domenica 6 maggio 2012

FABRIZIO DE ANDRE' : LA POESIA IN MUSICA


IL NOSTRO VIAGGIO NELL’ITALIA LETTERARIA CONTINUA CON FABRIZIO  DE ANDRE’. CANTAUTORE,  INTELLETTUALE   E ... ALTRO,  LEGATO IDEALMENTE AI DUE AUTORI GIA’  TRATTATI:  PASOLINI   E   PAVESE.





IL PESCATORE      http://youtu.be/6e0jMmmy2yc

CREUZA DE MA    http://youtu.be/Mq1wJcQlDZY

UNA STORIA SBAGLIATA     http://youtu.be/KYNAeLp8IWg  (canzone su Pasolini)



Un cantautore, un poeta, un intellettuale libero: un uomo che si è mosso, come egli stesso diceva, “in direzione ostinata e contraria” .

Quella che vogliamo raccontare è la storia di un poeta del suo tempo, attraverso la testimonianza di Dori Ghezzi, sua compagna di una vita, degli amici e dei collaboratori che gli sono stati vicino.

Queste le parole della moglie Dori Ghezzi: “Non credo che sapesse quanto era amato: è stata una sorpresa per tutti; molti l’hanno scoperto dopo la sua assenza. I suoi testi esistono, la sua voce la ascoltiamo, ma la voce che conosco, quando mi parlava, mi manca tanto. Il suo mondo l’aveva dentro di sé.”



La giovinezza
Fabrizio Cristiano De André nasce a Genova il 18 febbraio 1940.

La leggenda vuole che, sul grammofono di casa, il professor Giuseppe De André, per alleviare le doglie della moglie, mettesse il Valzer campestre di Gino Marinuzzi, da cui anni dopo Fabrizio avrebbe tratto spunto per uno dei suoi primi brani, “Valzer per un amore”.

Durante la Seconda Guerra mondiale, Fabrizio trascorre i primissimi anni della sua vita nella casa di campagna di Revignano d'Asti con la madre, Luisa Amerio, il fratello Mauro e le due nonne, mentre il padre è costretto alla macchia per sfuggire ai fascisti. Quel breve periodo è per Fabrizio uno dei più importanti e formativi: sia per il tipo di vita che conduce, che per alcuni incontri determinanti, come quello con il fattore Emilio Fassio, che gli trasmette l'amore per gli animali e per un ambiente che Fabrizio ricercherà per tutta la vita. L'infanzia a Revignano d'Asti e i personaggi che la popolano - come la piccola Nina Manfieri (cui molti anni dopo dedicherà la canzone “Ho visto Nina volare”) o i contadini Emilio e Felicina Fassio - rimarranno di ispirazione fino alla sua ultimissima produzione.

A guerra finita, la sua famiglia vuole ritornare in città. Da qui nasce la sua prima “disperazione”... Fabrizio aveva solo cinque anni. La famiglia ritorna a Genova, stabilendosi nella nuova casa di Via Trieste 13. Nell'agosto 1948, a Pocol, sopra Cortina, incontra Paolo Villaggio, allora sedicenne. Le famiglie De Andrè e Villaggio iniziano una duratura frequentazione, soprattutto nel periodo estivo. I due ragazzi simpatizzano subito, ma la differenza di età non permette, almeno all’inizio, una vera e propria amicizia. Paolo e Fabrizio si perdono così di vista, per ritrovarsi solo una decina di anni dopo sulle tavole di un palcoscenico e non lasciarsi più!

Nell'estate del 1950, terminata la quarta elementare, Fabrizio trascorre l'ultima vacanza a Revignano. Suo padre ha deciso di vendere il cascinale e di acquistare un appartamento ad Asti. Questo è un ulteriore fattore di sofferenza per Fabrizio che è molto legato a quel luogo dove ha trascorso i momenti più belli della sua infanzia. Decide che, una volta diventato grande, avrebbe ricomprato il cascinale e non avrebbe abbandonato più quei luoghi che tanto amava. Questo desiderio lo accompagnerà negli anni a venire: anni dopo realizzerà questo sogno, anche se al di là del mare, in Sardegna.

