domenica 30 settembre 2012

CANTANTI ANNI '60: RITA PAVONE


    colonna sonora finale del film argentino del 2004: "Le nove regine"


UN GRANDE CAPITOLO TRADIZIONALE ITALIANO, SONO LE CANZONI DEGLI ANNI SESSANTA:  GINO PAOLI, BOBBY SOLO, ADRIANO CELENTANO (già visto nel blog nel maggio scorso), ALBANO, CATERINA CASELLI, MINA, SERGIO ENDRIGO, GIGLIOLA CINQUETTI, LITTLE TONY, PATTY PRAVO, LUCIO BATTISTI, JIMMY FONTANA, PEPPINO DI CAPRI, ORIETTA BERTI, NICO FIDENCO... SONO SOLO ALCUNI DEI TANTI (FORSE TROPPI!) INTERPRETI DELLE CANZONETTE DI QUEL PERIODO, CHE HANNO SEGNATO L'ITALIA IN MANIERA INDELEBILE...

OGGI PARLIAMO DI RITA PAVONE



Nata a Torino il 23 agosto 1945, attrice e cantante italiana.





Frizzante e vivace, quanto brava e determinata. L'eterna Giamburrasca della canzone italiana, fin dagli Anni Sessanta spopola in mezzo mondo.
Figlia di un siciliano, operaio della Fiat emigrato a Torino, di madre ferrarese, sogna lo spettacolo fin da bambina. Quando, con tre fratelli e il solo stipendio paterno, comincia ad esibirsi nei localini piemontesi. Animata da un unico sogno: diventare una star. Detto fatto. La sua agguerrita determinazione, la fa partecipare nel 1962, alla 1a Edizione della Festa degli Sconosciuti. Una kermesse canora, organizzata dal cantante Teddy Reno, che la piccola grande Rita vince. Conquistando da lì a poco, anche il cuore dell'organizzatore. Sposa Teddy Reno nel 1968, da tempo suo manager oltre che innamorato. Hanno due figli, Alessandro e Giorgio. Quest'ultimo musicista.
Poco dopo il suo esordio raggiunge un'incredibile popolarità nazionale e internazionale. Escono uno dietro l'altro alcuni singoli di enorme successo: La partita di pallone e Sul cucuzzolo (scritte da Edoardo Vianello), Alla mia età, Come te non c’è nessuno, Cuore (versione italiana della hit statunitense Heart), Il ballo del mattone, Non è facile avere 18 anni, Datemi un martello (cover su testo di Sergio Bardotti di If I Had a Hammer), Che m’importa del mondo.
È protagonista, nel 1964, dello sceneggiato televisivo Il giornalino di Gian Burrasca, tratto dal celebre romanzo per ragazzi di Vamba e diretto da Lina Wertmüller, con musiche di Nino Rota orchestrate da Luis Enriquez Bacalov. Sigla di questo autentico cult televisivo è il brano Viva la pappa col pomodoro, la cui registrazione si avvarrà della cetra di Anton Karas. Questa canzone verrà incisa dalla Pavone in molte lingue: The Man Who Makes The Music nel Regno Unito, Ich Frage Mainen Papa in Germania e Que ricas son la papas in Spagna e nei paesi di lingua spagnola.
Sempre nello stesso anno, la sua popolarità meritò le attenzioni di Umberto Eco nel suo saggio intitolato Apocalittici e Integrati. Nel 1965 vince il Cantagiro con Lui. Seguono numerose altre hit a 45 giri: Solo tu, Stasera con te, sigla del programma televisivo "Stasera Rita" per la regia di Antonello Falqui, Qui ritornerà, Il geghegé, altra sigla delle cinque puntate che la videro protagonista a Studio Uno del 1966, Fortissimo, La zanzara, Gira gira, Questo nostro amore.
In questi anni è protagonista anche di alcune pellicole cinematografiche appartenente al filone successivamente chiamato dei musicarelli : film dagli incassi miliardari furono Rita, la figlia americana (1965) con Totò e la regia di Piero Vivarelli; Rita la zanzara (1966) con Giancarlo Giannini e la regia di Lina Wertmuller; Non stuzzicate la zanzara (1966), con Giancarlo Giannini e Giulietta Masina, sempre per la regia di Lina Wertmuller.
Nel 1967, Rita Pavone vince il Cantagiro con "Questo nostro amore", scritto da Luis Enriquez Bacalov e Lina Wertmuller e tema del film "Non stuzzicate la Zanzara". Nel 1967 escono Little Rita nel West (con 33 giri omonimo per la RCA), film con Terence Hill e la regia di Ferdinando Baldi, e La Feldmarescialla, sempre con Terence Hill e la regia di Steno.
SUCCESSI ALL'ESTERO
Solo nei primi dieci anni di carriera, l'artista si esibisce assieme ai cantanti più famosi nei luoghi più celebri: dalla Carnegie Hall di New York all'Olympia di Parigi. Persino Elvis Presley vuole conoscerla.
Le sue canzoni raggiungono persino il difficile e diverso mercato americano e britannico: entrando addirittura in classifica.
Sfolgorante è stata quindi la popolarità di Rita Pavone a livello internazionale. Si può giustamente definirla la capostipite di una strada percorsa oggi da molti nostri artisti italiani, Pausini in testa, e tenendo presente che stiamo parlando degli anni sessanta. Molte sono le etichette per le quali Rita incide: Decca nel Regno Unito; Teldec e Polydor in Germania; Barclay, RCA e Phonogram in Francia ed infine, RCA Victor per gli Stati Uniti, Giappone e tutto il Sud America.
