POCHI SANNO CHE NEL 2004 HO APERTO UNA BIRRERIA (IL TNT PUB) A SEGUITO DELLA MIA PASSIONE PER QUESTA MERAVIGLIOSA BEVANDA.
QUANDO PARLIAMO DI BIRRA, VIENE NATURALE LA DIVISIONE TRA QUELLA ARTIGIANALE E QUELLA INDUSTRIALE: DUE PRODOTTI COMPLETAMENTE DIVERSI
IN EUROPA ESISTONO TRADIZIONI ANTICHE COME I POPOLI CHE ABITANO LE TERRE DEL VECCHIO CONTINENTE. VEDIAMO INSIEME DI COSA PARLIAMO...
L'OKTOBERFEST A MONACO DI BAVIERA: LA FESTA PIÙ GRANDE DEL MONDO
Di birra non ce n'è una sola!
Scopri i suoi tanti gusti, colori e gradazioni.
TIPI DI BIRRE
La birra è la bevanda più
diffusa sul nostro pianeta e pur essendo una bevanda attualissima vanta origini
molto antiche. La sua storia ha oltre cinquemila anni e la sua origine va
situata fra Mesopotamia e Antico Egitto. A seconda dei tempi e dei Paesi ha modificato
la sua natura, senza però mai tradirla, adeguandosi ai gusti, alla cultura,
alla disponibilità delle materie prime. Queste varianti sono pressoché infinite
e in continua evoluzione.
Partendo dalle materie prime
tradizionali: acqua, orzo, luppolo e lievito, attraverso diversi metodi viene
prodotta una varietà quasi infinita di birre.
Ecco alcune delle tipologie di
birra esistenti. Il lavoro che stiamo realizzando ha come scopo quello di
specificare sempre meglio le caratteristiche e le virtù di queste svariate
tipologie di birra, prodotte in tutto il mondo. Alcune categorie risulteranno
quindi mancanti o incomplete, l'obiettivo è quindi quello di arrivare ad una
definizione quanto più ampia possibile per ogni tipologia, e per fare questo,
la conoscenza non si deve mai fermare. E' pur vero che ognuno di noi possiede
un giudizio personale, fatto di sensazioni e gusti personalissimi, e quindi
difficile, catalogare tutte le birre prodotte nel mondo entro un preciso
schema.
Abbazia
Abbazia
Le birre d'abbazia sono
prodotte con l'antico metodo dell'alta fermentazione; generalmente corpose e di
forte contenuto alcolico (da 6 a 9 gradi alcolici). La loro colorazione varia
dall'oro carico, all'ambrato, al rosso cupo, al bruno scuro. Si richiamano alle
birre che venivano anticamente prodotte in numerose abbazie belghe. Solitamente
non viene prodotta in abbazia, ma secondo ricette di antichi monasteri. In
Belgio. dove è piuttosto diffusa, è una birra ad alta fermentazione,
decisamente alcolica e strutturata.
Ale
E' il nome con cui i
britannici definiscono la birra tradizionale. Identifica birre ad alta
fermentazione, di moderato contenuto alcolico e di poca schiuma, da bere a
temperatura di cantina. Colori assortiti, sapori anche. Numerose sono le
sottotipologie per la british ale: bitter ale, brown ale, mild ale, old
ale, pale ale, scotch ale. Molto apprezzata la real ale ovvero
la ale prodotta con metodi tradizionali antichi. Le rare ale inglesi di forte
gradazione alcolica vengono chiamate Barley wine (vino
d'orzo). Anche il Belgio vanta una sua tradizione in fatto di ale. Le ale
belghe sono generalmente (ma non sempre) di forte contenuto
alcolico.(Bières d'abbay), ma anche in Germania (klosterbier). Il termine
indica in senso lato le birre prodotte con il metodo dell'alta fermentazione.
In senso stretto identifica una famiglia di birre inglesi aromatiche
comprendente numerosi stili.
Altbier
Il nome si riferisce in
particolare alla maniera di produrre questa birra. La Altbier, come la Ale,
viene fabbricata a temperature più alte per mezzo di un'alta fermentazione;
essa matura però, come la birra a bassa fermentazione, a temperature inferiori.
E' una birra maltata, morbida, con un carattere amaro. La Altbier ha una
colorazione che varia dal ramato o ambrato fino al marrone scuro. Questo tipo
di birra tradizionale proviene dal nordovest della Germania, in particolare
dalla regione di Düsseldorf, ma oggi le Altbier vengono sempre più prodotte
anche in Giappone e America. Ramata, leggera, digestiva, dal gusto fruttato.
Possiede un'alcolicità vicina al 4,5%.
Biere Blanche - Witbier
Birra a base di frumento che
viene prodotta in Belgio. E' leggermente acidula, di color bianco lattiginoso.
Assai rinfrescante e digestiva, con particolarità aromatiche dovute
all'aggiunta di coriandolo e curaçao. Birra di frumento belga dall'aspetto
opalescente. Al naso e in bocca risulta fresca e speziata. Contiene circa il 5%
dì alcol.
Barley wine
Benché molto forte non si
tratta certo di un vino, però deve il nome al suo contenuto alcolico, da due a
tre volte maggiore di una Ale normale. Viene spesso servita in bicchieri da
vino e alcuni tipi maturati in bottiglia migliorano la loro qualità con l'età.
E' piena di carattere, maltata, e il suo aroma fruttato si unisce al bouquet
del luppolo che, se aggiunto in quantità maggiori, compensa il gusto dolce del
malto. Il colore varia dal ramato scuro o oro fino al bruno intenso. Questa Ale
forte e robusta è particolarmente adatta come bevanda invernale poiché riscalda
con il suo retrogusto persistente e complesso. Viene apprezzata anche come
birra da dessert. Birra particolarmente alcolica, facilmente oltre il 9%.
Berliner weisse
Birra di frumento tipica di
Berlino con circa il 3% di alcool e dall'aspetto lattiginoso A volte viene
servita con succo di frutta per attenuarne la forte acidità.
Bière de garde
Birra del nord della Francia
ad alta fermentazione e rifermentata in bottiglia. L'alcool varia tra il 5% e
il 7% e il colore è generalmente ambrato.