Nella primavera del 1956, il padre di Fabrizio porta dalla Francia due 78 giri di Georges Brassens. Dall'incontro col grande cantautore francese De Andrè ricava stimoli per la lettura di autori anarchici che gli resteranno sempre cari: Bakunin, Malatesta, Kropotkin e Stirner. Nel mondo cantato da Brassens egli ritrova gli stessi personaggi, umili e autentici, che vivevano nei caruggi della sua città e che troveranno spazio, comprensione e dignità nelle sue canzoni durante tutta la sua carriera.

De Andrè si iscrive alla Facoltà di Giurisprudenza ma la sua propensione agli studi “ufficiali” è scarsa. “Probabilmente sarei divenuto un pessimo avvocato” dirà anni dopo.
Le sue giornate trascorrono tra musica, letture e, soprattutto in compagnia degli amici: Luigi Tenco, Gino Paoli, Paolo Villaggio e altri.
Ricordando quel tempo: “Ebbi ben presto abbastanza chiaro che il mio lavoro doveva camminare su due binari: l'ansia per una giustizia sociale che ancora non esiste, e l'illusione di poter partecipare, in qualche modo, a un cambiamento del mondo. La seconda si è sbriciolata ben presto, la prima rimane”.

Intanto, nel 1958, compone “Nuvole barocche” e “E fu la notte”, brani che anni dopo Fabrizio definirà come “due peccati di gioventù”. E' nell'estate del '60 che scrive insieme a Clelia Petracchi quella che ha sempre considerato la sua prima vera canzone, “La ballata del Miche'”, che rimane, se non una delle più belle, una delle più note e, in considerazione della giovane età dell'autore, una delle più significative (…stanotte Miché, s'è impiccato a un chiodo perché non voleva restare vent'anni in prigione lontano da te; nel buio Miché se n'è andato sapendo che a te non poteva mai dire che aveva ammazzato soltanto per te. Io so che Miché ha voluto morire perché ti restasse il ricordo del bene profondo che aveva per te. vent'anni gli avevano dato la corte decise così perché un giorno aveva ammazzato chi voleva rubargli Marì…)

Gli anni di Genova
I difficili rapporti che Fabrizio aveva con il padre (allora Direttore de “La Nazione” e de “Il Resto del Carlino”), per via delle idee politiche e sociali molto diverse dalle sue e con il fratello Mauro, lo inducono a scelte distanti da quelle che avrebbero voluto i suoi familiari. Al contrario, fondamentale per Fabrizio è la figura della madre, che in una vecchia intervista definisce "il vinavil, il collante di tutta la famiglia”.

Per protesta contro l’ambiente conservatore, Fabrizio De Andrè va a vivere nei caruggi di Genova con il poeta anarchico Riccardo Mannerini. De Andrè ha 19 anni e con Mannerini condivide una vita tanto sregolata quanto creativa.(Con lui, nel 1968 scriverà il suo primo album, “Tutti morimmo a stento”; un lavoro che parla della morte, non quella fisica ma la morte mentale che un uomo può incontrare nel corso della sua vita: “Ci sono vari tipi di morte”, dice De Andrè “prima di arrivare a quella vera. Quando tu perdi un lavoro, un amico, muori un po’”.)

Nel luglio 1962 sposa Enrica Rignon (detta Puny) e il 29 dicembre dello stesso anno nasce il figlio Cristiano. Fabrizio, appena ventiduenne, ha già una famiglia e, più che un lavoro, un hobby poco redditizio, tanto è vero che comincia a vagliare l’ipotesi di finire gli studi in giurisprudenza. Ma nel 1965 c’è la svolta: Mina interpreta una sua composizione, “La canzone di Marinella”, che diviene immediatamente un grande successo. Sull'onda della notorietà, nel 1966 esce l’LP: Tutto Fabrizio De André, contenente alcuni dei migliori brani scritti fino a quel momento, tra cui “La canzone di Marinella”, “La guerra di Piero”, “Il testamento”, “La ballata del Miché”, “La canzone dell'amore perduto”, “La città vecchia”, “Carlo Martello”.