Negli Stati Uniti è stata cinque volte ospite della trasmissione Ed Sullivan Show (CBS), trasmesso live da costa a costa. In una puntata Rita Pavone vi appare sul cartellone quale terzo nome dopo Duke Ellington ed Ella Fitzgerald. Seguono altri spettacoli televisivi come Hullabaloo e Shindig che la vedono agire sul palco insieme a nomi mitici dello spettacolo mondiale quali: The Beach Boys, Marianne Faithfull, Orson Welles, The Animals, The Supremes.
La RCA Victor Americana pubblicherà 3 Album di Rita Pavone distribuiti nel mondo intero: The International Teen-Age Sensation, il cui singolo, Remember Me resterà per 10 settimane nelle classifiche 100 del Cashbox e del Billboard, le Bibbie della musica mondiale, arrivando alla 26ª posizione della classifica; segue il 33 Small Wonder, entrambi incisi negli Studi della RCA Victor in New York, ed infine Rita Pavone, registrato interamente a Nashville, e il cui produttore è nientemeno che il grande chitarrista Chet Atkins. In quell'occasione Rita Pavone si avvarrà di musicisti come Floyd Cramer, Al Hirt e il coro di Anita Kerr, quest'ultimo presente in moltissimi dischi del grande Presley (durante il lungo soggiorno, Rita avrà modo di conoscere personalmente Elvis Presley e Brenda Lee, due suoi grandi idoli). Presley le regalerà in ricordo un suo ritratto con dedica. Grazie a questo personale successo, il 20 marzo 1965, Rita Pavone si esibirà per la prima volta in concerto a New York nella magica Carnegie Hall, e per l'occasione a presentarla sarà Ed Sullivan in persona, in un teatro strapieno di fans super entusiasti, come scrive a tal proposito, in un bellissimo articolo, il quotidiano Herald Tribune recensendo il concerto.
Nel Regno Unito nel 1966 il singolo Heart, nell'originale lingua inglese, regalerà a Rita Pavone un 12 mo posto nelle classifiche britanniche e una permanenza di nove settimane. Altro ottimo posizionamento, 14º posto, le verrà da You Only You nel 1967 - versione in inglese della italianissima Solo tu, firmata originalmente da Bacalov e Lina Wertmuller, ma che in inglese si avvale della brillante penna di Norman Newell, che firmò la mitica More di Riz Ortolani. Numerosi anche nel Regno Unito i programmi televisi che la vedranno in scena con Tom Jones, Cilla Black e Donovan. Inoltre, sempre nel 1967, negli studi televisi londinesi della BBC, verrà realizzato un intero special sulla Pavone dal titolo Segni personali: lentiggini, con ospite d'onore il gruppo degli Herman Hermits. Per l'occasione, Rita Pavone verrà accompagnata dal gruppo dei Collettoni.
Enorme è la discografia di 45 giri e albums che vede presente Rita Pavone nel mercato di lingua tedesca e, spessissimo, tra le prime dieci canzoni più vendute. È del 1964 il suo primo 45 giri di successo in lingua tedesca: Wenn Ich ein Junge War, questo è il titolo che porta Rita Pavone in vetta alle classifiche tedesche con mezzo milione di copie vendute (negli anni settanta Nina Hagen riproporrà il brano in una reinterpretazione pedissequa all'originale che presenterà spessissimo nei suoi concerti). Altro primo posto per Rita Pavone verrà nel 1969 con Arrivederci Hans (800.000 copie vendute solo in Germania). Per non parlare poi della popolarità della Pavone in Argentina, Brasile, Spagna e Giappone, la cui discografia è molto ampia.
In Francia, dopo un fortunato ma piccolo approccio datato 1963 con Coeur, 45 giri EP prodotto dalla Barclay, e con il brano Clementine Cherie che sarà il tema principale del film francese omonimo starring Philippe Noiret, Rita Pavone sale finalmente sul podio delle classifiche francesi nel 1972 piazzandosi al 2º posto dei dischi più venduti con Bonjour la France ("La suggestione"), brano scritto per lei da Claudio Baglioni che le fa vendere 650.000 copie solo in Francia, e le apre, per un mese intero, le porte magiche del grande teatro Olympia di Parigi.
Nel 1973 viene costituito L'International Rita Pavone Fans Club, attualmente molto attivo. Esiste persino un organo ufficiale di stampa del Fans Club, chiamato Pavonissimo, accompagnato dalle fanzine bimestrali intitolate Fortissimo. La Pavone ha una propria etichetta discografica, con la quale ha pubblicato quattro cd con sue canzoni inedite.