Biere de mars
Francese a bassa fermentazione
prodotta in autunno e consumata per festeggiare l'inizio della primavera.
Solitamente è ben strutturata, di colore ambrato e con un'alcolicità vicina al
5%.
Birra di puro malto
Birra prodotta con malto
d'orzo e/o malto di frumento, senza l'aggiunta di altri cereali non maltati.
Birra speciale
Per la legge italiana è una
birra con almeno 12.5° Plato, e circa 5,4/5.8% di alcool sul volume.
Bitter ale
L'inglese più classica,
servita alla spina. Ha circa il 4% di alcol, colore ambrato e carattere
luppolato. Le "best" e "special" sono leggermente più
alcoliche.
Bock
Birre a bassa fermentazione e
a gradazione elevata di produzione tradizionalmente tedesca. Dense, corpose,
dal deciso sapore di malto. Quando sono ancora più forti diventano doppelbock.
Le bock di solito sono chiare, le doppelbock ambrate o scure. Tedesca a bassa
fermentazione. spesso ambrata. con un carattere maltato e un'alcolicità
compresa tra il 6% e il 7,5% ". La variante "maibock" veniva
tradizionalmente prodotta per le feste primaverili.
Brown ale
Inglese di colore ambrato
intenso e dal gusto leggermente dolce. Tipicamente tra il 3,5% e il 4,5% di
alcool.
Cream ale
Definizione per una birra
americana chiara, non particolarmente strutturata nel corpo e nel gusto. Spesso
viene tagliata con una "lager" chiara. Vicina al 5% di alcool.
Doppelbock
Birra della Germania
meridionale a bassa fermentazione e alto contenuto alcolico. di solito oltre il
7%. Di colore ambrato carico o quasi scoru1 tradizionalmente veniva prodotta in
primavera. Spesso il nome del prodotto contiene il suffisso "ator",
se messa in vendita durante la quaresima.
Doppio malto
Secondo la legge italiana è
una birra con una gradazione Plato non inferiore a 14,5° e con circa 6,5% di
alcool sul volume.
Dortmunder
Il nome deriva dalla vocazione
commerciale della città tedesca di Dortmund in Renania, che fu uno dei primi
centri di esportazione della birra. In questa città nasce infatti il tipo di
birra denominata Export. Bassa fermentazione. Gusto rotondo, non troppo amaro,
sapore di malto. Gradazione alcolica attorno ai 4 gradi e mezzo.
Draught
In inglese significa
letteralmente "alla spina". Le lattine e le bottiglie che riportano
questa indicazione contengono un dispositivo meccanico atto a simulare
l'effetto di spillatura della Birra.
Belga rifermentata in
bottiglia dal colore ambrato e carattere maltato. Spesso è una birra
"trappista" o di "abbazia".
Eisbock
Antica birra tedesca ottenuta
dalla sottrazione di una parte della componente acquosa attraverso il
congelamento del fusto. Il risultato è una birra corposa, alcolica e dal gusto
deciso.
Esotiche
Non è una vera tipologia
birraria ma semplicemente una denominazione di fantasia per identificare quelle
birre che ci portano atmosfere di Paesi lontani e affascinanti. Quasi tutte
praticamente rientrano nella grande famiglia delle birre lager ma in qualche
caso hanno caratteristiche particolari. Le birre latino-americane, per esempio,
sono di colore molto chiaro, sapore delicato, grande bevibilità.
Export
Spesso è sinonimo di
"dortmunder", altrimenti può identificare una qualsiasi birra nata
per l'esportazione. Altre volte dovrebbe indicate un prodotto di qualità
superiore.
Faro
"Lambic" cui viene
aggiunto zucchero durante la fermentazione. E una birra con circa il 5% di
alcool,, spesso ambrata, in cui la dolcezza dello zucchero si contrappone
all'acidità della fermentazione spontanea.
Gueuze
Birra belga a fermentazione
spontanea, ricavata dalla miscelazione di vari tipi di birre Lambic (vedi). Può
essere aromatizzata, per macerazione, con vari tipi di frutta. Tra le più note,
la Frambozen (lampone), ma si producono anche birre alla pesca, al ribes, al
mirtillo, alla banana.
Ice beer
Moderna versione delle
"eisbock", congelata durante la maturazione. Di colore chiaro e buon
tenore alcolico.
Imperial stout
"Stout" nata nel
Regno Unito per essere esportata nella Russia imperiale. Concepita per essere
conservata a lungo è una birra più alcolica di una "Stout"
tradizionale, arrivando facilmente all'8%.
India pale ale/Ipa
Inglese destinata
tradizionalmente all'esportazione in India. Versione più alcolica e luppolata
della semplice "pale ale", supera facilmente il 5% di alcool.
Kellerbier
Bavarese a bassa fermentazione
non filtrata. È tipicamente poco frizzante, con un buon tenore di luppolo.
Kölsch
Birra tipica della città
tedesca di Colonia, ad alta fermentazione, dorata, delicata e decisamente
secca. Si beve in un apposito bicchiere cilindrico. Di difficile reperimento
nel nostro Paese. E una birra chiara, piuttosto acida con un alcolicità vicina
al 4,5%.
Krieken (Lambic)
Una lambic che ha subito
un'ulteriore fermentazione grazie all'aggiunta di ciliege intere. Ideale come
aperitivo. Si serve leggermente fredda in un bicchiere flûte.
Lager
Ogni birra prodotta a bassa
fermentazione è genericamente chiamata lager. Si sarebbe tentati di dire che è
la birra comune, anche se non c'è niente di comune in questo stile birrario che
è il più diffuso a livello mondiale. Di colore oro pallido, mediamente amara.
Il nome deriva dal tedesco lager che indica i magazzini, le cantine in cui
viene messa a maturare.
