INTERVISTA A DARIO FO, PREMIO NOBEL DELLA
LETTERATURA NEL 1997 (TRATTATO NEL BLOG NEL GIUGNO 2012), CHE, IN PROCINTO
DELLE ELEZIONI POLITICHE IN ITALIA, PARLA DEL “SAPERE”, DI “CULTURA”...
L'INTERVISTA INTEGRALE QUI --> http://youtu.be/SOPawaoOESA
"Avrete notato che il nostro governo, ormai in
procinto di chiudere appena concluse le elezioni, non ha un responsabile della cultura, cioè un ministro delle arti e
del sapere. Almeno, io personalmente non l’ho mai visto in alcuna
manifestazione culturale e oltretutto dubito della sua esistenza, giacché non
ne conosco il nome né ho visto la sua faccia. Ho chiesto intorno e nessuno mi
sa dire qualcosa di lui. Che sia un fantasma?
Durante quest’ultima campagna elettorale vi sarete resi conto che nei vari interventi
alla televisione o nei teatri i politici di tutti gli schieramenti non hanno
mai accennato all’argomento ‘cultura’. Inoltre hanno taciuto sulla
scuola, sui musei, sui monumenti d’arte che si deteriorano e spesso franano.
Egualmente non hanno mai dato notizie sui teatri, gli spettacoli, i concerti,
le opere musicali e soprattutto sulle accademie spesso disastrate non hanno
fatto alcun accenno, tanto a proposito dei conservatori musicali che delle
scuole di arte figurativa; e che dire poi del calo del 17% - diciassette
percento, impressionante! - degli iscritti all’università negli ultimi dieci
anni.
E che dire della sparizione dei teatri? Solo a Milano dal dopoguerra a oggi sono stati smontati e trasformati in supermercati, imprese commerciali e bancarie la bellezza di otto teatri storici e altri, in attesa di ristrutturazione, sono chiusi da anni. Calcolando le sale teatrali sparite in tutta Italia si arriva al numero di 428. E’ un massacro.
E che dire della sparizione dei teatri? Solo a Milano dal dopoguerra a oggi sono stati smontati e trasformati in supermercati, imprese commerciali e bancarie la bellezza di otto teatri storici e altri, in attesa di ristrutturazione, sono chiusi da anni. Calcolando le sale teatrali sparite in tutta Italia si arriva al numero di 428. E’ un massacro.
E’ ovvio che questo rappresenta un segnale
preoccupante per il nostro futuro perchè vuol dire meno rappresentazioni, meno
luoghi di studio e di ricerca. E un abbassamento notevole del numero di
compagnie che si esibiscono nelle nostre città.
Quando, più di mezzo secolo fa, sono salito su un palcoscenico per la prima volta, le compagnie replicavano una loro commedia o spettacolo musicale per non meno di un mese e, in caso di successo, continuavano a esibirsi per tre mesi e più. Oggi, di media, in città come Milano, Roma e Napoli, non si rimane in cartellone per più di una settimana...
Due anni fa il ministro dell’economia Tremonti, interpellato perchè spiegasse il disinteresse che mostrava lo stato verso le mostre d’arte ed il sapere, ha risposto: “Ma con la cultura non si mangia!”.
E’ la risposta più imbecille che ci si potesse aspettare.
E non va dimenticato che al contrario, noi in Italia godiamo di una grande, straordinaria fortuna: quella di possedere un gran numero di opere d’arte, musei, palazzi antichi, edifici religiosi, siti archeologici che non attendono altro che di essere resi produttivi. Secondo le stime dell’Unesco l’Italia possiede tra il 60 e il 70% del patrimonio culturale mondiale. Un corretto utilizzo di queste opere produrrebbe senz’altro un consistente utile allo stato ma è ovvio che se sono per primi i nostri politici a disinteressarsi della promozione di questi beni ci ritroveremo sempre completamente a terra. Del resto, come ha osservato Selvatore Settis (ex rettore della Normale di Pisa): siamo un Paese ignorante e regredito.
Bisogna che si cominci ad insegnare soprattutto ai giovani che il patrimonio culturale non è un inutile fardello ma è un veicolo determinante per formare le coscienze e il sapere dei nostri connazionali. D’altra parte, un paese senza cultura, non può che sfornare abitanti ottusi e senza prospettive.
Il disprezzo per la conoscenza e la ricerca da parte dei governi italiani lo misuriamo subito con la taccagneria di ‘misere elargizioni’ per sostenere manifestazioni culturali di tutti i generi.