Per i navigatori, si segnala l'Official Web Site, completo e divertente, all'indirizzo www.ritapavone.it


venerdì 28 settembre 2012

LA VERA RICETTA DEL LIMONCELLO





IL LIMONCELLO   


Per la preparazione del caratteristico liquore limoncello, l’ingrediente essenziale è ovviamente il limone, che dovrebbe essere di Sorrento, quindi dalla forma ellittica, dalle dimensioni medio-grosse e dalla buccia ricca di oli essenziali, molto spessa, rugosa e color giallo citrino.
La storia del limoncello è attraversata da molte leggende e diversi aneddoti, e la invenzione è contesa da sorrentini, amalfitani e capresi: comunque, a registrare per primo il marchio «Limoncello» nel 1988, fu l’imprenditore Massimo Canale, e a Capri, molti sostengono che la sua nascita sia legata alle storia di questa famiglia; pare infatti che questo liquore nacque nei primi del ‘900 da una ricetta della nonna, Maria Antonia Farace.
La preparazione del Limoncello è semplice ma bisogna praticarla con meticolosità, e se bene osservata, in poco più di um  mese questo profumatissimo liquore giallo dall’aroma deciso, potrà essere gustato, il più delle volte come digestivo, ma anche sui dolci o nelle macedonie.     

Ingredienti

Acqua                          1 litro e 1/2
Alcol puro a 95°         1 litro
Limoni                        10 medio-grossi non trattati
Zucchero                     1,0 kg
Cannella                      una spruzzata
Chiodi di garofano      2

■ PREPARAZIONE
Lavate i limoni in acqua tiepida e spazzolateli per ripulirli da eventuali residui.
Sbucciateli con un pela patate, per evitare di togliere anche la parte bianca della buccia (che risulta amara), mettete le scorze su un tagliere e riducetele a piccole listarelle; mettetele poi a macerare per una settimana insieme a 750 ml di álcool, i chiodi di garofano e la cannella, in un contenitore di vetro (vaso o brocca) chiuso ermeticamente, in un luogo buio e fresco.
Passati i sette giorni, portate ad ebollizione l’acqua e unitevi lo zucchero, mescolando fino al suo scioglimento; a questo punto lasciate raffreddare lo sciroppo ottenuto, e poi versatelo, insieme agli altri 250 ml di alcool, nel contenitore contenente le scorze in infusione. Chiudete di nuovo il contenitore e lasciatelo riposare per altri 30 giorni sempre al buio. Trascorso questo periodo, aprite il contenitore, filtrate il tutto, mettetelo in bottiglia e riponetelo in freezer, e….buona degustazione.

■ CONSIGLIO
Per la preparazione del limoncello, si consiglia l’utilizzo di alcool di ottima qualità, anche per evitare che il liquore, una volta nel freezer, si trasformi in ghiaccio.

■ CURIOSITA'
Il modo in cui i limoni vengono tradizionalmente coltivati nella costiera amalfitana, consiste nel far crescere le piante mediante impalcature formate da pali di castagno che superino i tre metri di altezza, e collocando il fusto delle piante al riparo dall'azione degli agenti atmosferici che potrebbero rovinare la perfetta maturazione dei frutti. La raccolta dei limoni è fatta a mano, in modo da evitare che i frutti tocchino il suolo, ed è solitamente effettuata nel periodo da febbraio ad ottobre.



                       MI RACCOMANDO, DITEMI COM'È VENUTO....



mercoledì 26 settembre 2012

RINGRAZIAMENTI...



                                                                                                  AMICI E... FIGLIE!


DA QUANDO IO E LE MIE FIGLIE SIAMO ARRIVATI IN 

BRASILE, MOLTI SONO STATI GLI ATTESTATI DI STIMA 

E DI AMICIZIA: COLLEGHI, ALUNNI E CONOSCENTI,

 SI SONO RIVELATI UNA RISORSA GRANDE E UN 

APPOGGIO INAMOVIBILE PER NOI. 

DOPO LE DISAVVENTURE FAMILIARI DEL 2010, 

SEMPRE PIÙ PERSONE SI SONO AVVICINATE  IN TUTTI 

I MODI, FACENDOCI SENTIRE IL LORO AFFETTO E 

CALORE.

PER ULTIMO, UN FAMOSO MEDICO, CHE HA 

PERMESSO CON I SUOI SUPPORTI INFORMATICI E LA 

SUA GENEROSITÀ, LA VICINANZA E LA CORDIALITÀ, 

DI POTER CONTINUARE IL LAVORO CHE PORTO 

AVANTI SEMPRE CON TANTO ENTUSIASMO.

RINGRAZIO PERCIÒ, VOI TUTTI, PER LA GRANDE 

AMICIZIA CHE CI DIMOSTRATE SEMPRE  IN QUALSIASI 

OCCASIONE. AVETE UN GRANDE SPAZIO NEL MIO 

PICCOLO CUORE, PIENO DI GIOIA PER LA VOSTRA 

COSTANTE PRESENZA E LE CONTINUE PIACEVOLI

SORPRESE. 