Nel 1967 Fabrizio De Andrè e Paolo Villaggio vengono citati per il contenuto osceno di “Carlo Martello ritorna dalla battaglia di Poitiers”. Paolo Villaggio racconta a La Storia Siamo Noi che un Pretore di Potenza denuncia alcuni versi: “Frustando il cavallo come un mulo, quel gran faccia da culo”. “Alla fine abbiamo sostituito quelle parole in: Frustando il cavallo come un ciucio tra il glicine e il sambuco”.
Ma quella di Carlo Martello non sarà l’unica censura subita da De Andrè. Eppure, paradossalmente, Radio Vaticana trasmette le canzoni di De Andrè che Radio Rai, invece, non manda in onda. D'altronde Fabrizio De Andrè è considerato un cantautore filo comunista e anche per questo viene spiato e tenuto sotto controllo anche dai servizi segreti italiani: quegli sono gli anni di album come “La Buona Novella”, esempio d’intelligenza e di pietà, di amore vero ed interesse per il prossimo e “Storie di un impiegato”.
La Buona Novella doveva essere un’allegoria, un paragone tra le istanze della rivolta del ’68 e quelle più elevate dal punto di vista spirituale. “Storia di un impiegato”, invece, è la storia del maggio francese, ed è incentrato sulla ineluttabile radicalità della sovversione. Se in esso era ancora viva l'idea di un cambiamento possibile, traspare allo stesso tempo un’analisi disincantata riguardo ad alcuni aspetti.

Nel 1967 esce “Volume I”, in cui spiccano “Via del Campo”, “Bocca di rosa” e “Preghiera in gennaio”: quest'ultima composta in occasione e a ricordo della tragica morte dell'amico Luigi Tenco, suicidatosi il 27 gennaio a Sanremo, da cui De André è rimasto molto colpito, mentre le prime due dedicate, con profondo senso di solidarietà e comprensione, a due figure di prostitute, (di una delle quali si era invaghito Fabrizio).
In un'intervista a TV7 dirà che Bocca di Rosa è la canzone che più gli somiglia.


Con questo album si apre la stagione più prolifica della carriera del cantautore.

Dopo un momento difficile, anche economicamente, e di paura di esibirsi davanti al pubblico, grazie all’aiuto degli amici Paolo Villaggio e Marco Ferreri, esordisce dal vivo nel locale simbolo della Versilia, “La Bussola”; proprio lui che invece aveva sempre rifiutato faccia a faccia col pubblico. Dopo vari tentativi da parte degli amici di farlo salire sul palco (sembra che all'ultimo momento non volesse più esibirsi), il concerto si rivela un vero e proprio successo. Con i soldi guadagnati realizza il suo sogno e acquista un'azienda agricola nelle vicinanze di Tempio Pausania, in Sardegna. E nel 1977, dall'unione con Dori Ghezzi (la cantante milanese alla quale si lega dal 1974, dopo la separazione dalla prima moglie), nasce Luisa Vittoria, detta Luvi. Subito dopo escono gli album Rimini (1978), scritto in collaborazione con Massimo Bubola, e In concerto con la PFM (1979).

L’anarchia e la libertà
Penso che un uomo senza utopia, senza sogno, senza ideali, senza passione, senza slanci sarebbe un mostruoso animale fatto d’istinto e di raziocinio

Fabrizio De Andrè si è sempre definito anarchico individualista; non amava l’ordine costituito e non gli interessava il punto di vista del potere ma quello delle singole persone.

Tra i cantautori italiani è stato quello che ha saputo attingere alle forme più differenti di musica, dalla ballata folk nordamericana, alla poesia medievale francese, alla canzone classica italiana: dal punto di vista artistico è stato un ricercatore sfrenatamente libero.

Racconta invece in un’intervista per TV7 del 1997: “Ho avuto dei riferimento culturali precisi che a loro volta avranno avuto dei riferimenti in questi punti luminosi della storia dell’espressione umana. Credo che l’uomo possa anche conquistare le stelle ma penso che le sue problematiche fondamentali sono destinate a rimanere le stesse per molto tempo, se non per sempre.”


