venerdì 30 novembre 2012

GRAZIA DELEDDA: SENSIBILITÀ E INTROSPEZIONE

PREMIO NOBEL NEL 1926, QUESTA SCRITTRICE CI RICORDA DA VICINO JORGE AMADO, CON I PERSONAGGI TIPICI DI QUESTE TERRE, LE AMBIENTAZIONI, I COLORI: SARDEGNA E BAHIA SONO PIÙ ...VICINE.







Maria Grazia Cosima Deledda (Nuoro, 27 settembre 1871 – Roma, 15 agosto 1936) è stata una scrittrice e traduttrice italiana, vincitrice del Premio Nobel per la letteratura nel 1926.
Nacque a Nuoro in Sardegna, quinta di sette tra figli e figlie, in una famiglia benestante. Il padre, Giovanni Antonio, era un imprenditore e agiato possidente; fu poeta improvvisatore e sindaco di Nuoro nel 1892. La madre, Francesca Cambosu, era una donna religiosissima e allevò i figli e le figlie con estremo rigore morale. Dopo aver frequentato le scuole elementari, Grazia Deledda venne seguita privatamente da un professore ospite di una parente della famiglia Deledda che le impartì lezioni di italiano, latino e francese (i costumi del tempo non consentivano alle ragazze un'istruzione oltre quella primaria e, in generale, degli studi regolari). Successivamente approfondì, da autodidatta, gli studi letterari. Il suo itinerario rimane sempre assai personale, senza scosse, senza forti mutazioni di rotta e bruschi aggiornamenti, anche dopo il trasferimento, nel 1900, a Roma, dove risiede per il resto della sua vita.
A 24 anni pubblicò il suo primo romanzo: "Anime oneste" e collaborò con diverse riviste. Nel 1900, sposò Palmiro Madesani, funzionario del Ministero delle Finanze, conosciuto a Cagliari e si trasferì a Roma dove rimase per il resto della sua vita.
La sua opera fu apprezzata da Luigi Capuana e Giovanni Verga e fu presto confermata come scrittrice, riconosciuta e stimata anche all'estero.
Il sapore vagamente verista della sua produzione le procurò le antipatie degli abitanti di Nuoro, in cui le storie erano ambientate. I suoi concittadini erano infatti dell'opinione che descrivesse la Sardegna come terra rude, rustica e quindi arretrata. In realtà non era intenzione della Deledda assumersi un impegno sociale come quello che spesso caratterizzò il Verismo. Il realismo della Deledda assorbe e in certa misura, metabolizza anche ciò che contraddice al realismo. Sogno, magia, religione, pesano sugli eventi quanro e più delle cause sociali ed economiche. Parallelamente, la ricerca di um bello scrivere mediano, affine a um livello discorsivo colto, ma senza dimenticare di qualche classicismo, fa sì che le pagine della Deledda, anche quelle più nude, appaiano piene di apporti, denunciando uma sorta di horror vacuo, di perenne inglobazione di elementi.
In una sua lettera scrive: "Leggo relativamente poco, ma cose buone e cerco sempre di migliorare il mio stile. Io scrivo ancora male in italiano - ma anche perché ero abituata al dialetto sardo che è per se stesso una lingua diversa dall'italiana".
Quella della Deledda era una scrittura moderna che ben si adattava alla narrazione cinematografica, infatti dai suoi romanzi vennero tratti diversi film già nei primi anni dieci del XX secolo.
La relazione tra la Deledda e i russi è ricca e profonda, legata principalmente a Tolstoj, si inoltra nel mondo complesso anche degli altri contemporanei: Gor'kij, Anton Čechov e quelli del passato più recente, Gogol', Dostoevskij e Turgenev.
Grazia Deledda (1871-1936) è scrittrice fondamentale nella storia della letteratura italiana del Novecento; è quindi censita in Le Autrici della Letteratura Italiana.
Opere principali:

Racconti sardi (1895)
Anime oneste (1895)
La via del male (1896)
Elias Portolu (1900)
Cenere (1903)
Nostalgie (1905)
L'edera (1908)
Canne al vento (1913)
Marianna Sirca (1915)
La madre (1920)
La fuga in Egitto (1925)
Il sigillo d'amore (1926)
Annalena Bilsini (1927)
Il paese del vento (1931)
Cosima (1937) pubblicato postumo
Il cedro del Libano (1939) pubblicato postumo
Il pastore delle anatre (1961)
Riduzioni cinematografiche:
Cenere 1916, regia di Febo Mari, con Eleonora Duse.

Il 15 agosto 1936 la Deledda muore a causa di un tumore maligno, lasciando incompiuta la sua ultima opera: Cosima, quasi Grazia.
La sua casa natale, nel centro storico di Nuoro (Santu Predu), è adibita a museo.

giovedì 22 novembre 2012

EMERGENCY: CONTRO LE GUERRE, DOVE SONO LE GUERRE


L’ITALIA SI CONTRADDISTINGUE, ALL’INTERNO DELLA SUA STORIA, PER LA GENEROSITÀ E L’ALTRUISMO CHE DA SEMPRE LA CONTRADDISTINGUONO. 
UNA PROVA SICURA DI QUESTA AFFERMAZIONE È LA 
GRANDE  PRESENZA   DI  ASSOCIAZIONI    UMANITARIE,   ONG, VOLONTARIATO,  ECC.,  SU  TUTTO IL TERRITORIO NAZIONALE.
OGGI CONOSCIAMO EMERGENCY E IL SUO FONDATORE, GINO STRADA.







