LA COMICITÀ
ITALIANA È DA SEMPRE UNA GRANDE CARATTERISTICA DEL POPOLO ITALIANO. A PARTIRE
DAI GIULLARI DI CORTE FINO AI GIORNI NOSTRI, IRONIA E SARCASMO HANNO SEMPRE
ACCOMPAGNATO LE VICISSITUDINI DEL “BELPAESE”.
PARTENDO DAI PRIMI ANNI DEL SECOLO SCORSO
RIPERCORRIAMO ALLORA, QUELLI CHE SONO STATI I GRANDISSIMI E INTRAMONTABILI RE
DELLA RISATA !!
GILBERTO GOVI
Gilberto Govi, simbolo ed emblema del teatro genovese,
nasce il 22 Ottobre 1885 da una famiglia di origine mantovana;
La sua prima tournée all'estero è in America Latina nel 1926.
Govi presenta sui palcoscenici di tutto il mondo 78
commedie (alcune delle quali registrate dalla televisione italiana e incise
anche su vinile) tra le quali si ricordano "Pignasecca e Pignaverde",
"Colpi di timone", "Maneggi per maritare una figliola".
La carriera di Gilberto Govi lo vede impegnato anche in
quattro film: "Colpi di timone" (1942), "Che tempi!" (1947), "Il diavolo in convento" (1950),
"Lui, lei e il nonno" (1961).
La sua comicità senza tempo e frizzante come una gassosa, rimane unica nel tempo e la sua indole comica, la sua mimica e le sue espressioni, varcano le soglie del tempo.
Gilberto Govi morì a Genova il 28 aprile 1966.
ETTORE PETROLINI
Ettore
Petrolini nasce a Roma il 13 gennaio del 1884. Già
nella prima infanzia si esibisce in piccoli siparietti nella bottega del padre
e in quella del nonno falegname. Da bambino frequenta piazze e localini che
fanno da palcoscenico alle sue esibizioni, espressione solare della sua gran
voglia di divertirsi.
Nel 1903 conosce la quindicenne Ines Colapietro, che
assieme alla sorella Tina cantava al Gambrinus, e con lei, dalla quale avrà
anche dei figli, divide la vita e il lavoro per tanti anni. Nel 1907 vengono
scritturati per una tournée in Sudamerica
(cui ne seguirono altre negli anni successivi), il cui successo fu tale che, al
ritorno a Roma, l’artista viene scritturato da Giuseppe Jovinelli per il suo
nuovo teatro. Petrolini diviene popolarissimo. Nel 1915
costituisce una sua compagnia di varietà, con la quale mette in scena le prime
riviste. Petrolini si rivela non solo un bravo attore, ma
anche un prolifico e fantasioso drammaturgo, capace di nobilitare anche
creazioni altrui. Alla base del suo repertorio c’è la ‘macchietta’, alla quale
dà lustro, creando personaggi ben delineati e di spessore, che diventano punto
di riferimento per il teatro comico dell’epoca e non solo. Ricordiamo: ‘Gigi er
bullo’, ‘Sor Capanna’, ‘i Salamini’, ‘Fortunello’, tanto amato dai Futuristi,
con i quali, seppur burlandosi di loro negli “Stornelli maltusiani”, collabora,
come in “Radioscopia di un duetto”, trasposto cinematograficamente nel 1918 da
Mario Bonnard, col titolo “Mentre il pubblico ride”, con Petrolini e Niny Dinelli. Riguardo al suo lavoro
diceva: ”Imitare non è un arte perché se così fosse ci sarebbe arte anche nella
scimmia e nel pappagallo. L’arte sta nel deformare”. Petrolini infatti è il re dello sberleffo, della
burla, della satira pungente, caustica, con la quale condanna ipocrisia e
malcostume e non risparmia alcuno, né popolani, né potenti e neppure il regime
fascista, che criticò con sapiente sarcasmo, anche con ‘Nerone’. Negli anni
venti porta in scena numerose commedie, gli scrittori facevano a gara per
scrivergli dei testi; nel 1924 porta in scena il fortunato ‘Gastone’, col quale
vuole prendersi gioco di alcuni cantanti dell’epoca, pieni di sé, e di molte
star del cinema muto, oramai destinato a morire. Petrolini è anche scrittore di testi non
teatrali e autore e/o interprete di canzoni di successo, che arricchivano i
suoi lavori: indimenticabili ‘Una gita ai castelli’, conosciuta anche come
‘Nannì’, e la famosissima ‘Tanto pe’ cantà’, simbolo di una certa romanità. Con
gli anni Trenta arriva il cinema. Seguono anche tournée internazionali in
Egitto e nelle principali città europee, che porta un certo immalinconirsi
delle sue opere, dove mostra una maggiore pietà per le debolezze umane. Il re
del varietà, della rivista, dell’avanspettacolo, il precursore del moderno cabaret,
si ritira dalle scene nel 1935 per una grave forma di angina pectoris. Muore il
29 giugno del 1936 a soli 52 anni, senza aver mai perso la verve comica: prima
di morire disse “Che vergogna morire a cinquant’anni!”. Con addosso il frac del
famoso Gastone, viene sepolto al Cimitero Monumentale del Verano, a Roma.