Il 29 ottobre 1980, all'età di sessant'anni, muore l'amato Georges Brassens, ucciso da un tumore. De André racconta un anno dopo, durante un'intervista concessa al quotidiano La Stampa: “Pur avendone avuto la possibilità, non ho mai voluto conoscerlo personalmente, per evitare che diventasse una persona e magari scoprirlo anche antipatico. Per me è stato un mito, una guida, un esempio; è grazie a lui che mi sono avvicinato all'anarchismo. Egli rappresentava il superamento dei valori piccolo-borghesi e insegnò anche ai borghesi certe forme di rispetto ai quali non erano abituati. I suoi testi si possono leggere anche senza la musica. Per me è come leggere Socrate: ti insegna come comportarsi o, al minimo, come non comportarsi”.

Il sequestro
Ma nella storia di Fabrizio e di sua moglie Dori c’è anche una pagina drammatica. Il 27 agosto del 1979 De Andrè e Dori Grezzi vengono sequestrati nella loro abitazione di Tempio Pausania, di notte, dall’Anonima Sarda: rimarranno loro prigionieri per quattro mesi. In un’intervista, subito dopo il loro rilascio, Fabrizio dice: “Il primo mese di sequestro ci hanno fatto compagnia le emozioni, poi è prevalsa la monotonia

Fabrizio De Andrè e Dori Ghezzi vengono liberati pochi giorni prima del Natale del 1979: per il loro rilascio viene pagato un riscatto di oltre 550 milioni delle vecchie lire.
Quell'esperienza segna in maniera indelebile De Andrè come uomo e come artista ma non cancella l'amore di Fabrizio per la sua terra d'adozione: la Sardegna.

Dalle parole di Fabrizio De Andrè: “Fondamentalmente i veri prigionieri continuano ad essere i sequestratori, non noi, tanto è vero che noi siamo usciti, loro sono ancora dentro”.

Non vi è traccia di rancore nelle dichiarazioni da lui rilasciate dopo la liberazione: “I rapitori erano gentilissimi, quasi materni... Ricordo che uno di loro una sera aveva bevuto un po' di grappa di troppo e si lasciò andare fino a dire che non godeva certo della nostra situazione”.

Nel 1982 Fabrizio De Andrè aderisce a Sardinia e Libertade, l’assemblea costituente dei gruppi indipendentisti sardi. La decisione deriva soprattutto dal suo amore per la Sardegna e dall’attenzione che ha sempre riservato alle minoranze politiche ed etniche (a cominciare dagli indiani d’America).
In un’intervista del 1997 per uno speciale del TG1, De Andrè racconta: “Da quando frequentavo i circoli libertari di Genova e Carrara mi sono schierato in maniera precisa e da allora non ho mai più trovato durante la mia vita nessun altro schieramento che dal punto di vista sociale o morale mi garantisse qualcosa di meglio.”

Dopo un periodo di riposo, il cantautore torna all'attività con un album, Fabrizio De André , che contiene un brano, “Hotel Supramonte”, rielaborazione dei traumi e delle incertezze patiti durante il rapimento.

La seconda giovinezza
In questa personalità così complessa fatta di luci e ombre ci sono anche fragilità e demoni personali contro cui combattere.
De Andrè, per via del suo grave problema con l’alcol, cambia umore ed atteggiamenti troppo spesso tanto che qualcuno li ha definiti come schizofrenici.

Nel 1984, con l’album Creuza de mä, fuoriesce un altro lato di De Andrè: non più o non solo cantautore, ma soprattutto cantante. Da molti critici, infatti, è considerato come il suo capolavoro. Il disco, per il quale ottiene numerosi premi e riconoscimenti e che viene presentato al pubblico nel corso di una memorabile tournée col figlio Cristiano e con Mauro Pagani (della PFM), evoca suoni, profumi, voci, odori e sapori di tutto il Mediterraneo, ma è soprattutto - come lo ha definito Luigi Viva – “un canto d'amore a Genova”.