Emergency è un'associazione umanitaria fondata a Milano nel 1994 per portare aiuto alle vittime civili delle guerre e della povertà. Dal '94 a oggi Emergency ha curato oltre 4.794.000 persone.
Uno su tre era un bambino.


Dal 1994 a oggi, Emergency è intervenuta in 16 paesi, costruendo ospedali, centri chirurgici, centri di riabilitazione, centri pediatrici, posti di primo soccorso, centri sanitari, un centro di maternità e un centro cardiochirurgico. Su sollecitazione delle autorità locali e di altre organizzazioni, Emergency ha anche contribuito alla ristrutturazione e all'equipaggiamento di strutture sanitarie già esistenti. 
Dal 1994 i team di Emergency hanno portato aiuto a 4.794.600 persone (dati al 31 marzo 2012).


Proprio perché conosce gli effetti della guerra, sin dalla sua costituzione Emergency è impegnata nella promozione di valori di pace.
Nel 1994 Emergency ha intrapreso la campagna che ha portato l'Italia a mettere al bando le mine antiuomo. Nel 2001, poco prima dell'inizio della guerra all'Afghanistan, ha chiesto ai cittadini di esprimere il proprio ripudio della guerra con uno "straccio di pace".
Nel settembre 2002 ha lanciato la campagna "Fuori l'Italia dalla guerra" perché l'Italia non partecipasse alla guerra contro l'Iraq.


Con la campagna "Fermiamo la guerra, firmiamo la pace", Emergency ha promosso una raccolta di firme per la legge di iniziativa popolare "Norme per l'attuazione del principio del ripudio della guerra sancito dall'articolo 11 della Costituzione e dallo statuto dell'Onu", depositata alla Camera dei deputati nel giugno 2003.
Nel 2008, insieme ad alcuni paesi africani, Emergency ha elaborato il Manifesto per una medicina basata sui diritti umani per rivendicare una sanità basata sull'equità, sulla qualità e sulla responsabilità sociale.
Nel settembre 2010 ha elaborato il documento "Il mondo che vogliamo", per condividere le idee e i valori che ispirano il suo lavoro.
Emergency è stata giuridicamente riconosciuta Onlus nel 1998 e Ong nel 1999.


Per sostenere gli obiettivi di Emergency su una più ampia scala internazionale, nel 2005 negli Stati Uniti si sono creati alcuni gruppi di volontari che nel 2008 si sono costituiti in associazione riconosciuta (visita Emergency Usa); nel 2007 si è costituita Emergency UK (visita Emergency UK). Tra la fine del 2010 e i primi mesi del 2011 sono nate Emergency Japan e Emergency Svizzera
Dal 2006 Emergency è riconosciuta come Ong partner delle Nazioni Unite - Dipartimento della Pubblica Informazione.
(dal sito emercency.it)



Gino Strada nasce nel 1948. Conseguita nel 1978 la laurea in Medicina presso l'Università Statale di Milano, successivamente si specializza in chirurgia d'urgenza. Durante gli anni della contestazione è uno degli attivisti del "Movimento Studentesco", anche come responsabile nel gruppo di servizio d'ordine della facoltà di Medicina.
Come professionista pratica nel campo del trapianto di cuore fino al 1988, poi Gino Strada indirizza i propri interessi verso la chirurgia traumatologica e la cura delle vittime di guerra. Negli anni tra il 1989 e il 1994 lavora con il Comitato Internazionale della Croce Rossa in varie zone di conflitto: si sposta continuamente tra Pakistan, Etiopia, Perù, Afghanistan, Somalia e Bosnia-Erzegovina.
Questa esperienza sul campo assieme alla sensibilità personale del chirurgo alimentano la motivazione di Gino Strada, assieme ad un gruppo di colleghi, per fondare "Emergency", un'associazione umanitaria internazionale per la riabilitazione delle vittime di guerra e delle mine antiuomo. Dalla sua fondazione che risale al 1994, nei primi 15 anni di attività i pazienti assistiti sono oltre 3 milioni. Tra i fondatori di Emergency c'è anche la moglie Teresa Sarti, morta nel 2009. Gino Strada è è cittadino onorario della città di Empoli (FI) dal 2002 e della città di Montebelluna (TV) dal 2003.
Nel 2006, durante le elezioni del Presidente della Repubblica è stato votato nei primi tre scrutini.
Nel marzo 2007, durante il sequestro in Afghanistan del giornalista de "La Repubblica", Daniele Mastrogiacomo, ha assunto una posizione di rilievo nelle trattative per la sua liberazione.
Durante gli anni di attività Gino Strada ha spesso assunto posizioni critiche nei confronti della politica dei governi italiani - guidati da Romano Prodi e Silvio Berlusconi - accusati da Strada di avere portato l'Italia a intervenire militarmente nei conflitti.
In particolare Strada ha criticato il supporto italiano all'intervento NATO in Afghanistan contro il precedente governo talebano, un atto di guerra contro la popolazione afghana secondo Emergency, in aperta violazione della Costituzione della Repubblica Italiana.
Tra i libri pubblicati ricordiamo "Pappagalli verdi: cronache di un chirurgo di guerra" (1999), "Buskashì. Viaggio dentro la guerra" (2002), "La guerra giusta" (2005, con Howard Zinn).
In questo video: Gino Strada: “la guerra, la più grande vergogna del genere umano” :  http://youtu.be/rZGNCGe-flc




domenica 18 novembre 2012

FRATELLI POMODORO: SCULTURA CONTEMPORANEA

I FRATELLI POMODORO SONO TRA I PIÙ GRANDI SCULTORI MODERNI. LE LORO OPERE HANNO RAGGIUNTO UNA FAMA MONDIALE. CONOSCIAMOLI MEGLIO...