FELICISSIMO DI ESSERE IN BRASILE, AD ARACAJU, 

INSIEME A VOI, E AI MIEI QUATTRO TESORI, 

QUOTIDIANAMENTE.

GRAZIE.


BRUNO BONGINI




FERRARI: IL MITO ITALIANO CHE CORRE


video tratto dal blog dell'amico De gennaro






FERRARI UN NOME, 
UN MITO !!! 









L'INGEGNERIA ITALIANA È DA SEMPRE AI PRIMI POSTI DEL SETTORE AUTOMOBILISTICO, AEROSPAZIALE, DI PROGETTAZIONE E DESIGN.



La Ferrari è la casa più prestigiosa casa produttrice italiana di automobili da corsa e di vetture sportive d'alta fascia. Il simbolo (il "cavallino rampante") è quello dell'aviatore emiliano della Prima Guerra Mondiale Francesco Baracca (1888-1918), che fu ceduto personalmente dalla madre a Enzo Ferrari come portafortuna.
La sua nascita è spesso fatta coincidere - anche se a rigore sarebbe errato - con la fondazione da parte di Enzo Ferrari della Scuderia Ferrari nel 1929 a Modena. L'imprecisione in questa affermazione risiede nel fatto che, inizialmente, la Scuderia Ferrari non produceva automobili, ma sponsorizzava i piloti e realizzava le vetture per le corse utilizzando automobili di marca Alfa Romeo.
Per essere più rigorosi, l'azienda nasce ufficialmente il 1 settembre 1939 con il nome di Auto Avio Costruzioni; i suoi primi incarichi sono la costruzione di rettificatrici e di parti per velivoli. La prima vettura costruita è la Auto Avio 815, nel 1940,
mentre solamente nel 1947 nasce il modello "125 S", la prima automobile che porti sul cofano il nome Ferrari.
Nel 1957 assume ufficialmente la denominazione Auto Costruzioni Ferrari, per diventare SEFAC (Società Esercizio Fabbriche Automobili e Corse) SpA il 26 maggio 1960 e Ferrari SpA nel 1965.

Nel 1975 la Ferrari S.p.A. entra a far parte del gruppo Fiat. Nel 1988, alla scomparsa di Enzo Ferrari, il pacchetto azionario passa per il 90% alla FIAT, mentre la parte restante appartiene al figlio Piero Lardi Ferrari, che rimane anche all'interno del team aziendale come vice presidente. Nel 2006 il 5% di azioni è stato acquisito da una società finanziaria degli Emirati Arabi Uniti che sta promovendo la costruzione del primo parco a tema del cavallino rampante negli Emirati Arabi Uniti. Luca Cordero di Montezemolo, attuale presidente di Confindustria, è il Presidente e del gruppo Ferrari e del gruppo Fiat; la sede dell'azienda è attualmente a Maranello, sempre in provincia di Modena.
Nell'anno fiscale 2005 la Ferrari ha venduto 5409 vetture (+8,7% dall'anno precedente) per un fatturato di 1,5 miliardi di euro. Quando iniziò l'attività della Scuderia Ferrari nel 1929, il suo fondatore - Ferrari, appunto - non intendeva produrre autovetture: si dedicò piuttosto a sponsorizzare i guidatori amatoriali della sua città, Modena. Preparò e portò in gara con successo numerose vetture Alfa Romeo fino al 1938, quando fu ufficialmente ingaggiato dalla stessa Alfa come direttore del proprio reparto corse.

Storia  dal 1937 al 1961
Dopo la liquidazione della Scuderia Ferrari (30 dicembre 1937) e la nomina a direttore sportivo dell'Alfa Corse, Enzo Ferrari ebbe forti divergenze di opinioni coi vertici della casa milanese, tanto da abbandonarla nel corso del 1939. Dal momento che per contratto gli era vietato di partecipare a delle gare automobilistiche per alcuni anni, egli fondò il 1° settembre 1939 una ditta denominata Auto Avio Costruzioni, che produceva macchinari ed accessori per l'aviazione. Ma già l'anno successivo Ferrari produsse un'automobile da corsa, la AUTO AVIO Tipo 815 nel periodo nel quale non poteva gareggiare né produrre automobili riportanti il suo nome.
Questa è la prima vera Ferrari, che tuttavia, a causa della seconda guerra mondiale ebbe scarsamente modo di gareggiare. Nel 1943 la fabbrica della Ferrari si trasferì da Modena a Maranello, dove si trova tuttora. La fabbrica fu bombardata nel 1944 e ricostruita nel 1946 con l'aggiunta di una linea di produzione per le autovetture sportive non da corsa.
"Scuderia Ferrari" ha letteralmente il significato di stalla per i cavalli dal momento che l'emblema è il cavallino rampante; l'intera squadra viene frequentemente denominata "Team Ferrari". La prima vettura da strada prodotta da Ferrari nel 1947 fu il modello 125 Sport, con motore V12 da 1,5 litri;
Enzo con riluttanza dovette costruire e vendere le sue automobili per finanziare la Scuderia. Mentre le sue belle e velocissime automobili guadagnavano rapidamente l'eccellente reputazione, Enzo mantenne sempre una certa avversione per i propri clienti, forse perché avvertiva che molti di loro acquistavano le sue macchine solo per una questione di prestigio e non per sfruttarne a fondo le prestazioni.