Mauro Pagani racconta: “Creuza de mä è una sorta di romanzo d’avventura, come un libro di Salgari, dove i pirati sono finti, dove le comparse hanno la parrucca ed i costumi sono noleggiati. Tutto ciò che Fabrizio aveva appreso era figlio dei libri. Il disco doveva essere un mix di almeno venti lingue parlate: e Fabrizio ha l’intuizione di scriverlo in genovese. Nel disco, geniale, si capisce quale uso il cantautore abbia fatto della lingua e del dialetto genovese. In realtà in Creuza de mä De Andrè affronta un disco non come cantautore ma come cantante, sentendosi libero di pronunciare le parole nella sua lingua d’origine. Non è un caso se, dopo l’uscita di questo album, il suo modo di cantare cambia completamente perché nasce in lui il sentimento di libertà nel fare il cantante.”
De André si serve del genovese per recuperare le sonorità del Mediterraneo. Oggi a più di vent’anni dall’uscita dell’album, Creuza de mä continua ad essere di grandissima attualità, anche dal punto di vista dello sperimentalismo linguistico. L’approdo al genovese rappresenta infatti un momento cruciale della produzione di De André, che scopre ed esplora il dialetto per recuperare in esso la storia della sua città e della sua gente. Come dichiara in una nota intervista, De André arriva al genovese attraverso una lunga ricerca dentro se stesso, volta soprattutto ad appagare quella che definisce una “voglia primordiale”: il desiderio di ricongiungersi con le proprie radici. Si tratta di un progetto costruito a tavolino, tra le pagine dei vocabolari ottocenteschi da cui Fabrizio rispolvera una lingua poco parlata, ma che si compiace di esibire, nella sua musicalità. Il genovese si presta infatti a soddisfare agilmente le esigenze metriche del linguaggio musicale, senza dover costringere la sintassi a tortuosi capovolgimenti. A differenza dell’italiano, che funziona solo dal punto di vista melodico, il dialetto consente la coincidenza tra la frase musicale e la cesura metrica, così rivelandosi estremamente flessibile. De André scopre le possibilità espressive fonetiche e metriche del genovese e ne sfrutta l’agilità delle parole tronche e l’esotismo dei suoni. Album come Creuza de mä e Anime salve rispondono ad un progetto mediterraneo, che Fabrizio De André e Mauro Pagani elaborano in occasione di un viaggio in Turchia, nel 1983. L’uso del dialetto genovese è però, paradossalmente, soltanto uno strumento per la ricostruzione di un’atmosfera che non è genovese, ma orientale. L’elemento fondamentale è il sound, che rimanda a Istanbul, al Libano, ad Atene, e non a Genova. Contribuisce a creare quest’effetto anche la scelta di strumenti della tradizione islamica, greca, occitanica, che avvicina la musica all’oriente, distinguendola dalla dimensione folcloristica e vernacolare.

Il gesto che in qualche modo salva la vita a Fabrizio De Andrè è la promessa fatta al padre il 18 luglio 1985: il Prof. De Andrè, sul letto di morte, strappa a Fabrizio il giuramento di smettere di bere. “Il problema non è che gli volevo bene, perché questo non finisce. Il problema è che lui ne voleva a me”.

Maro Pagani dice: “Quando riesce a tirarsi fuori dal problema dell’alcolismo, De Andrè diviene l’uomo fantastico di cui la maggior parte della gente ha il ricordo, e che ha usato gli ultimi anni della sua vita per pacificarsi su tutti i fronti, iniziando ad avere dei rapporti sereni con tutte le persone che gli stavano intorno”.

Dori Ghezzi: “Ero presente quando il padre glielo ha chiesto. Forse desiderava che qualcuno glielo chiedesse; non sopportava che chiunque altro glielo chiedesse ma quella è stata la leva che lo ha messo di fronte a questa enorme responsabilità.”

Nell'estate del 1989, muore anche il fratello Mauro, colpito da aneurisma. Aveva appena 54 anni, e Fabrizio fu naturalmente scosso dalla terribile notizia: “Alla morte di mio padre, almeno, eravamo preparati: era anziano. Ma Mauro...”.

Ci sono, però, anche momenti lieti, come il matrimonio con Dori Ghezzi, celebrato nel dicembre del 1989 dopo quindici anni di convivenza; ed anche il matrimonio di Cristiano.