TOTÒ: IL PIÙ GRANDE...
Figlio illegittimo del principe Giuseppe De Curtis e della giovane Anna
Clemente, che solo nel 1921 riusciranno a sposarsi, Totò nasce a Napoli,
nel famoso Rione Sanità, nel 1898. Registrato all'anagrafe con
il cognome materno, Totò verrà riconosciuto come figlio dal principe soltanto
nel 1941. Nel 1933 si farà adottare dal marchese Francesco Maria
Gagliardi, che gli trasmetterà i suoi titoli gentilizi. Solo nel 1946,
un anno dopo la morte del Principe De Curtis, il Tribunale di Napoli autorizza
Totò a fregiarsi del nome e del titolo di Antonio Griffo
Focas Flavio Angelo Ducas Commeno Porfirogenito Gagliardi De Curtis di Bisanzio, Altezza
Imperiale, Conte Palatino, Cavaliere del Sacro Romano
Impero. All'educazione del piccolo provvede la madre, che gli darà il
nomignolo di Totò. Dopo aver frequentato le scuole elementari, si iscrive al collegio Cimino, dove un suo precettore, tirando di boxe, gli causa quella deviazione del setto nasale che col tempo sarebbe diventata un tratto caratteristico della sua maschera. Dopo il collegio, a 14 anni, abbandona gli studi e prende a recitare in piccoli e scalcinati teatri di periferia imitando il macchiettista Gustavo De Marco. Con lo scoppio della grande guerra, nel 1915, si arruola volontario, ma riesce ad evitare la prima linea fingendo un attacco epilettico. Ed è proprio sotto le armi che conia il celebre motto: « Siamo uomini o caporali?? », originato dall'incontro con un graduato che lo costringeva ai compiti più umili, che in seguito sarà la sua filosofia di vita. Nel 1918, alla fine del confitto, torna a Napoli e comincia a recitare in piccoli teatri con un repertorio di imitazioni. Nel 1922, dopo un clamoroso "fiasco" al Teatro Della Valle di Aversa, decide di lasciare Napoli per Roma. Qui ottiene una scrittura al Teatro Ambra Jovinelli prima, al Teatro Umberto poi, entrambe coronate da un enorme successo. La sua figura di marionetta disarticolata, in bombetta, tight fuori misura, scarpe basse e calze colorate, si consolida ben presto e Totò conserva questo personaggio per tutta la vita. Con la notorietà arrivano anche le relazioni sentimentali. Dopo una sua burrascosa relazione con la cantante del cafè-chantant Liliana Castagnola, iniziata nel 1929 (la donna si sarebbe poi tolta la vita un anno dopo a causa di un litigio), Totò sposa nel 1932 la diciassettenne Daria Rogliani, che nel 1933 dà alla luce una figlia chiamata Liliana, come il suo primo amore scomparso. A causa della tremenda gelosia del comico, il matrimonio viene annullato nel 1940 ma la coppia resterà insieme fino al 1950, separata definitivamente dalle voci di un presunto flirt fra l'attore e Silvana Pampanini, conosciuta sul set del film 47 morto che parla (1950). In preda alla gelosia, l'ex moglie finirà per lasciare il comico e sposare un altro uomo. Ciò ispira a Totò il testo della stupenda canzone Malafemmena. Intanto in Italia, all'inizio degli anni '30, ha un grande successo l'avanspettacolo. Fiutato l'affare Totò diviene impresario e finanziatore della sua compagnia che, fra il 1933 e il 1940, rappresenta in tutta Italia diversi spettacoli. Nel 1940, a Roma, viene messa in scena la rivista Quando meno te l'aspetti, con Anna Magnani e Mario Castellani, che segna l'inizio della collaborazione tra Totò e Michele Galdieri. La Magnani torna a lavorare con Totò in Che ti sei messo in testa??, del 1943. Nel dopoguerra è ancora in teatro come interprete di riviste esilaranti come C'era una volta il mondo (1947) e Bada che ti mangio! (1949), nel quale propone per la prima volta il famoso sketch del "vagone letto". Sul grande