Lambic
Birra a fermentazione
spontanea, che raccoglie cioè il lievito dell'aria e lascia fermentare
liberamente il mosto. Viene prodotta con una buona percentuale di malto di
frumento, ma dato che il lievito presente nell'aria non è mai lo stesso né
della stessa quantità, si miscelano vari tipi di lambic per dare origine alla
birra Gueuze. Birra belga di frumento e matto d'orzo a fermentazione spontanea
rifermentata in bottiglia oppure in botti di quercia o rovere. ha un sapore
fresco e piuttosto acido, un colore chiaro opalescente e un'alcolicità vicina
al 4%. Talvolta, con lo scopo di addolcirne il carattere, alla
"Lambic" viene aggiunta della frutta durante la fermentazione. La
birra prende il nome di "framboise" se si tratta di lamponi, "kriek"
dì ciliegie, "pèche" di pesche, cassis" di ribes neri.
Light Beer/ Leicht bier/
Birra leggera
Definizione per una birra dal
basso contenuto calorico e soprattutto alcolico. Spesso è una birra poco
strutturata anche negli aromi e nel gusto.
Malt liquor
Non tutte le birre americane
sono leggere e poco alcoliche. Alcune, ma sono poche, sono di gradazione
alcolica elevata e vengono chiamate appunto Malt liquor (liquore di malto).
Sono in pratica le doppio malto Usa. Di colore chiaro con oltre il 5% di alcol.
Märzen
Tipica birra tedesca di Monaco
di Baviera. Viene prodotta in marzo per essere consumata durante l'Oktoberfest,
dove viene bevuta in grandi quantità, esclusivamente in boccali (mass) da un
litro. Bavarese prodotta nel mese di marzo per essere consumata in autunno. È
tipicamente una chiara dorata di buon corpo e dal carattere maltato, con un
contenuto alcolico attorno al 5%. Märzen in Austria è l'equivalente della helles
bier o voll-bier bavarese (Münchner bionda).
Mild ale
Tra le birre più diffuse in
Inghilterra. È di colore ambrato abbastanza carico, si differenzia dalla bitter
per essere più maltata e meno luppolata. E anche leggermente meno alcolica, con
circa il 3,5%.
Münchner
Birre tipiche di Monaco di
Baviera, di bassa fermentazione, di colore generalmente scuro e con evidente
sapore di malto. E stato codificato come uno dei primi stili di birra a bassa
fermentazione. E scura con un carattere maltato e un'alcolicità attorno al
4,5%.
Old ale
Scura inglese ad alta
fermentazione, tradizionalmente invecchiata un paio di anni prima del consumo.
Ha il 6% di alcol, buon corpo e gusto strutturato.
Pale ale
"Ale" inglese di
colore ambrato con riflessi ramati o aranciati. Possiede un discreto corpo e un
carattere luppolato e circa il 4% di alcool. Tipica dì Burtonon-Trent.
Pils / pilsner
Questa tipologia trae il nome
da Pilsen, la città ceca in cui è nata e nella quale viene tuttora prodotta la
famosa Pilsner Urquell. Molto apprezzato questo stile birrario si è diffuso in
diversi Paesi dove vengono prodotte birre denominate pils o pilsener. Le pils
sono birre a bassa fermentazione, di color oro pallido e in genere molto
luppolate, il che conferisce un tocco di amarognolo in più (le pils bavaresi,
al contrario, sono meno amare), gusto secco, pulito. Schiuma abbondante con
perlage finissimo. Si bevono in calici flute.
Porter
Originaria di Londra, simile
alla "stout" ma poco meno scura e amara.
Premium
In teoria dovrebbe
identificare una "lager" chiara di qualità superiore. Nella realtà è
un termine spesso abusato che può non significare nulla.
Roggenbier
Birra ambrata fatta con lo
stesso metodo della Weizen, ma con la segale al posto del grano. Prodotta solo
dalla Thurn und Taxis e da un'altra birreria. 5.5% vol (Gianluca D'Alia)
Rauchbier
Tipica della zona di Bamberg,
in Franconia (Germania) è ottenuta da malto da cui germinazione è stata
interrotta mediante l'affumicatura con legno di faggio invecchiato. Il sapore
di affumicato si trasmette fino al prodotto finito. E' una specialità di
difficile reperimento nel nostro Paese. Scura di colore, con circa il 5% di
alcool.
Saison
Stile ad alta fermentazione
tipico del Belgio di lingua francese. E una birra fresca e ben luppolata con
un'alcolicità tra il 6% e l'8%. Spesso rifermentata in bottiglia, può essere
indicata per l'invecchiamento.
Schwambìer
"Lager" tedesca di
colore scuro, dal gusto deciso di malto. Possiede un'alcolicità che si avvicina
al 5%.
Scotch ale
"Ale" proveniente
dalla Scozia, di colore ambrato intenso con riflessi mogano. Indipendentemente
dal contenuto alcolico, che può andare dal 3% al 10% è caratterizzata da
evidenti note maltate. (è la mia preferita....)
Stout
E' la famosa birra nazionale
irlandese, scurissima, con una schiuma abbondante e cremosa. Viene prodotta con
orzo torrefatto e con l'aggiunta di caramello. Questo stile birrario è molto
apprezzato anche in Gran Bretagna ma non mancano birre stout provenienti anche
da altri Paesi. Una stout molto forte e famosa è la Russian Stout
originariamente prodotta a Londra nell'Ottocento, per essere esportata a
Pietroburgo; tuttora in produzione viene esportata in vari Paesi, incluso il
nostro. La schiuma cremosa color nocciola, colore scuro impenetrabile e gusto
amaro. Le inglesi sono più dolci ("sweat stout", "milk
stout" o "cream stout").
Strong ale
Stile diffuso in Belgio e Gran
Bretagna. Birra ambrata e aromatica. Supera facilmente il 6% di alcool.
Strong lager
Birra a bassa fermentazione e
alto tenore alcolico, tipicamente chiara. Non sempre alla quantità di alcool
corrisponde una complessa struttura gustativa.
Trappiste
Le birre trappiste sono molto
apprezzate in quanto vengono tuttora prodotte dai monaci trappisti in sei
abbazie (cinque situate in Belgio e una in Olanda). fermentazione, rifermentate
in bottiglia. Gradazione robusta (da 6 a 9° alcol). Di colore che varia
dall'oro carico all'ambrato allo scuro. Schiuma ricca. Gusto pieno. Si bevono
in grandi bicchieri balloon per meglio apprezzarne gli aromi. Può essere chiara
ambrata o scura e contenere dal 6%) al 12% di alcol Alcune possono invecchiare.