Arnaldo Pomodoro, nato a  Morciano di Romagna (Rimini) il 23 giugno 1926 ed il fratello Giò Pomodoro, nato nel “paese dei cordai” a Orciano di Pesaro il 17 novembre del 1930, entrambi scultori italiani di fama mondiale, dopo l’infanzia passata nella bella campagna marchigiana, nel 1945 si trasferiscono con la famiglia a Pesaro.

Dopo gli studi creano monili, pezzi astratti di oreficeria, piccole sculture in oro e argento che lasciano intravedere valide premesse per una nuova scultura, lontana dalle forme tradizionali.

Nel 1954, dopo la morte del padre, Arnaldo e Giò si trasferiscono con la famiglia a Milano,  cominciano a frequentare l'ambiente artistico di Brera, in particolare Lucio Fontana, Enrico Baj, Umberto Milani, Emilio Scanavino, Gianni Dova e Ugo Mulas e ad esporre le loro opere.

Nel 1956 vengono invitati alla Biennale di Venezia per esporre nella sezione della medaglistica, qui Giò Pomodoro presenta una serie di argenti fusi in osso di seppia eseguiti nei due anni precedenti.

L'anno dopo, la Triennale di Milano incarica Arnaldo e Giò Pomodoro di organizzare un'esposizione sperimentale di opere d'oreficeria disegnate da artisti italiani ed eseguite da artigiani orafi di Valenza; a questa mostra Arnaldo e Giò Pomodoro presenteranno a fianco dei lavori orafi, rilievi modellati nel ferro, stagno, piombo, argento, cemento e bronzo.

L'uso di questi materiali inediti testimonia la ricerca e la volontà dei fratelli Pomodoro di sperimentare nuovi mezzi formali ed espressivi.

Nel 1958 dopo essersi sposato Giò Pomodoro tiene la sua prima Mostra Personale a Milano alla Galleria del Naviglio, Mostra Personale che ripropone a Bruxelles, Dusseldorf ed a Colonia.

 L'anno dopo, alla Prima Biennale Giovani di Parigi, propone una superficie in tensione fusa in bronzo e vince il primo premio per la scultura con lo scultore Anthony Caro.

Nel 1960 i fratelli Pomodoro aderiscono insieme a Perilli, Turcato, Dorazio, Fontana, al Gruppo «Continuità», uno dei più importanti gruppi nella ricerca astratta tra materia e segno.

Nel 1963, il Palais des Beaux Arts di Bruxelles ospita una mostra personale di Giò Pomodoro che, nel 1964, espone alla Galleria Marlborough di Roma, nel 1965 a Copenaghen e poi ancora a New York nel 1967 ed a Los Angeles nel 1969.

Nel 1970 Arnaldo Pomodoro espone le sculture Forma X e Onda nella piazzetta antistante la Galleria Manzoni a Milano, poi torna ad insegnare a Berkeley, da dove parte una grande mostra itinerante che toccherà San Diego, Portland, Austin, Hartford.

Nel 1971 altra mostra di Arnaldo Pomodoro all’aperto, a Pesaro. Il Comune di Bologna installa sue sculture nel centro storico, collocate poi nell’ingresso della Galleria Nazionale d’Arte Moderna.

Su commissione del Comune di Modena Arnaldo  Pomodoro realizza l'opera "Una battaglia: per i partigiani"  in ricordo della Resistenza. 

Progetta per la sede della casa editrice Mondadori a Segrate (Milano) la scultura "Colonna a grandi fogli", mentre torna alla scenografia con Luca Ronconi.

Dalla dimensione del rilievo, Arnaldo Pomodoro passa, negli anni Settanta, alla complessità spaziale e materica della forma a tutto tondo e realizza, nel 1963, la sua prima sfera. 

Riceve il "Premio Internazionale per la Scultura" alla Biennale di San Paolo del Brasile; l'ispirazione di questo periodo deriva dalle forme perfette di Brancusi.

La perfezione della forma provoca in lui, anche sotto l'influenza del mondo tecnologico e dell'action painting di Jackson Pollok, una pulsione distruttiva: la forma perfetta viene fatta a pezzi.

Nel 1979 a Giò Pomodoro viene commissionata la realizzazione, a Francoforte, della piazza Fontana, dedicata a Goethe, inaugurata poi nel 1983.

Intanto nel 1980 realizza a Ravenna il “Ponte dei Martiri alla resistenza” e nel 1982 la “Spirale” per l’aeroporto di Malpensa.

Giò Pomodoro espone a Londra alcune sue opere, proseguendo la sua instancabile azione creativa  con “Sole -Luna- Albero” per la città di Monza nel 1986.

Negli stessi anni Arnaldo Pomodoro esegue grandi opere per la Sudameris Bank di San Paolo del Brasile, per la Berkeley Library del Trinity College dell’Università di Dublino e per il Mills College di Oakland.

Realizza il libro-oggetto "De-cantare Urbino", con poesie di Miklos N. Varga, progetta scene e costumi per il teatro, espone a New York, colloca una grande "Sfera con sfera" nel  Principato di Monaco.