schermo aveva esordito nel 1937 col film Fermo con le mani, diretto da Gero Zambuto, dove faceva chiaramente il verso al personaggio del vagabondo di Chaplin. La pellicola nella quale afferma il suo vero personaggio sarà San Giovanni Decollato (1940), tratta dall'omonima commedia di Martoglio. In seguito partecipa ad altri film, ma solo con I due orfanelli (1947) e Fifa e arena (1948) otterrà il vero e meritato successo cinematografico. Seguono altri stupendi film, come Totò le Mokò (1949), Totò cerca casa (1949), Totò sceicco (1950) e Napoli milionaria (1950). I lazzi, gli sberleffi, la mirabile capacità gestuale, si completano al cinema con l'uso di un linguaggio che si rinnova in continuazione attingendo con intelligente tempismo ad inflessioni dialettali, a paradossali giochi di parole e ad espressioni tratte dalla vita quotidiana. Nel 1951, per l'interpretazione del film Guardie e ladri, di Steno e Monicelli, riceve il Nastro d'argento e la Maschera d'argento. In seguito è il magnifico interprete di esilaranti pellicole, come Totò a colori (1952), primo film italiano a colori nel quale propone lo sketch del "vagone letto", Miseria e nobiltà (1954),L'oro di Napoli (1954), Siamo uomini o caporali? (1955) e Totò, Peppino e la... malafemmina (1956), nel quale c'è l'indimenticabile scena della dettatura della lettera fra Totò a Peppino De Filippo. Intanto nel 1952, grazie ad un giornale, conosce Franca Faldini, con la quale vivrà fino alla morte. Nel '56, dopo una lunga parentesi cinematografica, Totò torna in teatro con la rivista A prescindere. Purtroppo mentre recita a Palermo viene colpito da un male agli occhi e, nonostante non riesca più a vedere, recita fino all'ultimo. Si tratta di "corioretinite emorragica essudivante a carattere virale", ed è probabilmente causata da una precedente polmonite mal curata. Pian piano le condizioni migliorano, ma il grande comico ha timore che "il telefoni non squilli più". Invece il regista Camillo Mastrocinque lo vuole come protagonista diTotò, Vittorio e la dottoressa (1957), divertente commedia accanto a Vittorio De Sica. A questo film seguiranno altri successi, come I soliti ignoti (1958), Totò a Parigi (1958), Signori si nasce (1960), Totò, Fabrizi e i giovani d'oggi (1960 con Aldo Fabrizi) e I due marescialli (1961). Una grande occasione gli viene offerta da Alberto Lattuada, che lo dirige ne La mandragola (1965), tratto dall'opera di Machiavelli, nella quale veste i panni del corrotto fra Cristoforo. L'anno seguente avviene l'importante incontro col regista Pier Paolo Pasolini. Il primo frutto del loro incontro sarà il film Uccellacci e uccellini (1966). Nella rappresentazione del film Totò ha un senso profondo di disillusione, tristezza e malinconia, legato alla descrizione della realtà del suo tempo. Il comico nel film si fa scoprire dal pubblico come attore di gran sensibilità e intelligenza, in un ruolo che incarna una gran capacità di sarcasmo e riserva anche momenti di profonda commozione. Per questa interpretazione si aggiudica il Globo d'oro. Con Pasolini Totò girerà ancora gli episodi "La terra vista dalla luna", dal film Le streghe (1967), e "Che cosa sono le nuvole?", dal film Capriccio all'italiana (1968). Da ammirare è anche la sua attività di poeta: dalla sua penna scaturiscono straordinarie poesie che spesso rispecchiano la sua vena napoletana malinconica. La più famosa è certamente 'A livella. Poco prima di morire il regista Daniele D'Anza lo vuole come protagonista della serie televisiva "Tutto Totò", che comprende nove divertentissimi telefilm, nei quali ripropone il meglio del suo repertorio teatrale.