Tripel/Triple
"Ale" belga di
colore chiaro rifermentata in bottiglia Rispetto alla "dubbel" è più
alcolica speziata e meno maltata.
Vienna
Birra a bassa fermentazione,
di colore ambrato scarico con buon tasso alcolico e gusto delicato.
Weizen (Weisse)
Birre di frumento tedesche,
leggermente asprigne e dorate di una abbondantissima schiuma. Molto dissetanti
e rinfrescanti, sono anche assai digestive. Altra caratteristica è il lievito
che rimane in sospensione dando alla birra un gusto particolare e un aspetto
opaco. Sono prodotte in tre tipi: hefeweizen (chiare con lievito), dunkelweizen
(scure, con lievito) e kristallklar (chiare, ma senza lievito che viene
filtrato).
Weizen bock
Birra di frumento tedesca
ambrato scuro Unisce in sé l'acidità di una con la rotondità e la potenza di
una "bock".
Wheat bear
Birra di frumento americana.
Meno fruttata di quelle europee ma ugualmente fresca e frizzante.
La storia
Due sono le qualità che hanno
da sempre contraddistinto la storia della birra nei secoli: la sua presenza
pressoché universale e la sua popolarità in ogni ceto sociale. Nel primo caso
si può infatti affermare che laddove ci sia stata la coltivazione dei cereali,
si è verificata anche la produzione della birra.
La seconda asserzione invece è
avallata da innumerevoli testimonianze storiche. Non si sa con esattezza dove
sia nata la prima birra: c'è chi parla di Mesopotamia, chi di Egitto, chi di
isole Orcadi, chi addirittura di Malta. Ma noi crediamo che ciò non sia
importante, poiché è assai verosimile che il fenomeno della fermentazione sia
stato scoperto casualmente in diverse parti del mondo più o meno nello stesso
periodo. Differenti però sono stati i modi di sviluppare la bevanda. La
Mesopotamia per esempio è stata la terra che per prima ha visto sorgere la
professione del birraio, cosa che in altre società meno organizzate sarebbe
stata impossibile. Il prodotto delle sue fatiche rappresentava una quota della
retribuzione dei lavoratori, che dunque veniva corrisposta in birra. Ma, si
badi bene, non un birra, ma svariate tipologie, poiché già in quel periodo si
distinguevano birre scure, chiare, rosse, forti, dolci e aromatiche. Inoltre si
usavano nomi diversi per indicare birre prodotte con cereali differenti: le
sikaru erano d'orzo, le Kurunnu di spelta.
Pare che fossero addirittura
venti le qualità di birra disponibili sul mercato di Babilonia, la più ricca
città dell'antica Mesopotamia, anche se quelle più diffuse erano quattro:
bi-se-bar, una comune birra d'orzo, bi-gig, una birra scura normale,
bi-gig-dug-ga, una birra scura di elevata qualità, e bi-kal, il prodotto
migliore. La birra aveva anche un significato religioso e rituale, infatti
veniva bevuta durante i funerali per celebrare le virtù del defunto e veniva
offerta alla divinità per garantire un tranquillo riposo al trapassato.
Si dice che la dea della vita
Ishtar, divinità di primissimo piano nel pantheon assiro-babilonese, traesse la
sua potenza dalla birra, che nemmeno il dio del fuoco Nusku poteva estinguere.
Analoga importanza aveva la
birra in Antico Egitto. Fin dall'infanzia si abituavano i sudditi dei faraoni a
bere questa bevanda, considerata anche alimento e medicina. I bambini inoltre
facevano sacrifici di birra, frutta e focacce al dio della scrittura Thout,
mentre bevevano una ciotola di birra, dopo essersene bagnati gli occhi i la
bocca che venivano tenuti chiusi.
Anche le donne incinte
ricorrevano alla birra per offrire libagioni alla dea Ernenunet, che avrebbe
provvisto di abbondante latte le nutrici. Interessante anche l'uso di
somministrare ai bambini birra a bassa gradazione o diluita con acqua e miele
durante lo svezzamento, quando le madri non avevano latte.
Gli Egizi usavano, come nel
caso dei Babilonesi, la birra per scopi propiziatori e sono innumerevoli le
divinità che ebbero a che fare con questa bevanda. In una cosa erano diversi
Egizi e Babilonesi: per i primi la birra era una vera e propria industria
statale, per i secondi invece si trattava di un semplice prodotto artigianale.
I faraoni stessi possedevano fabbriche di birra e in un'iscrizione funebre su
una tomba reale è stata trovata questa testimonianza: "Io ero uno che
produceva orzo". E dall'orzo alla birra il passo era (e continua a essere)
assai breve.
Di birra si parla anche nei
sacri libri del popolo ebraico, come il biblico Deteronomio e il Talmud e nella
festa degli Azzimi, che ricorda la fuga dall'Egitto, si mangia per sette giorni
il pane senza lievito e si beveva birra. Inoltre questa bevanda è regina
durante l'annuale festività del Purim, considerata la più popolare dagli ebrei.
La Grecia, Paese enonico per
eccellenza, non produceva birra, però ne consumava parecchia, soprattutto in
occasione delle feste in onore di Demetra, dea delle messi, tra le quali
ovviamente non poteva mancare l'orzo. Si trattava di prodotti d'importazione,
per lo più fenici, ma anche durante lo svolgimento dei giochi olimpici non era
ammesso il vino, per cui la bevanda alcolica per eccellenza di questa prima
grande manifestazione sportiva, era la birra.
Etruschi e Romani facevano anch'essi parte del "club del vino", ma alcuni ragguardevoli personaggi della loro società diventarono accaniti sostenitori della birra, come ad esempio Agricola, governatore della Britannia, che una volta tornato a Roma nell'83 dopo Cristo si portò tre mastrobirrai da Glevum (l'odierna Gloucester) e aprì il primo pub della nostra Penisola.