Crea un’opera grafica "Pensiero visivo" per due poemetti di Paolo Volponi nel libro "Lungo la traccia" (Edizioni Rizzardi).

La scultura di Arnaldo Pomodoro è dominata da un rigoroso "ésprit de Géometrie" per cui ogni forma è ridotta all'essenzialità volumetrica della sfera, del cubo, del cilindro, del cono, del parallelepipedo e di altri solidi nettamente tagliati e ricollocati in schiere o segmenti di schiere rettilinee o circolari paragonabili alle rapide successioni delle note in una composizione musicale o ad ingranaggi di misteriosi macchinari nascosti nell'interno di massicci contenitori (globi, colonne continue, cubi, dischi) e resi parzialmente visibili dagli squarci e dai tagli che rompono le lisce superfici di questi.

Nel 1991 è stato collocato davanti al Palazzo della Gioventù a Mosca il "Disco Solare" di Arnaldo Pomodoro, dono della Presidenza del Consiglio all’Unione Sovietica.

Nel 1992 è stata installata un’opera di grandi dimensioni "Papyrus" nei giardini del nuovo Palazzo delle Poste e Telecomunicazioni a Darmstadt in Germania.

Nel 1995 Arnaldo Pomodoro ha realizzato per incarico del Comune di Rimini, una scultura in memoria di Federico Fellini.

L'anno dopo è stata collocata nel piazzale delle Nazioni Unite a New York l’opera "Sfera con sfera " del diametro di metri 3,30 e nel 1998 ha ricevuto l’incarico di realizzare il portale del Duomo di Cefalù.

Negli ultimi anni Giò Pomodoro torna a Milano ad esporre le sue opere e riceve, nell’aprile del 2002, dalla International Sculpture Center degli Stati Uniti, il premio alla carriera, "Lifetime Achevement Award Contemporany Sculpture 2002”, un premio davvero meritato per un artista di grande caratura.

Anche se da anni  il maestro Giò Pomodoro lavorava e risiedeva a Querceta, in Versilia, dopo una lunga degenza in ospedale per una grave malattia, esprime il desiderio di morire fra le sue opere; così trasportato a Milano muore nel suo studio il 10 Dicembre 2002.

Al paese della sua infanzia Gio’ Pomodoro ha voluto lasciare uno dei ricordi più belli: la piazza che ora prenderà il suo stesso nome, sullo stesso luogo dove un tempo sorgeva la sua casa natale.

Al centro della Piazza la scultura del "Sole deposto" e altre opere come  "La corda" e "l'Orcio" ai lati dell'ingresso-fronte principale.

La produzione di Arnaldo Pomodoro è notevolissima, sue opere sono presenti nelle piazze di Milano, Copenaghen, Brisbane, di fronte al Trinity College dell’Università di Dublino, al Mills College in California, nel Department of Water and Power di Los Angeles, nel Cortile della Pigna dei Musei Vaticani, nei giardini, nelle fontane e negli edifici pubblici del mondo.


Alcune opere di Giò Pomodoro nel video qui sotto:



martedì 13 novembre 2012

LA CANZONE AL FEMMINILE: DALL'ITALIA AL BRASILE... UN AMORE INDISSOLUBILE


Grazie al suggerimento dell’amico Ivanilson, ho trovato quattro grandi interpreti femminili di musica italiana che hanno avuto collaborazioni con colleghi brasiliani in questi ultimi 50 anni. L’amore e le affinità tra i due paesi sono molte e non li scopriamo certamente adesso. Vediamo un po’ più in dettaglio di chi stiamo parlando. Vi consiglio vivamente di ascoltare i riferimenti video, per ogni artista.



SAMBA DELLA ROSA Ornella Vanoni Vinicius de Moraes e Toquinho (Letra)



Ornella Vanoni
Grande voce e interpretazione.