Oggi poi, con i tagli che abbiamo subito, ci troviamo come sempre agli ultimi gradini della classifica.
Mi diceva qualche giorno fa il responsabile acquisti della Biblioteca Braidense di Milano che in tutto l’anno sono riusciti a ottenere dallo stato 70.000 euro per l’acquisto di nuovi libri. Solo nel 2006 erano 600.000. E il sindaco di Milano, la Signora Letizia Moratti, due anni fa, uscendo dal Comune - e speriamo per sempre! - ha lasciato un debito – meglio chiamarlo un buco - di 186 milioni di euro. Non si sa come e dove li abbia sprecati, ma la cifra è questa.
Quando, più di mezzo secolo fa, sono salito su un palcoscenico per la prima volta, le compagnie replicavano una loro commedia o spettacolo musicale per non meno di un mese e, in caso di successo, continuavano a esibirsi per tre mesi e più. Oggi, di media, in città come Milano, Roma e Napoli, non si rimane in cartellone per più di una settimana...
Due anni fa il ministro dell’economia Tremonti, interpellato perchè spiegasse il disinteresse che mostrava lo stato verso le mostre d’arte ed il sapere, ha risposto: “Ma con la cultura non si mangia!”.
E’ la risposta più imbecille che ci si potesse aspettare.
E non va dimenticato che al contrario, noi in Italia godiamo di una grande, straordinaria fortuna: quella di possedere un gran numero di opere d’arte, musei, palazzi antichi, edifici religiosi, siti archeologici che non attendono altro che di essere resi produttivi. Secondo le stime dell’Unesco l’Italia possiede tra il 60 e il 70% del patrimonio culturale mondiale. Un corretto utilizzo di queste opere produrrebbe senz’altro un consistente utile allo stato ma è ovvio che se sono per primi i nostri politici a disinteressarsi della promozione di questi beni ci ritroveremo sempre completamente a terra. Del resto, come ha osservato Selvatore Settis (ex rettore della Normale di Pisa): siamo un Paese ignorante e regredito.
Bisogna che si cominci ad insegnare soprattutto ai giovani che il patrimonio culturale non è un inutile fardello ma è un veicolo determinante per formare le coscienze e il sapere dei nostri connazionali. D’altra parte, un paese senza cultura, non può che sfornare abitanti ottusi e senza prospettive.
Il disprezzo per la conoscenza e la ricerca da parte dei governi italiani lo misuriamo subito con la taccagneria di ‘misere elargizioni’ per sostenere manifestazioni culturali di tutti i generi.
Oggi poi, con i tagli che abbiamo subito, ci troviamo come sempre agli ultimi gradini della classifica.
Mi diceva qualche giorno fa il responsabile acquisti della Biblioteca Braidense di Milano che in tutto l’anno sono riusciti a ottenere dallo stato 70.000 euro per l’acquisto di nuovi libri. Solo nel 2006 erano 600.000. E il sindaco di Milano, la Signora Letizia Moratti, due anni fa, uscendo dal Comune - e speriamo per sempre! - ha lasciato un debito – meglio chiamarlo un buco - di 186 milioni di euro. Non si sa come e dove li abbia sprecati, ma la cifra è questa.
In ognuno dei paesi della Scandinavia si spende quattro volte di più di quanto succeda da noi. Il numero delle persone locali che va a visitare un museo, una cattedrale o partecipa a una manifestazione culturale in Italia si ritrova ancora agli ultimi posti della classifica, e la cosa è stupefacente quando si pensa che sono migliaia i borghi e le città italiane che possono offrire un gran numero di luoghi d’arte di grande valore, ma il 50% e più di quelle popolazioni non è nemmeno informata su quello che possiede.Spesso nelle Accademie di teatro delle nostre città, alla facoltà di Scenografia non esiste un teatro, ma nemmeno un palcoscenico dove ci si possa esercitare nel montare le scene e le strutture. Quando ormai vent’anni fa, siamo stati con la nostra compagnia in tournée in tutte le università più importanti degli Stati Uniti, arrivati a Yale ci siamo trovati ad allestire l’impianto scenico insieme a dei giovani tecnici, tutti studenti dell’ateneo, che non solo si diplomavano in scenografia ma ricoprivano i ruoli di elettricisti, fonici e, soprattutto, si esibivano loro stessi in commedie di repertorio antico e contemporaneo.