Tra i cosiddetti popoli barbarici si trovavano i più strenui tracannatori di birra, i Germani e i Celti. I primi organizzavano feste che in realtà erano scuse per sbornie colossali, come ad esempio la Wappentanz, una crudele danza delle spade dedicata al bellicoso dio Thyr, al termine della quale i sopravvissuti si dedicavano ad abbondanti libagioni.
Etruschi e Romani facevano anch'essi parte del "club del vino", ma alcuni ragguardevoli personaggi della loro società diventarono accaniti sostenitori della birra, come ad esempio Agricola, governatore della Britannia, che una volta tornato a Roma nell'83 dopo Cristo si portò tre mastrobirrai da Glevum (l'odierna Gloucester) e aprì il primo pub della nostra Penisola.
Tra i cosiddetti popoli barbarici si trovavano i più strenui tracannatori di birra, i Germani e i Celti. I primi organizzavano feste che in realtà erano scuse per sbornie colossali, come ad esempio la Wappentanz, una crudele danza delle spade dedicata al bellicoso dio Thyr, al termine della quale i sopravvissuti si dedicavano ad abbondanti libagioni.
I Celti si erano stanziati
principalmente in Gallia e in Britannia, ma la loro straordinaria civiltà,
bagnata di birra fin dai primordi, venne sviluppata principalmente nella verde
Irlanda. Infatti la nascita del popolo irlandese è dovuta, seconda una birrosa
leggenda, ai Fomoriani, creature mostruose dal becco aguzzo e dalle gambe
umanoidi, che avevano la potenza e l'immortalità grazie al segreto della
fabbricazione della birra, che fu loro sottratto dall'eroe di Mag Meld, una
specie di Promoteo irlandese.
Il Medioevo vide la birra
protagonista soprattutto per merito dei monasteri, che operarono un decisivo
salto di qualità nella produzione della bevanda introducendo anche alcuni nuovi
ingredienti, tra i quali il luppolo. A questo proposito va detto che in tempi
più remoti per l'aromatizzazione della birra si usavano svariati tipi di erbe,
spezie o bacche, oppure si ricorreva addirittura a misture vegetali, la più famosa
delle quali era il gruit.
Anche le suore avevano tra i
loro compiti manuali quello di fabbricare la birra, che in parte destinavano al
consumo dei malati e dei pellegrini. Per rimanere in tema, è stato tramandato
che papa Gregorio Magno abbia girato ai poveri una donazione in birra della
regina longobarda Teodolinda.
Anche in Gran Bretagna la
birra, chiamata ale, venne usata nelle feste come Church-Ale, prodotta dalle
massaie inglesi e messa a disposizione delle feste parrocchiali, dove veniva
venduta e il ricavato era un contributo per la manutenzione di chiese e
conventi britannici. In Inghilterra la birra diventò bevanda nazionale in
quanto l'acqua usata per la sua produzione veniva bollita e sterilizzata. Ciò
rappresentava un garanzia in un periodo in cui l'acqua era spesso infetta.
Soltanto dopo il Rinascimento questa piaga cessò. Una curiosità: in Inghilterra
il luppolo venne introdotto assai tardi nella birra nazionale, che continuò a
chiamarsi ale, in contrapposizione dei prodotti continentali luppolati, detti
beer.
Nei tre secoli dopo la
scoperta dell'America in tutta l'Europa andarono sviluppandosi numerose
tipologie birrarie, tutte basate sull'unico sistema di fermentazione allora
conosciuto, la alta.
Verso la metà del secolo
scorso però furono eseguiti studi specifici sul lievito e il loro risultato fu
la produzione della birra a bassa fermentazione, che oggi è di gran lunga il
più praticato nel mondo. Esso si giova di temperature più basse per fermentare,
quindi usa impianti produttivi tecnologicamente assai più avanzati che in
passato. Infine viene usato un lievito diverso rispetto alle birre
tradizionali, il cosiddetto Saccharomyces carlsbergensis, che prende il nome
dalla birreria danese che per prima ne isolò il ceppo.
Oggi, nonostante le birre a
bassa fermentazione siano sicuramente le più bevute, va notato che esiste anche
una controtendenza di nicchie di mercato che ricercano le birre tradizionali,
le cui ricette si perdono nella notte dei tempi.
Dato l’exursus storico della birra nei secoli in mezzo mondo, mi è sembrato giusto toccare anche la vita della birra nella nostra nazione. La birra è sempre più una bevanda di tendenza tra gli italiani. Il suo consumo nell’ultimo anno è salito a 31 litri pro capite, e soprattutto, assoluta novità, è diventata la bevanda alcolica più bevuta nei pasti fuori casa durante la settimana. A dirlo è la Società di Ricerca Makno, che ogni anno, per conto di Assobirra, monitora gli atteggiamenti dei nostri connazionali verso questa popolare bevanda.
Il TNT PUB aperto a Levanto dal sottoscritto...
Se la birra oggi è così di moda, va detto che non sempre è stato così: il percorso della birra in Italia è un’avventura complessa e travagliata, fatta di momenti esaltanti e di altri più negativi.
I primi consumatori di birra “italici” furono gli etruschi, che erano soliti pasteggiare con una bevanda chiamata pevakh, fatta inizialmente con segale e farro, poi con frumento e miele. Anche i Romani, influenzati dalle popolazioni del nord Europa, ne apprezzarono il sapore. Tra i suoi estimatori più famosi ricordiamo Nerone e Agricola, il governatore della Britannia. Ma nei secoli, di aficionados importanti la birra ne ha avuti molti: la regina longobarda Teodolinda, Papa Clemente V, il condottiero Federico Barbarossa e il principe Ludovico il Moro.
Se la birra oggi è così di moda, va detto che non sempre è stato così: il percorso della birra in Italia è un’avventura complessa e travagliata, fatta di momenti esaltanti e di altri più negativi.
I primi consumatori di birra “italici” furono gli etruschi, che erano soliti pasteggiare con una bevanda chiamata pevakh, fatta inizialmente con segale e farro, poi con frumento e miele. Anche i Romani, influenzati dalle popolazioni del nord Europa, ne apprezzarono il sapore. Tra i suoi estimatori più famosi ricordiamo Nerone e Agricola, il governatore della Britannia. Ma nei secoli, di aficionados importanti la birra ne ha avuti molti: la regina longobarda Teodolinda, Papa Clemente V, il condottiero Federico Barbarossa e il principe Ludovico il Moro.
Il medioevo
in Italia:
Per tutto il medioevo e sino
all’inizio dell’era moderna propriamente detta, in Italia si era prodotta birra
esclusivamante con metodi artigianali, per il raro consumo dei pochi
estimatori. Si trattava di produzioni discontinue, legate a fattori strettamente
temporanei e locali. La birra veniva vissuta, dal grande pubblico, come una
bevanda tipica delle genti del nord, da sempre invasori dell’italico suolo e,
come tali, da sempre nemici. Quella loro strana bibita, che nulla aveva a
che vedere con il più noto ed apprezzato vino, non poteva quindi non essere
guardata come minimo con sospetto. La birra si importava per lo più
dall’Austria, retaggio della dominazione borbonica che influenza soprattutto il
nord, ed era legata ad un uso elitario, mentre i consumi popolari confluivano
essenzialmente sul vino, anche per ovvi motivi di minor costo e di più facile
reperimento.
Dobbiamo arrivare alla metà del secolo scorso perché finalmente anche in Italia sorgano le prime vere e proprie fabbriche, organizzate con moderni criteri di produzione industriale. Sono ovviamente opera, per lo più, di intraprendenti industriali d’oltralpe, i quali vedono in Italia prospettive commerciali di sicuro interesse, (i vari Wuhrer, Dreher, Paskowski, Metzger, Caratch, Von Wunster, ecc.) ai quali presto fanno seguito anche commercianti italiani, soprattutto fabbricanti di ghiaccio che vedono nella birra il naturale complemento della loro attività, che si esplicava esclusivamente in estate.
In pochi decenni assistiamo ad un continuo frenetico fiorire di fabbriche di ogni tipo e dimensione, sino ad arrivare, nel 1890, a ben 140 unità produttive.
Nel breve volgere di un ventennio, diminuiscono di nove unità il numero delle fabbriche, ma molte di queste crescono di dimensione e capacità imprenditoriale, in rapporto alla sempre maggiore espansione dei consumi, grazie anche al più accessibile costo della bevanda che può così raggiungere le fasce popolari. La produzione quadruplica e, nel 1910, arriva alla considerevole cifra di ben 598.315 hl. Anche le importazioni salgono, seppure non nella stessa percentuale, toccando 85.934 hl, pari al 13% del consumo nazionale.
Dobbiamo arrivare alla metà del secolo scorso perché finalmente anche in Italia sorgano le prime vere e proprie fabbriche, organizzate con moderni criteri di produzione industriale. Sono ovviamente opera, per lo più, di intraprendenti industriali d’oltralpe, i quali vedono in Italia prospettive commerciali di sicuro interesse, (i vari Wuhrer, Dreher, Paskowski, Metzger, Caratch, Von Wunster, ecc.) ai quali presto fanno seguito anche commercianti italiani, soprattutto fabbricanti di ghiaccio che vedono nella birra il naturale complemento della loro attività, che si esplicava esclusivamente in estate.
In pochi decenni assistiamo ad un continuo frenetico fiorire di fabbriche di ogni tipo e dimensione, sino ad arrivare, nel 1890, a ben 140 unità produttive.
Nel breve volgere di un ventennio, diminuiscono di nove unità il numero delle fabbriche, ma molte di queste crescono di dimensione e capacità imprenditoriale, in rapporto alla sempre maggiore espansione dei consumi, grazie anche al più accessibile costo della bevanda che può così raggiungere le fasce popolari. La produzione quadruplica e, nel 1910, arriva alla considerevole cifra di ben 598.315 hl. Anche le importazioni salgono, seppure non nella stessa percentuale, toccando 85.934 hl, pari al 13% del consumo nazionale.
La 1° guerra
mondiale:
Giungiamo così alla Grande
Guerra, e, per tutto il periodo bellico, cessa pressoché la produzione della
bionda bevanda, essenzialmente per il fatto che la maggior parte del malto
occorrente per la fabbricazione doveva essere reperito all’estero, essendo
ancora insufficiente, oltre che di scarsa qualità, il malto di provenienza
nazionale.
Dopo le difficoltà dovute allo scoppio della prima guerra mondiale, che comunque porterà in dote all’Italia le città di Trento e Trieste con le loro 8 fabbriche avviate dagli austriaci tra le quali la Dreher di Trieste e la Forst di Merano, gli anni 20 rappresentano l’età dell’oro per la birra in Italia. In questo periodo si affermano infatti aziende che presto diventeranno le grandi realtà industriali del settore (Poretti, Pedavena, Moretti, Wührer, Menabrea, Peroni, Raffo, Ichnusa), la produzione nel 1925 è di 1,56 milioni di ettolitri di birra e anche il consumo pro-capite raggiunge quote interessanti (3,5 l.).
Nel 1920 le fabbriche italiane sono soltanto 58, ma la produzione arriva alla ragguardevole cifra di 1.157.024 hl, ai quali si aggiungono soltanto alcune centinaia di ettolitri di birra importata. Crescono e si consolidano quelle aziende che, nel volgere di alcuni decenni, diventeranno le grandi realtà industriali del settore, come la Wuhrer di Brescia, la Dreher di Trieste, la Paskowski di Firenze e Roma, le Birrerie Meridionali di Napoli di proprietà dalla famiglia Peroni, la Pedavena di Feltre, la Poretti di Iduno Olona, la Moretti di Udine, la Wunster di Bergamo, alle quali fanno corollario una pletora di medio-piccole birrerie, come la Menabrea di Biella, la Icnusa di Cagliari, la Cagnacci di Ancona, la Birra d’Abruzzo di Castel di Sangro, la Dell’Orso & Sanvico di Perugia, la S.Giusto di Macerata, la Ghione & Pogliani di Borgomanero, la Bosio & Caratsch di Torino, la F.lli Di Giacomo di Livorno, la Brennero di Milano, la Raffo di Taranto, la Forst di Merano, e poi ancora la Leone, la Sempione, la Cervisia, la Metzeger, ecc.
A questo punto si scatena la reazione dei vinai che, di quel passo, temono di dover affrontare a breve una crisi del loro settore. Riescono quindi a far approvare dal Governo leggi protezionistiche a tutela dei loro interessi. Così, nel 1927, viene varata la legge Marescalchi la quale, con l’apparente scopo di favorire l’agricoltura, ma con la recondita speranza di peggiorare la qualità della birra, impone ai birrai l’immissione di un 15% di riso. Le tecnologie dell’epoca non consentivano infatti di sfruttare appieno tutte le caratteristiche positive del riso, e la qualità, anche se in minima parte, ne risentiva. Contemporaneamente si inaspriscono le tasse con l’aggiunta di una imposta straordinaria di ben 40 lire per hl. Ma non basta. La legge prevedeva inoltre una apposita licenza di vendita di “bassa gradazione” e ne limita lo smercio al dettaglio esclusivamente nei bar, trattorie e birrerie. A rincarare la dose, in molti Comuni il “dazio” viene regolato con l’applicazione di fascette sul collo di ciascuna bottiglia, con immaginabili intralci e perdite di tempo che fanno cadere l’interesse dei commercianti verso il prodotto.
L’effetto è immediato, ed i consumi scendono vorticosamente, non tanto per il livello qualitativo, che rimane comunque accettabile, quanto per l’inevitabile levitazione dei prezzi che pongono il prodotto fuori della portata delle masse popolari.
Dopo le difficoltà dovute allo scoppio della prima guerra mondiale, che comunque porterà in dote all’Italia le città di Trento e Trieste con le loro 8 fabbriche avviate dagli austriaci tra le quali la Dreher di Trieste e la Forst di Merano, gli anni 20 rappresentano l’età dell’oro per la birra in Italia. In questo periodo si affermano infatti aziende che presto diventeranno le grandi realtà industriali del settore (Poretti, Pedavena, Moretti, Wührer, Menabrea, Peroni, Raffo, Ichnusa), la produzione nel 1925 è di 1,56 milioni di ettolitri di birra e anche il consumo pro-capite raggiunge quote interessanti (3,5 l.).
Nel 1920 le fabbriche italiane sono soltanto 58, ma la produzione arriva alla ragguardevole cifra di 1.157.024 hl, ai quali si aggiungono soltanto alcune centinaia di ettolitri di birra importata. Crescono e si consolidano quelle aziende che, nel volgere di alcuni decenni, diventeranno le grandi realtà industriali del settore, come la Wuhrer di Brescia, la Dreher di Trieste, la Paskowski di Firenze e Roma, le Birrerie Meridionali di Napoli di proprietà dalla famiglia Peroni, la Pedavena di Feltre, la Poretti di Iduno Olona, la Moretti di Udine, la Wunster di Bergamo, alle quali fanno corollario una pletora di medio-piccole birrerie, come la Menabrea di Biella, la Icnusa di Cagliari, la Cagnacci di Ancona, la Birra d’Abruzzo di Castel di Sangro, la Dell’Orso & Sanvico di Perugia, la S.Giusto di Macerata, la Ghione & Pogliani di Borgomanero, la Bosio & Caratsch di Torino, la F.lli Di Giacomo di Livorno, la Brennero di Milano, la Raffo di Taranto, la Forst di Merano, e poi ancora la Leone, la Sempione, la Cervisia, la Metzeger, ecc.
A questo punto si scatena la reazione dei vinai che, di quel passo, temono di dover affrontare a breve una crisi del loro settore. Riescono quindi a far approvare dal Governo leggi protezionistiche a tutela dei loro interessi. Così, nel 1927, viene varata la legge Marescalchi la quale, con l’apparente scopo di favorire l’agricoltura, ma con la recondita speranza di peggiorare la qualità della birra, impone ai birrai l’immissione di un 15% di riso. Le tecnologie dell’epoca non consentivano infatti di sfruttare appieno tutte le caratteristiche positive del riso, e la qualità, anche se in minima parte, ne risentiva. Contemporaneamente si inaspriscono le tasse con l’aggiunta di una imposta straordinaria di ben 40 lire per hl. Ma non basta. La legge prevedeva inoltre una apposita licenza di vendita di “bassa gradazione” e ne limita lo smercio al dettaglio esclusivamente nei bar, trattorie e birrerie. A rincarare la dose, in molti Comuni il “dazio” viene regolato con l’applicazione di fascette sul collo di ciascuna bottiglia, con immaginabili intralci e perdite di tempo che fanno cadere l’interesse dei commercianti verso il prodotto.
L’effetto è immediato, ed i consumi scendono vorticosamente, non tanto per il livello qualitativo, che rimane comunque accettabile, quanto per l’inevitabile levitazione dei prezzi che pongono il prodotto fuori della portata delle masse popolari.
Le prime pubblicità:
Proprio a causa della
popolarità raggiunta in quel periodo tra gli italiani, le tassazioni sulla
birra si fanno sempre più pesanti, tanto da costringere le aziende ad alzare il
prezzo del loro prodotto. Negli anni ’30 si assiste così ad un netto calo dei
consumi e della produzione, che porta i birrai italiani a realizzare la prima
campagna collettiva sulla birra “Chi beve birra campa cent’anni”.
Nel 1942 nasce il baffo , tutt’oggi icona della pubblicità nostrana, mentre, terminato il secondo conflitto bellico, i consumi tornano a crescere e, dopo la conversione corporativa del ventennio, viene rifondata un’associazione di categoria. Ma sono soprattutto gli anni in cui un nuovo apparecchio entra nelle case degli italiani: la televisione. I produttori ne colgono subito la grande potenzialità e così carosello viene “inondato” di fiumi di birra grazie a testimonial d’eccezione come Fred Buscaglione, Mina e Ugo Tognazzi.
Sino al 1959 i consumi oscillano con alterne vicende, dovute esclusivamente all’andamento climatico della stagione estiva, da 1.500.000 a 2.000.000 di hl, con l’importazione che non supera il 2% dei consumi totali ed il procapite rimane contenuto fra i 3 ed i 4 litri anno. Va detto comunque che sino a quegli anni la birra veniva bevuta in un arco di tempo che andava da marzo a settembre; rientrava, nella mentalità corrente, fra le comuni bevande dissetanti, come le bibite gassate, e come tale veniva consumata esclusivamente al banco. Era addirittura opinione popolare che la preparazione avvenisse con chissà quali misteriosi sciroppi, né più né meno come una aranciata od una gassosa. Nei mesi invernali quindi le fabbriche chiudevano, dedicandosi a lavori di manutenzione e riordino delle strutture.
Dal 1960 sino al 1975 la birra continua la sua avanzata trionfante sino ad arrivare ad otto milioni di ettolitri di produzione, con oltre 570.000 hl di importazione, ed il procapite si attesta intorno ai sedici litri. Finalmente i consumatori hanno compreso lo spirito della bevanda, nobilitandola nella sua giusta dimensione. Gli industriali tirano un sospiro di sollievo: euforicamente ottimisti, già fanno previsioni a lunga scadenza ritenendo che, di quel passo, negli anni novanta sarà possibile superare i 40 litri, posizionandosi su soddisfacenti medie europee, e c’è già chi pensa a potenziare le proprie strutture produttive.
Ma la congiuntura è alle porte, e nel 1975, colpisce inevitabilmente anche il settore birrario nazionale, mentre, stranamente, l’importazione cresce del 40%.
Come se non bastasse, il Governo decide di aumentare del 50% l’imposta di fabbricazione, con un consistente balzo in avanti dei prezzi al pubblico, la qual cosa, in una economia di recessione, rallenta considerevolmente la ripresa, che sarà lenta e faticosa, ed occorreranno altri cinque anno per risalire ai sedici litri di consumo procapite.
Dagli anni ottanta in poi e sino ad oggi i consumi crescono costantemente di anno in anno.
Siamo ancora lontani dai consumi di birra delle altre nazioni europee; con i nostri 31 litri siamo all’ultimo posto della scala, preceduti dalla Francia (altro paese a forte vocazione vitivinicola) , dalla Grecia e dalla Spagna .Senza considerare Repubblica Ceca e Germania con un consumo procapite rispettivamente di 165 litri e 145 litri all’anno![:-)](file:///C:/Users/Bruno/AppData/Local/Temp/msohtmlclip1/01/clip_image001.gif)
Ma il futuro fa ben sperare! Sempre nuovi consumatori si accostano ogni giorno a questa splendida antichissima bevanda, in virtù delle sue caratteristiche di freschezza, bevibilità e digeribilità.
Salute a tutti!!!
Nel 1942 nasce il baffo , tutt’oggi icona della pubblicità nostrana, mentre, terminato il secondo conflitto bellico, i consumi tornano a crescere e, dopo la conversione corporativa del ventennio, viene rifondata un’associazione di categoria. Ma sono soprattutto gli anni in cui un nuovo apparecchio entra nelle case degli italiani: la televisione. I produttori ne colgono subito la grande potenzialità e così carosello viene “inondato” di fiumi di birra grazie a testimonial d’eccezione come Fred Buscaglione, Mina e Ugo Tognazzi.
Sino al 1959 i consumi oscillano con alterne vicende, dovute esclusivamente all’andamento climatico della stagione estiva, da 1.500.000 a 2.000.000 di hl, con l’importazione che non supera il 2% dei consumi totali ed il procapite rimane contenuto fra i 3 ed i 4 litri anno. Va detto comunque che sino a quegli anni la birra veniva bevuta in un arco di tempo che andava da marzo a settembre; rientrava, nella mentalità corrente, fra le comuni bevande dissetanti, come le bibite gassate, e come tale veniva consumata esclusivamente al banco. Era addirittura opinione popolare che la preparazione avvenisse con chissà quali misteriosi sciroppi, né più né meno come una aranciata od una gassosa. Nei mesi invernali quindi le fabbriche chiudevano, dedicandosi a lavori di manutenzione e riordino delle strutture.
Dal 1960 sino al 1975 la birra continua la sua avanzata trionfante sino ad arrivare ad otto milioni di ettolitri di produzione, con oltre 570.000 hl di importazione, ed il procapite si attesta intorno ai sedici litri. Finalmente i consumatori hanno compreso lo spirito della bevanda, nobilitandola nella sua giusta dimensione. Gli industriali tirano un sospiro di sollievo: euforicamente ottimisti, già fanno previsioni a lunga scadenza ritenendo che, di quel passo, negli anni novanta sarà possibile superare i 40 litri, posizionandosi su soddisfacenti medie europee, e c’è già chi pensa a potenziare le proprie strutture produttive.
Ma la congiuntura è alle porte, e nel 1975, colpisce inevitabilmente anche il settore birrario nazionale, mentre, stranamente, l’importazione cresce del 40%.
Come se non bastasse, il Governo decide di aumentare del 50% l’imposta di fabbricazione, con un consistente balzo in avanti dei prezzi al pubblico, la qual cosa, in una economia di recessione, rallenta considerevolmente la ripresa, che sarà lenta e faticosa, ed occorreranno altri cinque anno per risalire ai sedici litri di consumo procapite.
Dagli anni ottanta in poi e sino ad oggi i consumi crescono costantemente di anno in anno.
Siamo ancora lontani dai consumi di birra delle altre nazioni europee; con i nostri 31 litri siamo all’ultimo posto della scala, preceduti dalla Francia (altro paese a forte vocazione vitivinicola) , dalla Grecia e dalla Spagna .Senza considerare Repubblica Ceca e Germania con un consumo procapite rispettivamente di 165 litri e 145 litri all’anno
![:-)](file:///C:/Users/Bruno/AppData/Local/Temp/msohtmlclip1/01/clip_image001.gif)
Ma il futuro fa ben sperare! Sempre nuovi consumatori si accostano ogni giorno a questa splendida antichissima bevanda, in virtù delle sue caratteristiche di freschezza, bevibilità e digeribilità.
Salute a tutti!!!
FONTE INTERNET
2 commenti:
complimenti, è quasi un articolo accademico!!!Devi aprire un tnt qui.
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