Figlia d'un industriale farmaceutico, studia all'estero in collegi di lusso. Nel 1953, tornata in Italia, s'iscrive alla Scuola d'arte drammatica del Piccolo Teatro di Milano diretta da Giorgio Strehler, con il quale stabilisce un rapporto sentimentale. E' in questo periodo che comincia a farsi notare con le cosiddette "canzoni della mala": pubblicati a partire dal 1958 su due EP, brani come "Ma mi", "Senti come la vusa la sirena" (il suo 45 giri d'esordio), "Hanno ammazzato il Mario" e "Le mantellate" costituiscono il suo repertorio di quegli anni e vengono da lei eseguite nel ‘59 al Festival dei Due Mondi di Spoleto. Finita l'esperienza con Strehler, la Vanoni si accosta all'universo dei cantautori: il suo rapporto amoroso e artistico con Gino Paoli segna una tappa importante della sua carriera, contraddistinta da canzoni quali "Senza fine" (1961) e "Che cosa c'è" (1963). E' del ‘61 il suo album di debutto, come la sua prima volta in gara al Festival di Sanremo, con "Cercami"; nel ‘63 partecipa invece al "Rugantino" di Garinei, Giovannini, Troavajoli, da cui ricava un 45 giri poi divenuto celeberrimo, "Roma nun fa' la stupida stasera". Gli anni seguenti segnano il raggiungimento del grande successo popolare, con "Tu si' na cosa grande" (1964), "Io ti darò di più" (1966), "La musica è finita" (1967) e "Tristezza" (1967). Il suo status di signora della canzone è consacrato da una serie di concerti al Teatro Lirico di Milano e dai due 33 giri "Ai miei amici cantautori" (1969-70), con titoli di Modugno, Bindi, Paoli, Lauzi, Tenco oltre a grandi firme francesi ed anglosassoni, da Trenet a Donovan. 
Il tutto è fotografato in un meraviglioso disco dal vivo, "Ah! L'amore, l'amore, quante cose fa fare l'amore!" (1971), che contiene il suo pezzo forse più noto, "L'appuntamento" di Roberto Carlos. Di qui in avanti, non si contano gli esiti commercialmente ed artisticamente eccellenti del suo percorso. Qui ci limitiamo a ricordare solo alcuni tra i momenti più significativi: l'ellepì "Dettagli" (1973) e la canzone omonima; l'incontro con Sergio Bardotti; "La voglia, la pazzia, l'incoscienza e l'allegria" (1976), il suo disco dedicato al Brasile di Toquinho e Vinicius de Moraes; la bella trilogia formata da "Ricetta di donna" (1980), "Duemilatrecentouno parole" (1981) ed "Uomini" (1982), con chicche come "Musica musica", "Vai Valentina", la suggestiva versione italiana di "Famous blue raincoat" di Leonard Cohen firmata da Fabrizio De André; "Ornella &..." (1986), un doppio con classici nostrani registrato negli Usa con jazzisti del calibro di Gil Evans, Herbie Hancock, George Benson e Gerry Mulligan. Poi, certo, ci sono pure i troppi dischi di cover dell'ultimo decennio, il tour celebrativo e un po' furbo in coppia con Gino Paoli; ma si tratta in fin dei conti di peccati veniali, pecche perdonabili ad un'interprete tra le più importanti della musica leggera, non solamente indigena.
 Ornella Vanoni & Toquinho ♪ Album:  “La Voglia, La Pazzia, l’incoscienza, l’allegria” 

http://youtu.be/ghrXzueZbNg


MINA
La cantante italiana più famosa al mondo (prima che arrivasse Laura Pausini), a partire dalla seconda metà degli anni ’50. Voce unica, inarrivabile.

Presto trasferitasi a Cremona, non mostra da piccina grandi velleità musicali. Solo nell'adolescenza comincia a muoversi nell'ambiente: esibendosi alla guida d'un gruppo denominato gli Happy Boys, nel 1958 viene notata dal discografico Davide Matalon che ne promuove il debutto, facendole incidere due brani in inglese ("Be Bop a Lula", "When") con lo pseudonimo di Baby Gate e due in italiano ("Non partir", "Malatia") col nome d'arte di Mina. Si tratta di interpretazioni assai ortodosse, che non hanno speciali esiti. Con un nuovo complesso, i Solitari, appare durante una puntata di "Lascia o raddoppia": la sua esecuzione di "Nessuno", proposta in precedenza da Wilma De Angelis, ne evidenzia da subito le particolari doti canore. Sfruttando il vento favorevole, la giovane cantante compare in altre trasmissioni televisive e in un film di Lucio Fulci, "Urlatori alla sbarra" (1959), che si occupa del fenomeno. La verve dell' artista principia ad evidenziarsi alle prese con brani ritmati, da "Tintarella di luna" (1959) a "Una zebra a pois" (1960), ma riluce particolarmente nella sua versione di "Sapore di sale" (1963), composta da Gino Paoli e da lei resa in maniera superba. Partecipa a "Canzonissima 1960", a vari festival di Sanremo (in verità, senza troppa fortuna), a "Studio Uno" (ove esegue una "Summertime" memorabile): le sue cover di pezzi stranieri, da "Città vuota" ("It's a lonely town") sino a "Un anno d'amore" ("C'est irreparable"), surclassano poi gli originali e rendono l'idea di un'epoca meglio di qualunque libro o film. E' il suo periodo più felice e fecondo: titoli quali "E se domani" (1964) o "Se telefonando" (1966) diventano subito dei classici; sulla scia di tanto successo, Mina fonda una propria etichetta, la PDU. Nel 1967 incide "La canzone di Marinella" d'un ancora poco noto Fabrizio De André; l'anno successivo è la volta del suo primo 33 giri dal vivo, registrato alla Bussola di Viareggio. I ‘70 la vedono consolidare il proprio rapporto con la premiata ditta Mogol-Battisti, cui deve alcune delle sue cose più belle, da "Insieme" (1970) a "Amor mio" (1971): ma la vetta della hit-parade la raggiunge con "Grande, grande, grande" (1971) di Tony Renis e Alberto Testa, già rifiutata da altre sue colleghe. Nel 1973 inizia la tradizione del suo doppio album natalizio: si parte con "Amanti di valore" (1973), cui fa seguito "Frutta e verdura" (1974). Da questo momento in avanti, il percorso di Mina diviene più prevedibile: ritiratasi dalle scene nel 1978, la "tigre di Cremona" si ritaglia un ruolo da star del panorama nostrano, fondato solo sulla sua classe. Trent'anni di superba routine, talvolta illuminati da qualche capolavoro (a dirne uno, "Mina quasi Jannacci" nel ‘77): ma la stagione rivoluzionaria, la strepitosa giovinezza artistica sono oramai dietro le spalle. 

A metà degli anni sessanta e inizi anni ’70, sono frequenti le sue esibizioni in Brasile, soprattutto a Rio e Bahia, provocando il delirio degli spettatori.