Il 15 aprile 1967, intorno alle tre e mezzo del mattino, dopo un susseguirsi di vari attacchi cardiaci, Totò si spegne. Quel giorno se n'era andato il più grande comico italiano di tutti i tempi.
ALDO FABRIZI
Aldo Fabrizi nasce a Roma il 1° novembre del 1905.
La madre resta vedova a
trentasette anni. Aldo, che ha 11 anni, è costretto a lasciare la scuola e, per
aiutare la famiglia, si adatta a fare qualsiasi mestiere: facchino, vetturino,
tipografo, falegname, portiere e tanti altri.
Comincia ben presto a scrivere
poesie e testi di canzoni che lo avvicinarono al mondo del teatro e dello
spettacolo.
Nel 1928 lavora nella redazione
del giornale Rugantino e scrive poesie dialettali che pubblica quasi
quotidianamente.
Alla fine del 1929 conosce in un
teatro la cantante romana Beatrice Rocchi, in arte Reginella, cui era stata
affidata l’interpretazione di alcune canzoni di Fabrizi; a lui piacque subito,
soprattutto la voce: la più bella del mondo. Lei era famosa, cantava nei teatri
più importanti di Roma. Si fidanzarono ed iniziarono a cantare insieme in vari
teatri di tutta Italia.
Nel 1932 sposa finalmente la sua
“Reginella” che in seguito lascia definitivamente il palcoscenico, per
dedicarsi alla casa e ai due figli gemelli Wilma e Massimo. Padrino del
battesimo Federico Fellini, che diventerà sceneggiatore dei suoi primi film.
Il mondo del cinema apre le porte
a Fabrizi con “Avanti c’è posto” del 1942 e “Campo de’ Fiori” del 1943 ed
arriva subito il successo. Ma il neorealismo lo renderà celebre nel mondo
attraverso il film di Roberto Rossellini: “Roma città aperta” del 1945.
Seguono molti altri film che
ingrandiscono la sua popolarità. Negli anni ’50 è lui stesso regista di nove
film e nel teatro è memorabile la sua interpretazione del boia di Roma, Mastro
Titta, nel Rugantino di Garinei e Giovannini (anni ’60).
Ottiene il Nastro d’Argento come
miglior attore non protagonista del film di Ettore Scola “C’eravamo tanto
amati”, basato sugli ultimi giorni dell’occupazione di Roma da parte delle
milizie naziste alla fine della seconda guerra mondiale.
Gli piaceva mangiare e scherzava
sul suo fisico imponente, evidente prova della sua passione per il cibo,
principalmente per i piatti caratteristici della cucina romana; testimoniano
questa sua passione due raccolte di poesie, “La Pastasciutta” del 1971 e “Nonna
Minestra” del 1974.
Nel 1983 muore la moglie
Reginella e dal quel momento si chiude sempre di più in casa.
Il 2 aprile del 1990 Aldo Fabrizi
muore. Aveva da pochi giorni ricevuto un David di Donatello alla carriera.
Fabrizi è considerato
uno dei migliori comici romani, l’anima di Roma; in quanto si trovava
perfettamente a suo agio nei ruoli brillanti così come in quelli drammatici.
Del popolo romano l’attore ha canzonato, in oltre cinquant’anni di carriera,
cattive abitudini e debolezze, con quella sua comicità cinica e senza
illusioni.
MACARIO
Erminio Macario nasce a Torino il 27 maggio 1902; le condizioni economiche
della famiglia lo costringono a lasciare la scuola per lavorare. Comincia a
recitare fin da bambino nella compagnia filodrammatica della scuola; a diciotto
anni entra a far parte di una compagnia che si esibisce nelle fiere paesane. L'anno di esordio nel teatro di
prosa è il 1921.
E' il 1925 quando viene
notato dalla grandissima Isa Bluette che lo chiama a far parte della sua
compagnia di rivista. Erminio Macario si costruisce nel tempo una comicità
personale e una maschera clownesca le cui caratteristiche più appariscenti sono
un ciuffo di capelli sulla fronte, gli occhi arrotondati e la camminata
ciondolante; i suoi personaggi sono caratterizzati inoltre da un adattamento
del dialetto torinese.
Interprete di una
comicità dal candore surreale, Macario incarna la maschera di una comicità
innocente. Accanto alla Bluette Macario intuisce che il successo di uno
spettacolo consiste soprattutto nella presenza sulla scena di donne avvenenti,
belle e soprattutto dalle gambe lunghe. Il comico è ben consapevole
dell'efficacia del contrasto tra il candore e la semplicità della propria
maschera e il sottinteso erotico delle belle soubrette che lo affiancano sulla
ribalta, sfilando seminude in una nuvola di cipria, per la gioia degli sguardi
del pubblico.
Nascono così le famose "donnine" che si chiameranno via via, Wanda Osiris, Tina De Mola, Marisa Maresca,
Lea Padovani, Elena Giusti, Isa Barzizza, Dorian Gray, Lauretta Masiero, Sandra Mondaini, Marisa Del Frate.
Nel 1930 Macario forma una sua compagnia di avanspettacolo con cui girerà
l'Italia fino al 1935. Il comico è minuto, scompare tra le sue donnine; la sua
parlata dialettale che inciampa nelle consonanti decreta il suo successo: viene
consacrato come "Re della rivista". Nel 1937 scrittura Wanda Osiris insieme alla quale mette in scena una delle prime commedie musicali
italiane, "Piroscafo giallo" di Ripp e Bel-Ami, debuttando al Teatro
Valle di Roma.
Nel 1938 nasce il grande
amore per la bellissima sedicenne Giulia Dardanelli che ben presto diviene la
sua seconda moglie.
Parallelamente, ad una prima e sfortunata esperienza cinematografica con
"Aria di paese" (1933), fa seguito nel 1939 il grande successo di
"Imputato, alzatevi" diretto da Mario Mattoli e sceneggiato da grandi
umoristi come Vittorio Metz e Marcello Marchesi.
Per tutti gli anni '40 Macario sforna in teatro un successo dietro l'altro.
Memorabili restano le riviste "Febbre azzurra" (1944-45), scritta in
collaborazione con l'inseparabile Mario Amendola, "Follie d'Amleto"
(1946), "Oklabama" (1949) e tante altre. Nel 1951 il comico conquista
anche Parigi con "Votate per Venere" di Vergani e Falconi, grande e
lussuosa rivista femminile. Tornato a Roma, Macario tenta di estendere le sue
attività alla produzione cinematografica, realizzando il film "Io, Amleto"
(1952). Questa sua idea però fallisce e il film è un disastro. Nonostante
l'esito fallimentare non si da per vinto e riscuote con le sue riviste
successive un grande successo di pubblico. C'è né una che lo ricompensa
ampiamente con successo di incassi di oltre un milione di lire al giorno: è la
rivista "Made in Italy" (1953) di Garinei e Giovannini, che segna il
suo ritorno in coppia con la "divina" Wanda Osiris.
Dalla metà degli anni '50 le riviste cedono il posto alle nuove commedie
musicali e si affermano nuovi gusti e tendenze. Il comico piemontese si
dedicherà alla commedia musicale accanto a grandissime primedonne qualiSandra Mondaini e Marisa Del Frate con le quali realizza indimenticabili spettacoli come
"L'uomo si conquista la domenica" (1955), "E tu, biondina"
(1957) e "Chiamate Arturo 777" (1958).
Nel 1957 il cinema gli offre una grande prova: il regista e scrittore Mario Soldati lo vuole nel film "Italia piccola", nel quale Macario si offre
nell'inconsueto ruolo di attore drammatico, dimostrando ancora una volta una
notevole versatilità. Il regista da così modo al comico di dimostrare una volta
di più che dietro alla sua maschera si nasconde un attore completo e dalle
grandi potenzialità. Da allora tornerà spesso sullo schermo, soprattutto
accanto all'amico Totò, col quale gira sei film
campioni di successo al botteghino.