Le Nuvole
Nel 1990, dopo sei anni di silenzio, esce il nuovo album Le nuvole , sicuramente il disco più apertamente politico di tutta la produzione del cantautore, che tocca il suo apice con La domenica delle salme.
Mauro Pagani, racconta:“Le Nuvole è uno strano compromesso: c’è una facciata in italiano, ottocentesca, come volevamo io e Fabrizio. In realtà l’idea del disco era mettere in evidenza che nonostante siano cambiate molte cose all’interno delle società odierne, l’impianto morale e contenutistico dell’Europa non è cambiato negli ultimi cento anni. Non siamo diversi dal Congresso di Vienna. Sono canzoni definitive dal punto di vista della descrizione del sociale che viene descritto come un campo in cui oramai i buoni hanno perso, i giochi sono fatti e non c’è speranza di ribaltarli. Don Raffaè fa parte di queste canzoni. Questa canzone è il racconto del padrino, del capo clan secondo le parole di u secondino soggiogato dal carisma dell’uomo di potere. In un mondo dove lo stato non è riconosciuto, Don Raffaè diventa un’autorità. L’idea di questo pezzo arriva tramite una persona di fiducia: il pezzo è ispirato ad una novella scritta da lui stesso in carcere. Quello che si trova in Anime salve è quello che ricorre in tutti i suoi lavori: il tema della pietà.”

Nel 1991, a distanza di sette anni dal suo ultimo tour, Fabrizio tornas a calcare il palcoscenico con rinnovato successo, traendone l'LP dal vivo Fabrizio De André 1991 - Concerti.

Nel 1992, anno delle “Colombiane”, Genova festeggia con un'esposizione e lavori per svariati miliardi i cinquecento anni della scoperta dell'America: De André viene invitato a partecipare e ad esibirsi con Bob Dylan, ma rifiuta il benché minimo coinvolgimento, ricordando anzi lo sterminio degli Indiani d'America.

Il 3 gennaio 1995, all'età di ottantatré anni, viene a mancare la madre Luisa, unica della famiglia a morire di vecchiaia.

Nel 1996 esce Anime Salve, scritto in collaborazione con Ivano Fossati, che ruota intorno al duplice tema delle minoranze isolate e della solitudine. Nello stesso anno pubblica presso Einaudi “Un destino ridicolo”, romanzo scritto a quattro mani con Alessandro Gennari.

Ma nell'estate del 1998 è costretto a interrompere il tour seguito ad Anime Salve. La tac, eseguita il 25 agosto, non lascia speranze: la diagnosi è un tumore ai polmoni. Appena pochi mesi dopo, alle ore 2.15 di notte dell'11 gennaio 1999, a soli 59 anni, Fabrizio muore presso l'Istituto Tumori di Milano dov'era ricoverato, assistito sino all'ultimo momento dai suoi cari.

Una folla commossa, di oltre diecimila persone, ha seguito i suoi funerali, svoltisi il 13 gennaio nella Basilica di Carignano, a Genova. Su quel mare di umanità svettavano la bandiera del Genova (la sua squadra del cuore) e quella anarchica (a testimonianza e ricordo del suo “credo” politico, o meglio del suo “modo d'essere”).

Riposa al cimitero di Staglieno, nella cappella di famiglia.

Due dei suoi amici più cari, Ivano Fossati e Paolo Villaggio, ci raccontano commossi: “Quello che si trova in Anime Salve, attraverso un filo non sottile, si trova andando indietro nel tempo in quasi tutti i suoi lavori, come il tema della pietà. Non riesco ad abituarmi all’idea che esista una sorta di testamento di Fabrizio perché so che la sua velocità di elaborazione era talmente alta che mi risulta difficile credere che si possa pensare a lui come se ad un certo punto avesse trovato un termine.” (Ivano Fossati)

Io ho avuto per la prima volta il sospetto che quel funerale, di quel tipo, con quell’emozione, con quella partecipazione di tutti non l’avrei mai avuto e a lui l’avrei detto. Gli avrei detto ‘Guarda che ho avuto invidia, per la prima volta, di un funerale’.”
(Paolo Villaggio)

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