La crisi del 1961
La forte personalità di Enzo Ferrari aiutò spesso la sua società; tuttavia, nel corso della storia della Ferrari, causò qualche tensione interna. L'apice di questi dissidi ci fu nel novembre 1961, quando il responsabile vendite della società, Girolamo Gardini, si irritò per il coinvolgimento della moglie di Enzo, Laura, all'interno degli affari della Ferrari. I due litigarono spesso, ma la loro discussione divenne una crisi quando Gardini minacciò di lasciare la compagnia, qualora le tensioni fossero continuate.
Enzo mantenne una dura linea di comportamento. Gardini venne licenziato, come il manager della Scuderia Ferrari, Romolo Tavoni, il capo-ingegnere Carlo Chiti, il capo-ingegnere per lo sviluppo tecnologico, Giotto Bizzarrini, e numerosi altri lavoratori. Tutti questi personaggi furono per l'azienda una terribile perdita, che mise a rischio la sopravvivenza dell'azienda. In effetti, quelli che erano stati licenziati fondarono immediatamente una nuova compagnia, l'ATS (sigla per "Automobili Turismo e Sport"), per competere direttamente con la Ferrari sia per le automobili da strada che per quelle da competizione.
Questo "grande sciopero" portò delle grandi difficoltà per la Ferrari. La compagnia stava sviluppando un modello 250 per difendere il suo onore contro la Jaguar E-Type. Lo sviluppo di quest'automobile, la 250 GTO, rese evidenti alcune difficoltà derivanti dalla perdita dei tecnici specializzati.
In questa situazione, furono importantissimi due personaggi: un giovane ingegnere, Mauro Forghieri, e un veterano delle corse automobilistiche, Sergio Scaglietti. Forghieri progettò il motore della GTO, Scaglietti il corpo della vettura. Durante il Gran Premio di Sebring, Florida, Phil Hill, alla guida della Ferrari 250 GTO, si piazzò al primo posto. La vettura continuò a vincere nel 1962, spazzando via la concorrenza della Jaguar e divenendo una delle più famose auto da corsa della storia, portando alla società enormi guadagni, rispetto alla precedente decade. Negli anni successivi, grazie al talento ingegneristico di Forghieri, la Ferrari produsse altri due modelli leggendari, la 275 GTB e la Daytona (qui nella foto).


Dal 1963 al 1968
La Shelby Cobra, con motori V8, gareggiò con le Ferrari nel primi anni sessanta. Inoltre, la Ford tentò di acquistare la società, ma non venne mai raggiunto alcun accordo; Ford GT40, nel 1967, pose fine al dominio dei Prototipi Ferrari nella 24 ore di Le Mans.
Alla fine del 1967, la FIA vietò i prototipi di cilindrata sopra i 3000 cc; questa decisione riguardava soprattutto i modelli Ferrari 330P .
Nel 1968, la Scuderia non prese parte ad alcuna competizione sportiva, per protestare contro il decreto.

Dal 1968 al 1971
In questi anni entrò a far parte della sfera delle case automobilistiche la Porsche. Questa iscrisse 3 nuove auto da corsa nelle competizioni, nel 1968 (come la Porsche 908), mentre la Ferrari correva con la 312P solo in poche occasioni, nel 1969. Nel marzo di quell'anno, la presentazione della Porsche 917, costruita in una serie composta da 25 esemplari, sorprese anche la Ferrari, che rispose, sul finire dello stesso anno, con la produzione di 25 Ferrari 512S, finanziata da introiti dovuti ad un accordo con la FIAT.
Il 1970 vide leggendarie battaglie in pista tra i due team, con l'iscrizione di numerose vetture per entrambe le case automobilistiche; la Porsche vinse tutte le gare, eccetto la 12 ore di Sebring, dove prevalsero Ignazio Giunti, Nino Vaccarella e Mario Andretti sulla Ferrari 512S. Nel 1971, per preparare la nuova Ferrari 312PB per la stagione del 1972, dove erano ammesse solo auto di classe 3 litri, decise di rinunciare alla Ferrari 512S.

Dal 1972 al 1988
La Ferrari 312PB dominò il Campionato del Mondo delle auto sportive nel 1972 contro i rivali della Alfa Romeo, mentre la Porsche non prese parte al campionato in seguito al cambiamento di alcune regole, mentre la Matra gareggiava solo nella 24 ore di Le Mans, vincendovi.
Nel 1973, il team Matra gareggiò nell'intero campionato mondiale, vincendo 5 gare, prevalendo sulla Ferrari che aveva collezionato solo due vittorie; l'Alfa Romeo non gareggiò in quell'anno.
Quando Enzo morì nel 1988, Ferrari divenne un mito. Il valore delle auto usate crebbe enormemente, così come la vendita dei nuovi modelli.

Oggi
Nel 2004, FIAT possedeva il 56% di Ferrari, Mediobanca il 15%, Commerzbank il 10%, Lehman Brothers il 7%, mentre il figlio di Enzo, Piero Ferrari il 10%.
Le vetture
Le autovetture Ferrari, notevoli per lo stile raffinato, opera di illustri progettisti e designer, quali Pininfarina, sono da molto tempo oggetto del desiderio per ricchi e giovani di tutto il mondo, particolarmente negli Stati Uniti, dove il marchio ha riscosso particolarmente successo, ma anche nei nuovi mercati dell'Est e dell'Oriente. Altri designer e case che hanno lavorato per Ferrari durante gli anni comprendono Scaglietti, Bertone e Vignale.
I motori impiegati nelle autovetture Ferrari sono prevalentemente dei piccoli V8 e V12, che fino all'introduzione negli anni ottanta dell'iniezione elettronica diretta, erano abbastanza capricciosi e instabili. Una certa reputazione di inaffidabilità e tecnica veniva comunque descritta come "carattere" dagli appassionati e dagli entusiasti.

Le corse


La vera passione di Enzo Ferrari, nonostante gli ottimi affari derivanti dalla vendita di autovetture, è stata sempre la corsa. La sua Scuderia era iniziata come uno sponsor indipendente per piloti di varie macchine, ma divenne presto parte del team corse dell'Alfa Romeo. Dopo l'uscita di Enzo Ferrari dall'Alfa, egli iniziò a progettare e produrre vetture per proprio conto; il team Ferrari apparve per la prima volta sulla scena di gran premi europei dopo la fine della seconda guerra mondiale.
La prima monoposto costruita dalla Ferrari, la "125", debutta al Gran Premio d'Italia il 5 settembre 1948 a Torino, pilotata dal francese Raymond Sommer che si qualifica terzo alle spalle di Wimille (Alfa Romeo) e Villoresi (Maserati).
La Scuderia aderì al Campionato del mondo di Formula 1 nel primo anno della sua esistenza, il 1950. Fece il suo debutto al Gran Premio di Monaco. José Froilan González diede al team la sua prima vittoria nel Gran Premio di Gran Bretagna del 1951. Alberto Ascari ottenne per la Ferrari il primo titolo di Campione del mondo l'anno successivo.
La Ferrari è, ad oggi, l'unico team ad aver partecipato a tutte le edizioni del Campionato del Mondo di Formula 1 e, soprattutto, quello con il maggior numero di successi: vanta il record di 15 titoli di Campione del mondo piloti, (conseguiti nel 1952, 1953, 1956, 1958, 1961, 1964, 1975, 1977, 1979, e dal 2000 al 2004, e nel 2007), e il record di 15 titoli di Campione del mondo costruttori (1961, 1964, 1975, 1976, 1977, 1979, 1982, 1983, dal 1999 al 2004 e 2007) e il record di 201 vittorie in un Gran Premio (aggiornato al 21 ottobre 2007).
Tra i piloti famosi che hanno corso per la "Rossa" Tazio Nuvolari, Juan Manuel Fangio, Alberto Ascari, Phil Hill, Mike Hawthorn, John Surtees, Niki Lauda, Jody Scheckter, Gilles Villeneuve, Alain Prost, Nigel Mansell, Michael Schumacher, Kimi Raikkonen e Fernando Alonso.

Il "Cavallino Rampante"


Il logo Ferrari, famoso in tutto il mondo, è il cavallino rampante su fondo giallo, con in basso le lettere S F per Scuderia Ferrari, con tre strisce, una verde, una bianca e una rossa, colori nazionali italiani, in alto. Questo è il logo che viene applicato su tutte le auto da competizione direttamente supportate dalla scuderia. Il cavallino rampante era originariamente l'emblema personale del Maggiore Francesco Baracca, che l'asso della 1ª Guerra Mondiale faceva dipingere sulle fiancate dei suoi velivoli. Sul colore esatto del cavallino di Baracca esiste un piccolo mistero. Sembra infatti accertato che il colore originario del cavallino fosse il rosso, tratto per inversione dallo stemma del 2° Reggimento "Piemonte Reale Cavalleria" di cui l'asso romagnolo faceva parte, e che il più famoso colore nero fu invece adottato in segno di lutto dai suoi compagni di squadriglia solo dopo la morte di Baracca.
Il 17 giugno 1923 Enzo Ferrari vinse una corsa all'autodromo di Savio, vicino a Ravenna, e in quell'occasione incontrò la contessa Paolina, madre di Baracca. La contessa propose a Ferrari di utilizzare il cavallino sulle sue macchine, sostenendo che avrebbe portato fortuna; tuttavia la prima corsa nella quale l'Alfa permise di utilizzare il cavallino sulle macchine della Scuderia fu la 24 ore di Spa del 1932. La Ferrari vinse.
Non ha mai trovato fondamento, invece, la teoria secondo cui il simbolo fosse stato ispirato da un aereo tedesco che Francesco Baracca aveva abbattuto durante la Prima Guerra Mondiale. Su questo aereo era dipinto, infatti, il simbolo della città di Stoccarda: una cavalla rampante, che è anche lo stemma della famosa Porsche che ha sede nella città tedesca. L'aviatore italiano, recatosi sul luogo dove era precipitato il velivolo nemico, avrebbe visto tale simbolo e gli piacque tanto da decidere di disegnarlo sulla carlinga del proprio aereo. Se questa speculazione fosse corretta, lo stemma della Ferrari sarebbe lo stesso della Porsche.
Ferrari utilizzò un cavallino rampante ampiamente modificato rispetto al disegno originario (soprattutto nella coda, che nel cavallino di Baracca puntava verso il basso), aggiungendo un fondo giallo canarino, che era il colore della sua città natale, Modena.
Il cavallino rampante non è stato utilizzato unicamente dal marchio Ferrari: Fabio Taglioni lo usò sulle sue motociclette Ducati.  Il cavallino rampante è un marchio registrato della Ferrari.