Mina abbandona l’italia e la televisione nel 1978, si rifugia nella tranquilla Lugano in Svizzera: non si riconosce più in una TV sempre più “sporca e interessata” e un Paese che si sta autodistruggendo sia politicamente, sia economicamente. Non si sente più italiana.
Inciderà ancora qualche disco, senza, però, farsi più vedere.



Fiorella Mannoia
Voce meravigliosa, a tratti malinconica. Donna bellissima.

Iscritta bambina a numerosi concorsi musicali, si guadagna da vivere al contempo come stunt-girl (controfigura di Monica Vitti, è pure coprotagonista dello spaghetti-western "E il terzo giorno arrivò il corvo"). A 13 anni arriva in finale a Castrocaro eseguendo un brano di Celentano, "Un bimbo sul leone"; nel ‘69 partecipa al Disco per l'Estate, assieme a Peppino De Capri, con "Gente qua, gente là". Nessuno la nota, ed andrà così per oltre un decennio: solo nel 1980, grazie al duetto con Pierangelo Bertoli de "Il pescatore", ottiene qualche riscontro. 
L'anno dopo, partecipa a Sanremo con "Caffè nero bollente"; nell'84 è di nuovo sul palcoscenico dell'Ariston per "Come si cambia", poi diviene nota alla platea della televisione grazie al programma di Canale 5 "Premiatissima", che vince con una serie di cover - poi raccolte in un disco - di canzoni d'autore, culminante nella "Margherita" di Riccardo Cocciante. Il biennio 1987-88 è cruciale per l'artista: nelle due edizioni presenta, infatti, a Sanremo "Quello che le donne non dicono" di Enrico Ruggeri e poi "Le notti di maggio" di Ivano Fossati, entrambe vincitrici del premio della Critica, oltre che fiori all'occhiello in "Canzoni per parlare" (1988). Di qui in avanti, è un ininterrotto crescendo: da "Di terra e di vento" (1989), che si aggiudica la targa Tenco ed include la stupenda "Oh che sarà" di Chico Buarque, a "I treni a vapore" (1992), con la magnifica title track di Ivano Fossati. "Gente comune" (1994) contiene adattamenti da Caetano Veloso ("Il culo del mondo") e Tom Waits ("Non voglio crescere più") di eccellente qualità; tre anni più tardi, "Belle speranze" (1997) ne conferma l'eccellenza d'interprete, grazie a pezzi quali "Il miracolo" degli Avion Travel e "Il fiume e la nebbia" di Daniele Silvestri. Con il seguente doppio dal vivo, "Certe piccole voci" (1998), ella guadagna l'ennesima targa Tenco e ripercorre interamente la sua carriera, aggiungendo al repertorio perle quali "L'amore con l'amore si paga", ancora del prediletto Ivano Fossati, e "Sally", piccolo gioiello di Vasco Rossi. Nel 2001 licenzia "Fragile", con riletture di Paolo Conte ("Come mi vuoi?") e di Francesco De Gregori ("L'uccisione di Babbo Natale"). Dopo il trionfale tour nel 2002 con De Gregori, Ron e Pino Daniele (immortalato in un doppio cd), giunge il terzo disco dal vivo, "Concerti" (2004), con "Metti in circolo il tuo amore" di Ligabue e "Clandestino" di Manu Chao.
Parecchio intensa l'attività discografica recente: "Onda tropicale" (2006) è omaggio alla musica popolare brasiliana, in cui duetta con Nascimento, Gilberto Gil, Chico Buarque e Carlinhos Brown;
"Canzoni nel tempo" (2007) una raccolta delle sue canzoni più conosciute, con versioni di "Dio è morto" di Francesco Guccini e di "Io che amo solo te" di Sergio Endrigo; "Il movimento del dare" (2008) il primo album d'inediti dopo sette anni di pausa; "Ho imparato a sognare" (2009) una raccolta di titoli di vari autori - da Lucio Battisti a Tiziano Ferro, da Renato Zero a Cesare Cremonini - rivisitati dalla superba voce della "roscia".
 Fiorella è parte attiva di Axe, un Progetto educativo che in Brasile ogni anno raccoglie dalla strada più di mille bambini e adolescenti attraverso la musica, la danza e l’arte in generale. 

Fiorella Mannoia & Djavan - Senza un frammento (Onda tropicale):