Macario accetta quel pacchetto di lavoro per stare vicino a Totò che in difficoltà con la vista, esprime il desiderio di avere al suo fianco
l'amico fidato con cui stabilire, in totale tranquillità d'animo, le battute,
le gag e le scenette. Impegna gli ultimi anni nella creazione di un suo teatro
in via Maria Teresa, a Torino: nel 1977
decide di inaugurarlo misurandosi col grande Molière, realizzando un'esilarante
rivisitazione della commedia "Il medico per forza", ma le lungaggini
burocratiche gli impediranno la realizzazione di questo sogno. Anziano,
continua la sua attività teatrale: l'ultima replica dello spettacolo
"Oplà, giochiamo insieme" è del gennaio 1980. Durante la
rappresentazione Erminio Macario accusa un malessere che si scoprirà essere un
tumore. Si spegne il 26 marzo 1980, nella sua Torino.
RENATO RASCEL
Renato Rascel, al secolo
Renato Ranucci è nato a Torino nel 1912. E' uno dei monumenti del teatro
leggero italiano, purtroppo oggi un po' dimenticato. Nella sua lunghissima
carriera (è morto a Roma nel 1991), ha spaziato dall'avanspettacolo alla
rivista, dalla commedia musicale, all'intrattenimento televisivo e radiofonico,
coprendo in pratica tutti gli spazi che lo spettacolo ha mutevolmente occupato
nell'arco di quasi un secolo.
Si può dire che Rascel lo
spettacolo lo avesse in qualche modo nel sangue, se si tiene in considerazione
il fatto che i suoi genitori erano cantanti d'operetta. Fin da piccolo, quindi,
si ritrovò a calcare i palcoscenici di compagnie filodrammatiche e teatrali,
senza trascurare generi più "nobili" come il coro di voci bianche
allestito dal compositore don Lorenzo Perosi (un altro illustre dimenticato
della smemorata Italia).
Dotato di una carica
umana non indifferente e di una simpatia travolgente, fa le sue prime esperienze
importanti poco più che adolescente. Suona la batteria, balla il tip-tap e,
appena diciottenne, prende parte al trio delle sorelle Di Fiorenza come
cantante e ballerino. Nel 1934 viene notato dagli Schwartz e debutta, come
Sigismondo, in "Al Cavallino bianco" . Poi torna con le Di Fiorenza,
e poi con Elena Gray e parte per una tournée in Africa. A partire dal 1941
fonda uan compagnia propria, insieme a Tina De Mola, allora sua moglie, con
testi di Nelli e Mangini, di Galdieri e infine di Garinei e Giovannini.
Grazie a queste
esperienze ha la possibilità di mettere a punto un suo personaggio
caratteristico, quello per cui sarà di fatto riconosciuto dal pubblico in modo
infallibile. Si tratta della macchietta del piccoletto mite e distratto,
stralunato e quasi inadatto a stare al mondo. Elabora sketch e canzoni che sono
autentici capolavori del genere della Rivista, in compagnia di sodali e amici
rimasti poi nel tempo (su tutti, Marisa Merlini, e gli immancabili autori
Garinei e Giovannini). Nel 1952 è la volta di uno spettacolo che otterrà un
clamoroso successo e che lo conferma una volta di più beniamino del pubblico.
Si tratta di "Attanasio cavallo vanesio", a cui farà seguito
"Alvaro piuttosto corsaro" altro successo travolgente. Sono
spettacoli che vanno in scena in un'Italia segnata dalla fine dell'ultima
guerra mondiale, vogliosa di svago e di divertimento ma che non dimentica gli
episodi amari e il sarcasmo. Rascel continua sulla stessa strada, sfornando
titoli con continuità, tutti segnati dal suo stile raffinato e candido. Eccolo
applaudito in "Tobia la candida spia" (i testi continuano a essere di
Garinei e Giovannini), "Un paio d'ali" (uno dei sui maggiori successi
in senso assoluto) e, nel 1961, "Enrico" studiato con i soliti fidati
autori per celebrare il centenario dell'unità d'Italia. Da segnalare, ad ogni
modo, che i rapporti di Rascel con Garinei e Giovannini, al di là delle
apparenze e della solida stima, non sono mai stai propriamente idilliaci.
Per quanto riguarda il
cinema, l'attività di Rascel prende il via nel 1942 con "Pazzo
d'amore", per proseguire in tutti gli anni '50 con una serie di titoli non
proprio memorabili. In queste pellicole, infatti, l'attore tende a ripercorrere
pedissequamente gli sketch e le macchiette applaudite a teatro, senza un vero
sforzo inventivo e senza tener conto delle peculiarità del nuovo e diverso
mezzo di comunicazione.
Fanno eccezione "Il cappotto" (tratto da Gogol'), non a caso girato
sotto la regia di Alberto Lattuada o "Policarpo ufficiale di
scrittura", diretto da un altro mostro sacro del macchina da presa (nonché
della letteratura), Mario Soldati. Da segnalare la grande
interpretazione di Rascel nei panni del cieco Bartimeo nel "Gesù di Nazareth" di Zeffirelli. Si è trattato di un
"cammeo" reso da Rascel con tono estremamente drammatico e commovente
senza essere patetico.
Una curiosità derivata da
tale partecipazione è rappresentata dal fatto che nelle piscine di Lourdes è
ora effigiata in un mosaico proprio quella scena, utilizzando come modelli
l'attore americano Powell (che nel film era Gesù), e proprio Rascel nei panni
del cieco.
Infine, l'attività
musicale. Si tende a dimenticare che Rascel ha scritto moltissime canzoni,
alcune della quali sono entrate di diritto nel repertorio popolare e hanno
avuto diffusione in tutto il mondo. Fra i molti titoli, "Arrivederci
Roma", "Romantica", "Te voglio bene tanto tanto",
"E' arrivata la bufera" ecc.
Infiniti i programmi alla radio che sarebbe lunghissimo ricordare. Per la
televisione invece ha interpretato "I Boulingrin" di Courteline e
"Delirio a due" di Ionesco e nel '70, sempre in tv, "I racconti
di padre Brown" da Chesterton. Inoltre ha scritto le
musiche per l'operetta "Naples au baiser de feu". Anticipatore della
comicità surreale, Rascel ha rappresentato il versante nobilmente popolare
della commedia, capace di piacere a tutti senza mai cadere nella volgarità o
nel facile qualunquismo.
PEPPINO DE FILIPPO
Fratello minore di Titina
ed Eduardo, figlio naturale di Eduardo Scarpetta e
Luisa De
Filippo, esordisce giovanissimo nella compagnia diVincenzo Scarpetta, ma ben presto la sua
inquietudine lo porta a passare in formazioni dialettali secondarie, dove ha
modo di farsi le ossa. Dopo aver raggiunto una certa fama, agli inizi degli
anni '30 decide di formare - assieme ad Eduardo e Titina - la compagnia del
Teatro Umoristico I De
Filippo, destinata a riscuotere grandi successi grazie a commedie scritte da
loro stessi (la più celebre delle quali resta la straordinaria Natale in casa Cupiello): il sodalizio dura sino al 1944, sempre sostenuto da un
enorme consenso di pubblico.
Peppino fa il suo esordio nel cinema, assieme ad
Eduardo, con Tre uomini in frack (1932) di Mario
Bonnard: sino al '44, saranno rare le occasioni in cui compare da solo.
Finita la seconda guerra mondiale, divisi i suoi destini da quelli di famiglia,
egli intraprenderà una propria strada autonoma sia in teatro sia al cinema: sul
grande schermo, in verità, concedendosi sovente a prodotti commerciali poco
adatti a metterne in luce le non comuni qualità. Fanno eccezione Luci del varietà (1950) di Fellini/Lattuada, dove è uno straordinario
capocomico; Policarpo,
ufficiale di scrittura (1959)
di Mario
Soldati, in cui indossa i panni d'un pignolo capoufficio; Le
tentazioni del dottor Antonio, episodio di "Boccaccio '70"
(1961) ancora firmato da Fellini, che lo vede ragioniere moralista e bigotto.
Ma i risultati migliori li ottiene senza dubbio nel sodalizio quasi decennale
con Totò, che produce tra il '55 ed il '63 ben 14 pellicole: l'unico Nastro
d'argento della sua carriera gli viene assegnato quale attore non protagonista
per Totò, Peppino e
i fuorilegge(1956).
Successivamente, si dedica al palcoscenico ed alla riduzione per la televisione
di alcuni suoi testi teatrali; conoscendo, in tivvù, un momento di eccezionale
popolarità col personaggio di Gaetano Pappagone, nella "Canzonissima"
1966-67.
(fonte internet)
Tra gli altri dello stesso periodo, ricordiamo anche: Paolo Panelli, Alighiero Noschese, Carlo Dapporto e Nino Taranto.
Vi aspettiamo per la seconda parte...