IL TEMA DI MATURITÀ DELLE SCUOLE SUPERIORI DI QUEST'ANNO, HA AVUTO COME TRACCIA UNA FRASE TRATTA DALLA PREFAZIONE DI UN LIBRO DI CLAUDIO MAGRIS.
LETTERATO ITALIANO, LAUREATOSI A TORINO NEL '62, VIVENTE, MA PER I PIÙ MISCONOSCIUTO, CERCHIAMO DI APPROFONDIRE INSIEME LA SUA FIGURA.
Uno dei più notevoli saggisti contemporanei e dei più penetranti e geniali studiosi di letteratura mitteleuropea, erede della grande tradizione culturale triestina, lo scrittore e germanista Claudio Magris nasce il 10 aprile 1939 a Trieste. Finissimo letterato, di vastissima e straordinaria cultura, è uno dei più profondi saggisti contemporanei, capace come pochi di scandagliare non solo il patrimonio della letteratura mitteleuropea ma anche di ritrovare le ragioni profonde sedimentate dietro ogni libro con cui viene a contatto. Infine, Magris è indubbiamente uno dei letterati di più grande umanità e sensibilità, come testimoniato periodicamente anche dai suoi sempre acuti, a volte commoventi, interventi.
Il mondo della sua infanzia e della sua adolescenza — l’humus vitale, in cui Magris appare fortemente radicato — è per l’appunto Trieste, città di «frontiera» plurietnica e pluriculturale: «“collage” in cui niente si è trasferito nel passato e nessuna ferita si è rimarginata nel tempo, in cui tutto è presente, aperto e acerbo, in cui tutto coesiste ed è contiguo: impero asburgico, fascismo e Quarantacinque, nostalgie imperialregie, nazionalismo e indipendentismo… la caparbia sapienza della mitteleuropea ebraica, la ritrosa intelligenza slovena e quella epica e tranquilla del Friuli…».
Oltre che alla sua città natale, la sua formazione intellettuale è legata anche a Torino — luogo del mondo intellettuale e dell’età adulta. A Torino, infatti, Magris si laurea nel 1962 in Lingua e Letteratura Tedesca con Lionello Vincenti. Dopo un periodo di apprendistato all’Università di Freiburg, Magris è stato, dal 1970 al 1978, ordinario di Lingua e Letteratura Tedesca all’Università di Torino, mentre ora insegna all’Università di Trieste.
La sua tesi di laurea, dal titolo Il mito asburgico nella letteratura austriaca moderna, pubblicata da Einaudi nel 1963, ha dato il via alla sua produzione e — sul piano degli studi, ma anche su quello dell’editoria e dell’interesse dei lettori — a un recupero della letteratura mitteleuropea. Da allora, in molteplici lavori saggistici, relazioni, introduzioni, prefazioni ed elzeviri — soprattutto per il «Corriere della Sera» — Magris analizza la letteratura del nostro secolo, in particolar modo quella mitteleuropea e scandinava, come metafora della crisi della civiltà moderna, contribuendo a diffondere, in Italia e all’estero, la letteratura del “mito asburgico”.
Fra i suoi principali saggi e studi critici (di indirizzo storicistico e lukacsiano) ricordiamo, dopo Wilhelm Heinse (1968) e Tre studi su Hoffmann (1969), la pubblicazione negli anni Settanta di Lontano da dove, Joseph Roth e la tradizione ebraico-orientale (1971), L'anarchico al bivio. Intellettuale e politica nel teatro di Dorst (scritto con Cases Cesare, 1974), Dietro le parole (1978), e L’altra ragione. Tre saggi su Hoffmann (1978). Seguono nel 1982 Itaca e oltre e Trieste. Un’identità di frontiera (scritto con Angelo Ara). Ed infine nel 1984 pubblica L'anello di Clarisse. Grande stile e nichilismo nella letteratura moderna — summa del suo pensiero e specchio saggistico del contemporaneo Illazioni su una sciabola, con cui lo scrittore triestino, in quello stesso anno, esordisce nella narrativa, imponendosi come uno degli autori italiani più originali ed apprezzati all’estero. Sempre nell’84 esce Giuseppe Wulz (scritto con Italo Zannier), e l’anno successivo Quale totalità.
Nel 1986 Magris dà alle stampe il suo capolavoro, Danubio — suggestivo diario sentimentale e viaggio nello spazio e nel tempo, da cui nel 1997 il regista Pressburger ha ideato per il Mittelfest uno spettacolo teatrale itinerante. Danubio, tradotto in più di diciassette lingue, è stato scritto, in buona parte, nei pomeriggi trascorsi a un tavolo del suo caffè prediletto, il Tommaseo — un antico caffè triestino, sul tipo di quelli della vecchia Europa, «dove il tempo si è rappreso in grumi distinti e adiacenti». Scrittore dall’esistenza ritmata da abitudini e gesti quotidiani, sposato con due figli, Magris ama, quando non è altrove, scrivere e leggere anche al Caffè San Marco.
Superata, con Illazioni e Danubio, la linea di demarcazione che separa il saggista dallo scrittore, Magris — già studioso del teatro in lingua tedesca e traduttore di testi teatrali (di Buechner, Kleist, Ibsen, Schnitzler) — si cimenta anche con il dramma teatrale, e nel 1988 pubblica Stadelmann.
Dopo il romanzo breve Un altro mare (1991) e l’intenso e musicale racconto Il Conde (1993), nel 1995 pubblica Le voci.
Nel 1997 lo scrittore triestino vince con Microcosmi il prestigioso Premio Strega, mentre nel 1999 torna alla saggistica con Utopia e disincanto, Saggi 1974-1998, una raccolta di brevi saggi e articoli giornalistici. Del 2001 è La mostra.
Nella saggistica di Magris, il dato scientifico si fonde con quello umano, così come, nella sua produzione narrativa, persone, luoghi ed esperienze di vita si fanno spaccato di civiltà mitteleuropea.
Nel 2005, simile al cieco Omero, Claudio Magris raccoglie le tante voci che popolano la narrazione e cerca pazientemente di ordinarle e unificarle in un poema, Alla cieca, che non cela le cuciture e gli strappi e neppure la mescolanza e l’intreccio di variazioni diverse sulle stesse leggende e storie. Prima che l'anno si concluda, percorriamo ancora in compagnia dell'autore gli itinerari di L’infinito viaggiare e ci accorgiamo di come l’esperienza del viaggio possa condensarsi in una necessaria educazione dello sguardo; in uno stupefacente (anche doloroso) romanzo di formazione. Uno splendido quaderno di viaggi – righe fitte d’inchiostro e vita vissuta.
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