http://youtu.be/mqkkTu8zZiU


Laura Pausini 

La più popolare in Brasile

Laura Pausini comincia a cantare, a otto anni, con il suo papà nei locali di piano bar.
Quando registra il suo primo album "I sogni di Laura", ha solo tredici anni e contiene tredici brani, di cui due scritti da lei, ma firmati dal padre perché troppo giovane, mentre gli altri sono interpretazioni di brani famosi.
Laura Pausini  partecipa ai concorsi canori nella sua regione e, nel 1991 partecipa al Festival di Castrocaro, dove non vince, ma fà un'esperienza che le servirà, un paio di anni dopo, quando partecipa al Festival di Sanremo, Sezione Nuove Proposte, con il brano "La Solitudine" che si classifica al Primo posto.
Il successo arriva improvviso: l'album che registra dopo l'affermazione al Festival con il titolo "Laura Pausini" include "Mi rubi l'anima", cantata in duetto con Raf resta in classifica, fra le prime 10 posizioni, per un anno intero in Italia.
Al Festival di Sanremo dell'anno dopo concorre nella Sezione Big con il brano "Strani Amori" e si classifica al terzo posto, ma il successo della Pausini non ha battute di arresto.
Pubblica in Italia l'album "Laura" e l'album "Laura Pausini" in spagnolo, con il meglio dei primi due album italiani.
Il successo ottenuto in Spagna spinge Laura Pausini a rivolgersi con particolare attenzione al mercato internazionale e registra l'album "Laura Pausini", per il mercato inglese.
Tutti gli anni '90 sono piene di successi, premi e riconoscimenti in Italia, Spagna ed America. In Brasile diventa la cantante italiana più popolare.
Laura Pausini fà il suo primo tour mondiale "Laura Pausini - World Wide Tour '97"ed è invitata a cantare al Concerto di Natale alla presenza di Papa Giovanni Paolo II.
I maggiori parolieri e musicisti scrivono canzoni per lei che partecipa al "Pavarotti & Friends", cantando da sola "One more time" e in coppia con il maestro
 Luciano Pavarotti "Tu che m'hai preso il cor".
Anche la "Video Collection" in VHS che contiene tutti i video-clip  realizzati dalla Pausini, hanno un grande successo.
Negli anni dopo il 2000, il nome di Laura Pausini è sempre più spesso accanto a quello dei VIP mondiali. nelle esibizioni più esclusive:  canta in occasione della consegna dei Premi Nobel a Oslo; a Los Angeles nel concerto di beneficenza per le famiglie dei pompieri scomparsi nella strage dell'11 settembre a New York con Kevin Spacey e Alejandro Sanz.
Laura Pausini duetta alla pari con  con Céline Dion, Mariah Carey, Gloria Estefan, Ricky Martin, Alejandro Sanz e Shakira in "Todo para ti", canzone scritta e interpretata da Michael Jackson per le famiglie delle vittime dell'11 settembre.
Il successo non ha allontanato Laura dalla gente meno fortunata di lei che è attiva in molte opere benefiche ed ha adottato parecchi bambini delle favelas brasiliane. In questa terra si è proposta più volte con concerti meravigliosi.
Famosi cantanti scrivono brani per lei come Biagio Antonacci con "Vivimi", Vasco Rossi con "Benedetta Passione" e "Mi abbandono a te" scritto da Madonna.

In questo videoclip di 9 minuti i migliori momenti del tour 2009 in Brasile
http://youtu.be/9kzcOg1CrXE





venerdì 9 novembre 2012

SCULTORI ITALIANI: LE MERAVIGLIE DEL '900



In Italia il rinnovamento della scultura diede risultati notevoli nel XX secolo, dopo le esperienze impressioniste di Medardo Rosso e quelle futuriste di Umberto Boccioni (nella foto la sua opera più famosa: Forme uniche della continuità nello spazio)
 Tralasciando artisti ancora legati alla scuola del vecchio realismo, come Evaristo Boncinelli (1883-1948) e Angelo Zanelli (1879-1942), autore del grande fregio del Vittoriano a Roma, un posto a parte occupa la figura di Adolfo Wildt (1868-1931), vero virtuoso del marmo nelle sue composizioni grevi di suggestioni simboliche (Trilogia, Milano, Villa reale; la Concezione, Milano, Museo della scienza e della tecnica) e vibranti di trasparenze floreali, come nei metafisici ed esangui ritratti. Toccato dalle esperienze futuriste di Boccioni fu Roberto Melli (Signora dal cappello nero, Roma, Galleria nazionale d'arte moderna), mentre notevoli influenze francesi sono rintracciabili nell'opera liberamente tradizionale di Libero Andreotti (1875-1933). Nell'ambito del rinnovato classicismo si espressero Romano Romanelli (1882-1968), autore di monumenti e notevoli ritratti, e ancora Alfredo Biagini (1886-1952), Arturo Dazzi, Italo Griselli, Attilio Selva.
Ben altra importanza assume nella prima metà del secolo la personalità di Arturo Martini (1889-1947), creatore inesauribile e virtuoso di ogni tipo di materiale, dalla creta al legno, alla pietra, al bronzo. Narratore di vena sempre fresca, sembra talvolta riscoprire antichi mondi mediterranei (La lupa, Vado Ligure, Casa Martini; La sete, Milano, Galleria d'arte moderna), mentre altre volte si rifugia in una lirica intimità nei deliziosi bozzetti in terracotta (Gli acrobati, Intra, Collezione Rosmini; Attesa, Vado Ligure, Casa Martini; Chiaro di luna, Anversa, Museo di scultura) e nei sensibili ritratti.
Mentre la produzione di Martini appare dunque varia e imprevedibile, quella di Marino Marini (1901-1980) appare concentrata quasi esclusivamente su un unico tema, quello del Cavallo e del Cavaliere (New York, Museo d'arte moderna; Milano, Collezione Jucker; Rotterdam, Museo Boymans; Dusseldorf Kunstmuseum). Sono figure e gruppi che hanno la forza e il fascino di prodotti di antichissime civiltà, nei quali si ravvisano reminiscenze etrusche e romaniche, eppure risultano di straordinaria modernità per il supremo dominio dello spazio e la superba astrazione formale.
Temperamento più lirico e delicato è quello di Francesco Messina (1900-1995  nella foto il suo cavallo morente),  tecnico eccezionale, che si pone quale ultimo erede della tradizione classica del Rinascimento nelle sue delicate figure in terracotta o in bronzo (Beatrice, Milano, Collezione privata) e nei pacati e sereni ritratti. Giacomo Manzù (1908-1991) sembra ricollegarsi inizialmente agli ultimi risultati dell'impressionismo del Rosso, ma il luminoso lirismo delle prime opere viene ben presto superato in virtù di un plasticismo più contenuto e severo e di una maggiore sintesi formale (Bambina sulla sedia, Milano, Raccolta privata d'arte moderna; Cardinale, Roma, Galleria nazionale d'arte moderna). Una vivissima partecipazione umana anima tutte le opere di Manzù, i sensibilissimi ritratti, le affascinanti figure femminili, come pure i rilievi con Crocifissioni e Deposizioni raccolte e dolenti, nei quali l'artista dispiega tutte le sue qualità di bronzista eccezionale nella trattazione pittorica dei volumi e della luce. Questi caratteri della scultura di Manzù appaiono veramente sublimati in quello che è forse il suo capolavoro, la porta laterale in bronzo della basilica di San Pietro a Roma (porta della Morte, 1962), e in quella del duomo di Rotterdam (1968).
Ancora figurativo, Emilio Greco (1913-1995) ha creato eleganti figure, soprattutto femminili, dall'espressione talora ambigua e inquietante, con una tecnica sempre raffinatissima (Anna, Milano, Galleria d'arte moderna).
Una passionale foga espressionista prevale chiaramente nelle opere del primo periodo figurativo di Mirko Basaldella (1910-1969, David, Roma, Galleria nazionale d'arte moderna), passato poi all'astrattismo, senza nulla perdere però della violenza formale che lo contraddistingue (cancellata per le Fosse Ardeatine; nella foto Linee forze nello spazio 1953).