Rosso Corsa


Fin dagli anni venti, le automobili da corsa italiane, come Alfa Romeo, Maserati e, in seguito, anche Ferrari e Abarth vennero (e ancora oggi è così) verniciate di un particolare tipo di rosso, il Rosso Corsa. Questo è il consueto colore per le vetture italiane, che gareggiano in campionati automobilistici, in base ad un provvedimento, preso durante le due guerre mondiali, dall'associazione che in seguito verrà chiamata FIA. In questo schema, le auto francesi, come la Bugatti sono blu, le tedesche, come la BMW e la Porsche argento, eccetera.

In questo sito, potete trovare una piccola storia della Ferrari in Formula 1:

http://www.racing.it/f1/teams/storiaferrari.htm

venerdì 14 settembre 2012

DINO BUZZATI: IL KAFKA NOSTRANO

DINO BUZZATI, IL SENTIMENTO DISPERATO.

CONTINUIAMO IL NOSTRO VIAGGIO TRA I LETTERATI ITALIANI, CONOSCENDO IL COSIDDETTO KAFKA ITALIANO.

Dino Buzzati nasce il 16 ottobre 1906 a San Pellegrino, nei pressi di Belluno. Sin dalla giovinezza si manifestano in lui gli interessi, i temi e le passioni del futuro scrittore, ai quali resterà fedele per tutta la vita: la poesia, la musica (studia violino e pianoforte e non bisogna dimenticare che in futuro scriverà anche alcuni libretti d'Opera), il disegno, e la montagna, vera compagna dell'infanzia, a cui è anche dedicato il suo primo romanzo, "Barnabo delle montagne".

A soli quattordici anni rimane orfano dell'amato padre, il quale si spegne a causa di un tumore al pancreas. L'evento sconvolge così tanto il piccolo Buzzati che per molto tempo vivrà nell'ossessione di essere colpito dallo stesso male. Svolti i regolari studi, nei quali si dimostra bravo e diligente, ma nulla più, si reca nella caserma della sua città per svolgere il servizio militare: sei mesi di scuola allievo ufficiale, tre mesi da sottufficiale (sergente) e quattro mesi da sottotenente.

Scrittore in erba, fin dalla giovinezza tiene un diario dove si abitua ad annotare opinioni e avvenimenti. Dentro di lui, infatti, prende sempre più corpo il desiderio e il sogno di dedicarsi professionalmente a qualunque mestiere che prevedesse la scrittura. E' assai attirato ad esempio dal giornalismo ed ecco che, nel Luglio del 1928, ancor prima di concludere gli studi in legge, entra come praticante al "Corriere della Sera". Dopo la laurea, invece, inizia la collaborazione al settimanale "Il popolo di Lombardia" mentre poco dopo esce il già citato "Barnabo delle montagne", che ottiene un buon successo. La stessa sorte, purtroppo, non accade alla sua seconda prova narrativa, "Il segreto del Bosco Vecchio", accolto con sostanziale indifferenza.

Nel gennaio del 1939 consegna il manoscritto del suo capolavoro, del suo libro più amato e conosciuto, quel "Il deserto dei Tartari" che diverrà un emblema della letteratura del Novecento. Il romanzo è la storia di un giovane militare, Giovanni Drogo, che inizia la propria carriera nella fortezza Bastiani, che sorge isolata ai confini di un immaginario regno e in un'epoca non precisata. Se inizialmente, per Drogo, quella fortezza è un luogo chiuso, inospitale e che non gli offre alcun futuro, col passare del tempo vi si abitua , fino a non volerla (e non poterla) più lasciare, sia a causa della perdita di contatti col resto del mondo, sia per la continua speranza che un giorno i Tartari, dal deserto, attacchino la fortezza. E' chiaro dunque che in tale romanzo è fondamentale l'allegoria che vi è sviluppata, sebbene non siano mai abbandonate la verosimiglianza delle situazioni e l'attenta descrizione di personaggi che diventano quasi dei tipi.

La vita di Drogo simboleggia la vita umana, che è incalzata dal passare del tempo e dalla solitudine, in un mondo, rappresentato dalla fortezza, fatto di leggi assurde e speranze inutili. Altro punto messo in rilievo da Buzzati è come gli uomini continuino ad ingannarsi: Drogo si ripete in continuazione che "l'importante è ancora da cominciare", e continua ad alimentare le sue speranze sebbene nulla le suffraghi. Buzzati sembra dirci, con questo romanzo, che per l'uomo è meglio desiderare poco, che si sappia accontentare, poichè il mondo, il gioco della vita, concedono poco e sono pronti a disilludere le più spericolate o nobili ambizioni.

Il primo lettore che riceve il manoscritto è l'amico Arturo Brambilla che, dopo un'entusiastica lettura, lo passa a Leo Longanesi, il quale stava preparando una nuova collezione per Rizzoli denominata il "Sofà delle Muse". Su segnalazione di Indro Montanelli, questi ne accetta la pubblicazione; tuttavia, in una lettera, Longanesi prega l'autore di cambiare il titolo originario "La fortezza", per evitare ogni allusione alla guerra ormai imminente. In seguito, Buzzati si imbarca a Napoli sulla nave Colombo e parte per Addis Abeba, come cronista e fotoreporter, inviato speciale del "Corriere della Sera". E' il 1939 e la seconda guerra mondiale è alle porte. L'anno successivo, infatti, parte dallo stesso porto come corrispondente di guerra sull'incrociatore Fiume. Partecipa così seppure come testimone, alle battaglie di Capo Teulada e di Capo Matapan ed alla seconda battaglia della Sirte, inviando i suoi articoli al giornale. Sarà sua anche la "Cronaca di ore memorabili" apparsa sulla prima pagina del "Corriere della Sera" il 25 aprile 1945, giorno della Liberazione.

Nel 1949 esce il volume di racconti "Paura alla Scala" e nel giugno dello stesso anno è inviato dal "Corriere della Sera" al seguito del Giro d'Italia. Nel 1950 l'editore Neri Pozza di Vicenza stampa la prima edizione degli 88 pezzi di "In quel preciso momento", una raccolta di note, appunti, racconti brevi e divagazioni mentre, quattro anni dopo, esce il volume di racconti "Il crollo della Baliverna", col quale vincerà, ex aequo con Cardarelli, il Premio Napoli.
Nel gennaio 1957 sostituisce temporaneamente Leonardo Borgese come critico d'arte del "Corriere". Lavora anche per la "Domenica del Corriere", occupandosi soprattutto dei titoli e delle didascalie. Compone alcune poesie, che entreranno a far parte del poemetto "Il capitano Pic". Nel 1958 escono "Le storie dipinte", presentate in occasione della personale di pittura dello scrittore inaugurata il 21 novembre alla Galleria Re Magi di Milano.

L'8 giugno del 1961 muore la madre e due anni dopo egli scriverà la cronaca interiore di quel funerale nell'elzeviro "I due autisti". Seguono anni di viaggi come inviato del giornale. L'8 dicembre 1966 sposa Almerina Antoniazzi, la donna che, seppure alla lontana e in un'ottica romanzata, gli aveva ispirato il tormentato "Un amore".

Nel 1970 gli viene assegnato il premio giornalistico "Mario Massai" per gli articoli pubblicati sul "Corriere della Sera" nell'estate 1969 a commento della discesa dell'uomo sulla Luna. Il 27 febbraio 1971 viene rappresentata a Trieste l'opera in un atto e tre quarti del maestro Mario Buganelli dal titolo "Fontana", tratta dal racconto "Non aspettavamo altro".
L'editore Garzanti pubblica, con l'aggiunta di didascalie, gli ex-voto dipinti da Buzzati "I miracoli di Val Morel" mentre, presso Mondadori esce il volume di racconti ed elzeviri "Le notti difficili".
Intanto, prosegue in maniera intensa anche la sua attività di pittore ed illustratore, passione sempre sotterranea che non aveva mai abbandonato. Malgrado il suo sostanziale approccio dilettantistico, i suoi dipinti vengono comunque apprezzati dagli estimatori e gli vengono dedicate alcune esposizioni.

E' invece il 1971 quando comincia ad avvertire i sintomi della malattia (un tumore al pancreas, esattamente come il padre) che lo porterà alla morte.
In ottobre espone alla Galleria Castello di Trento, in novembre alla Galleria Lo Spazio di Roma. Viene presentato il volume "Buzzati, pittore", che contiene giudizi di critici, scrittori e giornalisti e Garzanti pubblica "I miracoli di Val Morel", mentre Mondadori l'ultima raccolta di racconti ed elzeviri.
Una serie di incontri con Yves Panafieu durante l'estate e le registrazioni di quei colloqui sono alla base del libro-intervista "Dino Buzzati: un autoritratto", che sarà pubblicato nel 1973 da Mondadori.
L'8 dicembre Buzzati entra in clinica e si spegne il 28 Gennaio del 1972.