Credo che da noi non esista una scuola di questo genere, eppure il teatro moderno è nato proprio qui in Italia traendo le macchinerie dalla tecnologia dei cantieri navali di Venezia a partire dagli àrgani, le carrucole e le funi per montare le vele che si trasformavano in fondali. Nella Francia del XVII secolo il primo spettacolo con cambi di scena a vista fu impiantato dai nostri comici dell’arte nel teatro del Palazzo Reale di Enrico IV a Parigi dove il palcoscenico era stato smontato completamente per ricostruirci tutte le nuove strutture in uso dalla graticcia alle quinte fino agli scorrevoli per le fiancate e le scenografie.
Il pubblico che gremiva il salone del re rimase attonito osservando una scena di bosco che si trasformava, con rapidità inaudita, in un palazzo a più piani e di lì a poco, in una nave a grandezza quasi naturale che navigava fra le onde. Sulle tavole del gran palco si esibivano maschere dagli abiti sgargianti e personaggi femminili che non erano interpretati da ragazzi travestiti – come allora era in uso in tutta Europa - ma da donne vere che per dimostrare la loro autentica natura con pretesti comici spesso si spogliavano nude in scena. Che teatro!
La maschera di Arlecchino fu inventata proprio a Parigi in quegli anni e veniva interpretata da un attore che si chiamava Tristano Martinelli, di mestiere giovane notaio. Si scriveva i testi da sé e pubblicò un saggio famoso dal titolo “Composizione della Retorica”. Egualmente il capocomico della compagnia era un letterato: Francesco Andreini, scrittore e filosofo. Anche Isabella, sua moglie, bellissima... che fece innamorare di sè il re – anche lei si scriveva i testi da sola.
E numerosi altri attori erano scienziati e musici nella compagnia: questo per sfatare il luogo comune che i comici dell’arte fossero attori scavalcamontagna, guitti di bassa cultura dotati solo di un gran senso del teatro.
Scaramouche, maestro di Molière, era anche musico in grado di suonare tutti gli strumenti in voga nel ‘500. Dagli ottoni alle viole, dalle chitarre ai flauti. E naturalmente scriveva opere musicali che poi riusciva a eseguire da solo, passando da uno strumento all’altro. (grammelot)
Oggi, molti ragazzi e ragazze, si cimentano nel mestiere del commediante badando soprattutto alla dizione, alla vocalità e al gestire; e spesso dell’autore e della ragione che l’ha portato a scrivere quel testo sanno poco o niente. Ci sono sì alcune accademie di teatro come la Paolo Grassi di Milano, che si preoccupano di formare culturalmente i giovani che lì si preparano a montare in scena. Lo stesso avviene alla scuola Silvio D’Amico di Roma e all’Accademia Nico Pepe di Udine ma sono solo casi eccezionali. Bisognerebbe imparare da certe scuole d’Europa dove l’attore è condotto ad essere informato non solo su quello che va recitando ma sulla situazione politica, culturale religiosa del paese in cui si svolge l’opera e dell’autore, soprattutto, che l’aveva composta. Come si può mettere in scena e recitare l’Amleto, per esempio, se non ti accorgi che la soluzione di ambientare l’opera in Danimarca, fu soltanto uno scaltro espediente di Shakespeare per poter trattare della situazione che si viveva in Inghilterra senza cadere nelle maglie della censura? E’ ovvio che l’intento era poter trattare liberamente della corte di Elsinòre per raccontare di Londra, della sua regina, della sua corte e delle basse manovre di potere che là si orchestravano. Ma ancora bisogna essere informati sui conflitti sociali e politici del tempo, sulla cultura, sui movimenti, sulle trasformazioni, la tensione sociale e il linguaggio dei protagonisti. Inoltre, essere informati del fatto che nella corte inglese e nelle università di Cambridge e Oxford si parlava correttamente il francese e anche l’italiano e che in quel tempo si stava compiendo proprio una trasformazione culturale senza eguali. Forse è la prima volta che il nome di una regina è legato a un movimento culturale, infatti la poesia e il teatro che là si producevano venivano comunemente definitielisabettiani. Gli autori famosi che mettevano in scena ogni anno in Inghilterra commedie tragedie e satire erano più di 50. A questi bisogna aggiungere gli autori che preferivano rimanere anonimi e gli altri di cui si sono perduti i testi e anche i nomi.
Egualmente numerosi erano i teatri che rinnovavano il loro repertorio per un pubblico straordinariamente vasto, nello stesso tempo in gran numero erano gli spettacoli e le compagnie che li mettevano in scena. Tutti gli intellettuali, malgrado “l’assoluta tolleranza” dichiarata dal potere, si trovavano spesso nelle carceri a scontare anni di galera per aver offeso la dignità dei regnanti trattando delle loro malefatte sia sul piano delle appropriazione indebite che della falsa morale che esprimevano.Fra questi c’erano Marlowe, Johnson e Shakespeare al quale, in seguito alla messa in scena di Misura per misura, il re Giacomo I ordinò di non scrivere più alcun testo di teatro se non voleva rischiare la vita.
Ecco perchè il grande William visse gli ultimi sei anni della propria esistenza senza produrre più una commedia.
In questi anni mi capita spesso di incontrarmi con ragazzi italiani e stranieri che studiano nelle varie accademie. A brevi intervalli vado con Franca anche da mio figlio Jacopo ad Alcatraz, in Umbria, dove gestisce una libera università e lì teniamo insieme veri e propri seminari per giovani allievi di teatro, ragazzi e ragazze: come ci succederà fra poco, a metà marzo. La tecnica di insegnamento di cui ci serviamo va dall’improvvisazione di monologhi e dialoghi alla scrittura collettiva di testi e agli esercizi di pantomima; leggiamo recitando insieme anche brani di commedie classiche e racconti di famosi poeti e narratori da quelli medievali ai fabulatori dei giorni nostri e, per ogni autore, io racconto brani che testimoniano successi e sventure a lui capitate, compresi gli incontri con i personaggi più noti del loro tempo. La parte però che penso sia più interessante - non solo per loro, gli allievi, ma anche per noi che insegniamo – sono i dibattiti su un testo o un evento capitato oggi o appena ieri, un fatto di cronaca o della politica. E, quindi, esercizio importantissimo a nostro avviso è quello di raccontare loro la nostra vita – anche con i particolari più scabrosi - e ancora invitarli a testimoniarci le loro esperienze, compresi sogni e progetti che vorrebbero realizzare.
E a proposito del coinvolgimento c’è un particolare atteggiamento che esprimono molti intellettuali che si atteggiano ad eruditi; mi capita spesso di sobbalzare ascoltandoli pronunciare sentenze come questa: “L’arte deve essere al di sopra delle parti e soprattutto chi fa teatro deve evitare ogni coinvolgimento politico e morale di sorta nel suo operare”.
Costoro dimostrano di vivere immersi in un beato clima di presunzione e di ignoranza soprattutto riguardo alla struttura scenica delle opere teatrali. Basta dare una sbirciata alla storia del teatro cominciando dai greci per scoprire che tutte le antiche opere satiriche che ci sono pervenute a cominciare da Aristofane a finire con Luciano di Samosata hanno come base degli avvenimenti raccontati una profonda drammaticità politica. L’esempio più convincente è senz’altro quello de Le donne al parlamento scritto, recitato e cantato da Aristofane e dalla sua compagnia. La commedia prende l’avvio da una strage subita dall’esercito ateniese nella guerra contro la città di Siracusa: gli ateniesi vengono battuti e nella ritirata via mare le loro navi in fuga vengono affondate e i pochi uomini che tentano di salvarsi a nuoto saranno trafitti uno ad uno dagli arcieri siculi. Le spose e le madri di Atene preso atto che nella città fra i maschi erano rimasti soltanto bambini e vecchi, decisero di salire tutte insieme al Parlamento e creare un governo di sole donne. “Di certo – gridavano a gran voce - saremo in grado di fare meglio di loro, dei nostri uomini, che hanno portato se stessi alla morte e la città alla rovina.
La prima legge che noi voteremo all’unanimità sarà quella che delibera che tutti i possedimenti ed il denaro saranno messi in comune e amministrati da noi donne."
Ogni guerra verrà bandita e, cacciato dalla città ogni abitante che pretenda la creazione di una difesa militare. “Certo - disse una delle donne più ascoltate - si comincia sempre col preoccuparsi della difesa, poi si crea un nemico e si invade la sua città prima che lui faccia egualmente con la nostra"... e ZAC! siamo di nuovo alla strage! Chi sosterrà il motto che ‘dobbiamo difendere la pace quindi prepariamoci alla guerra’, non avrà più diritto di parola nei pubblici dibattiti per tutta la sua vita. L’atto fondante di tutta la nostra società sarà l’amore. Sceglietevi la sposa o lo sposo che volete ma senza corruzione in denaro e altre truffalderie.
Ognuno dovrà saper leggere scrivere e far di conto, a cominciare dalla più tenera età...
Il canto e la danza saranno parte fondamentale della nostra vita, danzeremo nei matrimoni, nei battesimi e perfino nei funerali... ognuno imbracci il proprio strumento e guai chi stona!” (grammelot cantato)
Quello che abbiamo registrato non tenetevelo per voi, passate parola !
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