In Italia l'affermazione dell'astrattismo nella scultura fu lenta e progressiva, e molti artisti oscillarono a lungo tra figurativo e astrazione. Questa situazione è evidente nelle opere diMarcello Mascherini (1906-1983), di Pericle Fazzini (1913-1987), di Luigi Broggini (1908-1983),
Il vero inizio dell'astrattismo in Italia può però datarsi 1930 quando Lucio Fontana tenne a Milano la sua prima "personale" di scultura astratta; mentre forme sempre più semplificate e pure sono create da Alberto Viani (1906-1986), memore dell'esempio di Arp, in marmi di eccezionale purezza, ove il ricordo dell'archetipo umano si stempera in curve fluide e superfici luminose (Cariatide, Venezia, Ca' Pesaro). Gli esseri reali di Agenore Fabbri (1911-1998) sono snaturati e drammatizzati dalla trattazione a piani aguzzi e spezzati, di una crudele spigolosità (L'uomo di Hiroshima, Venezia, Ca' Pesaro), ma il passo decisivo sulla via dell'astrattismo è compiuto da Umberto Mastroianni (1910-1998; Il cavaliere alato, Torino, Galleria d'arte moderna), la cui visione libera nello spazio è pienamente nuova e originale; da Luciano Minguzzi (1911-2004) con le sue fragili composizioni di fili di metallo (Pas de quatre, Milano, Collezione privata) ; da Francesco Somaini (1926-2005) e da Umberto Milani (1912-1969). Tra i risultati più apprezzabili di questa tendenza sono da annoverare le opere di Pietro Cascella (nato nel 1920), geometrici incastri di ruvida pietra, di primordiale risonanza; quelle di Pietro Consagra (1920-2005), che anima di improvvise lacerazioni le sue composizioni di sottili lastre metalliche; e infine quelle dei fratelli Arnaldo Pomodoro (nato nel 1926) e Gio' Pomodoro (1930-2002) , creatori di un nuovo linguaggio in rilievi palpitanti di sottili corrispondenze tra i minuti elementi geometrici che li compongono (Terra e sole, Torino, Galleria d'arte moderna; Colonna del viaggiatore, Collezione Nelson A. Rockefeller).

Un ulteriore allargamento del ventaglio dei materiali della scultura si registra nella seconda metà del Novecento. Nei primi anni Sessanta i minimalisti utilizzano elementi modulari e per lo più di asettica produzione industriale privi di qualsiasi contenuto specifico; essi lavorano sul ritmo o su variazioni iterate della struttura modulare di base rifiutando qualsiasi interiorità ed emotività della forma scultorea, allontanando ogni espressione individuale e gusto della piacevolezza a vantaggio dell'essenzialità esecutiva.
Un'estrema libertà di sperimentazione materica si ritrova nell'ambito variegato dell'Arte Povera e dell'arte concettuale. Negli anni Sessanta Pino Pascali realizza Bachi da setola con spazzoloni colorati. Nella Venere degli stracci (1967) Michelangelo Pistoletto contrappone alla Venere classica, proposta in una banale copia in gesso collocata di spalle, una montagna disordinata di stoffe e stracci. Con una serie di palle di cemento disposte per terra Alighiero Boetti compone il suo autoritratto: lo che prendo il sole a Torino il 19 gennaio 1969. Mario Merz, crea i suoi celebri Igloo in terra, vetro e tubi fluorescenti; Gilberto Zorio, realizza opere in ghiaccio colorato chimicamente, o impresse sul cuoio;Jannis Kounellis (di origine greca, ma da anni residente in Italia), realizza grandi sculture in ferro e carbone, o in piombo; Giuseppe Penone, con i suoi tronchi sezionati e pazientemente lavorati rende evidente la struttura dei condotti linfatici.

Negli ultimi decenni del Novecento si è assistito anche al riemergere di tendenze espressionistiche, con le opere di artisti come Mimmo Paladino, membro del gruppo della Transavanguardia (nella foto: i dormienti).









Tra le altre importanti personalità del Novecento ricordiamo: