli autori di quest'attentato, che provocò venti morti e quaranta feriti, non sono mai stati scoperti, e lo stesso arresto di Romolo Tranquilli (morto nel 1932 in carcere per le gravi torture subite dalla polizia fascista) rimane tinto di mistero.
Fin qui, quanto narrano le vecchie biografie siloniane. Tuttavia, le recenti ricerche condotte dagli storici Dario Biocca e Mauro Canali, hanno portato alla luce sconcertanti documenti che rivelano la doppia vita condotta da Ignazio Silone, fra il 1923 e il 1930 [vedi L'Informatore: Silone, i comunisti e la polizia].
Silone — allora per l'appunto dirigente del Partito Comunista d'Italia e massimo responsabile dell'organizzazione comunista clandestina — avrebbe contemporaneamente svolto, con lo pseudonimo di Silvestri, un ruolo attivo nell'informare la Questura di Roma e la Divisione di Polizia Politica.
Nella primavera del 1929, Silone, ammalatosi gravemente a causa di un'affezione di origine tubercolare, chiede di essere esonerato da ogni attività di partito. In realtà, nelle corrispondenze inviate a Gabriella Seidenfeld e al fratello in carcere, confessa di aver sofferto di ripetute crisi depressive. E, a causa di questi gravi disturbi nervosi, si reca a Zurigo per farsi curare nella clinica del grande psicanalista Carl Gustav Jung. Non solo, ma appena ricoverato in clinica, scrive al commissario Guido Bellone una lettera in cui chiede di modificare il suo rapporto di collaborazione con Polizia politica fascista, divenuto oramai «fisicamente impossibile». La richiesta — indotta anche dalla vicenda del fratello Romolo, che viene scagionato dalle accuse più gravi, senza però essere rimesso in libertà — non viene accolta e la collaborazione di Silone con la Polizia Politica prosegue nei mesi successivi.
Ma la sua «crisi di esistenza» è irreversibile. Nella lettera del 13 aprile 1930, Ignazio Silone non solo chiede all'ispettore Bellone di interrompere definitivamente la collaborazione con la Polizia di Mussolini, ma confessa anche di attendere il momento propizio per annunciare pubblicamente la sua rottura con il Partito. «Non poteva essere che questa, dall'altra parte — commenta Dario Biocca — la condizione posta da Bellone per autorizzare… l' "uscita di sicurezza" del fiduciario. Come sappiamo fu proprio l'impegno ad abbandonare ogni attività politica, assunto da Silone appena qualche settimana più tardi nell'accomiatarsi definitivamente dal suo corrispondente "galantuomo", a costituire l'ultima comunicazione fiduciaria rinvenuta nei fascicoli della Polizia politica».
Nel 1930 s'interrompe così il flusso delle informative alla polizia fascista. E nel luglio del 1931, dissentendo dall'adesione dei dirigenti del suo partito allo stalinismo — ossia, come egli stesso lo definisce, «dall'orientamento cretino e criminale che sta assumendo il Partito comunista» — Silone si dichiara un «anormale politico, un caso clinico» e viene espulso dal Partito con l'unanimità dei voti.
L'uscita dal Partito, la sua sola possibile «uscita di sicurezza» è per lui «una data assai triste, un grave lutto», il lutto della sua gioventù. In realtà, tuttavia, la sua vera «uscita di sicurezza» diviene la scrittura, in quanto eletta a strumento per «cercare di capire e di far capire»: il solo capace di ricomporre e dare senso alla propria esistenza. Già nel 1930, aggravatosi il suo stato di salute, proprio in clinica, a Davos, nei Grigioni, Silone inizierà a scrivere il suo romanzo più famoso Fontamara, che con gran successo nel 1933 viene pubblicato, prima in tedesco e poi in quasi tutte le altre lingue.
Negli anni dell'esilio svizzero (1931-1944), Silone scrive anche una raccolta di sei racconti dal titolo Un viaggio a Parigi (1935), e i romanzi Pane e vino (1937, (rititolato Vino e pane in una stesura successiva) e Il seme sotto la neve (1941).
Negli anni 1932-'34 è redattore del mensile in lingua tedesca, edito a Zurigo, «Information», destinato a raccogliere un cospicuo gruppo di artisti e intellettuali liberi (Thomas Mann, Bertold Brecht, Robert Musil e altri). Intraprende, inoltre, un'intensa attività saggistico-culturale. Pubblica il saggio Il fascismo, le sue origini e il suo sviluppo (1934); il trattato di filosofia politica, La scuola dei dittatori (1938) e un'antologia di pagine scelte di Mazzini, dal titolo Nuovo incontro con Mazzini (1938-39).
Verso la fine degli anni '30, quando insistenti si fanno le minacce della seconda guerra mondiale, Silone torna all'attività politica, dirigendo in Svizzera il Centro estero del Partito socialista. Nonostante il formale divieto del governo federale di occuparsi di politica, stringe rapporti con i gruppi di resistenza sorti in diversi paesi, attraverso la diffusione della stampa clandestina contro i regimi dittatoriali. Nel quindicinale «L'avvenire dei Lavoratori», da lui diretto, pubblica l'eccezionale documento sul Terzo Fronte, con le tredici tesi rivolte a creare una Federazione europea e a rinsaldare gli ideali democratici.
Inoltre, tra il gennaio 1942 e l'agosto 1944, Silone avrebbe avuto una relazione epistolare con il superagente dell'OSS (Office of Strategic Services), Allen W. Dulles, che poi diresse la CIA dal 1953 al 1961 — come sembrano per l'appunto attestare i documenti, recentemente pubblicati su Internet dallo storico svizzero Peter Kamber.
Le autorità elvetiche, per non complicare i rapporti con il governo italiano, lo fanno rinchiudere prima nel carcere di Zurigo, poi nel campo d'internamento a Davos e a Baden, dove scrive il dramma Ed egli si nascose (1944).
Nel 1944 rientra in Italia, si stabilisce a Roma. Aderisce al Partito Socialista Italiano di Unità Proletaria, ma si rifiuta di entrare nel Comitato d'epurazione. Dopo la scissione del Partito socialista capeggiato da Nenni da quello guidato da Saragat (1947), fonda, insieme con altri autonomisti, la rivista «Europa Socialista» e il Partito Socialista Unitario, che si richiama all'ideale di un'Europa libera dalle interferenze sia della Russia sia dell'America. Quando poi questo partito si scioglierà e confluirà nel partito socialdemocratico, Silone tornerà a far «parte per se stesso», confessando di sentirsi tra «le persone più sconfitte della lotta politica italiana».
Congedandosi definitivamente dalla politica dei partiti, riprende l'attività letteraria e nell'arco di un decennio scrive tre romanzi: Una manciata di more (1952), Il segreto di Luca (1956), La volpe e le camelie (1960). Allo stesso tempo, però, non rinuncia a battersi per gli ideali di una democrazia reale e non formale. Pertanto intensifica il suo impegno sul piano culturale contro i mali e le ingiustizie dei paesi sia dell'Est sia dell'Ovest. Fonda insieme con altri l'Associazione per la libertà della cultura; prende parte a vari congressi internazionali di scrittori, scende in campo per i "fatti d'Ungheria"; e assume, con Nicola Chiaromonte, la direzione della rivista «Tempo presente» (1956-1968), dalla cui tribuna lancia una campagna di difesa dei dissidenti russi Solzenicyn, Sacharov e Pasternak, fra sussurri di occulti finanziamenti da parte statunitense.
Il suo difficile ruolo di «socialista senza partito e cristiano senza chiesa» emerge nei saggi e nei racconti raccolti nel volume Uscita di Sicurezza (apparso per la prima volta nel 1949 e riedito in un'edizione definitiva nel 1965) e nel dramma L'avventura di un povero cristiano (1968).
Negli anni '70 i suoi battaglieri interventi si diradano. Incompiuto rimane il suo ultimo romanzo La speranza di Suor Severina (pubblicato postumo nel 1981).
Il 22 agosto del 1978, dopo una lunga malattia, Ignazio Silone muore in una clinica di Ginevra. Viene sepolto a Pescina, «ai piedi del vecchio campanile di San Bernardo», secondo il desiderio espresso nelle sue disposizioni testamentarie.


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