OLTRE ALLA CUCINA, IL VINO, I PITTORI, I MUSICISTI, GLI SCRITTORI I SANTI E I NAVIGATORI, L'ITALIA E' CONOSCIUTA NEL MONDO, ANCHE PER LA MODA.
FAMOSI STILISTI COME ARMANI, VALENTINO, MOSCHINO, VERSACE, GUCCI, DOLCE & GABBANA E TANTI ALTRI, HANNO LEGATO I LORO MARCHI AL SUCCESSO INTERNAZIONALE. LA MODA FA PARTE INTEGRANTE, QUINDI, DELLA CULTURA ITALIANA
VEDIAMO COME E' NATA...
Tutto ha inizio nel 1949 quando, tornata finalmente la libertà, in
Italia riaprono tutti i negozi e gli italiani, sentendo l’esigenza di cambiare
per poter dimenticare, cercano di farlo a partire dall’abbigliamento. Il 27
gennaio nella basilica di Santa Francesca a Roma, avviene quello che i più
ritenevano il matrimonio del secolo, quello tra Linda Christian e Tyrone Power.
Quel giorno la moda italiana conquistò il mondo: il vestito della sposa era
stato realizzato dalla boutique delle sorelle Fontana. Le numerose tv e i
giornali esteri che parteciparono fecero notevole pubblicità all'evento mondano
e allo stile italiano.
Fu l’inizio di un grande amore che continua tutt’ora: la moda italiana e
il mondo.
La ricostruzione postbellica del nostro paese fu permessa soprattutto grazie al
piano Marshall varato nel 1947 e agli aiuti finanziari americani diretti alle
industrie per un totale di 125 milioni di dollari. Per quanto riguarda il
tessile furono inviate all’Italia 34.000 tonnellate di cotone grezzo, ma per
consentire la completa apertura delle fabbriche, il governo fu costretto a
importarne altre 50.000, mentre i privati ne comprarono altre 170.000.
L’Italia comunque si trovava a dover competere con veri colossi fuori dai suoi
confini, inizia quindi a importare conoscenze e macchinari, e sull’onda della
rinascita economica dà vita a grandi imprese. Secondo la stilista Micol Fontana
furono proprio le donne a dare un forte impulso alla rinascita dopo la guerra,
in quanto erano fortemente determinate a far rivivere il settore tessile, che
proprio in quegli anni venne inglobato da quello della moda.
Erano gli anni in cui gli americani presero possesso di Cinecittà. Il cinema da
quel momento portò molto lavoro alle sarte, in particolar modo alle sorelle
Fontana che lavoravano soprattutto per l’aristocrazia romana, ma anche ai nuovi
stilisti nascenti quali: Emilio Federico Schubert, Valentino, Roberto Cappucci,
Iole Veneziani, Biki, Germana Marucelli. Molti sarti poi venivano dalle
campagne o da altre città verso Roma e Milano, dove nacquero le sartorie di
Fonticoli, Fonda, Brioni, Litrico, Tritapepe, Cavaliere.
Le botteghe coincidevano spesso con la casa. Il primo atelier Fontana era in
via Emilia, una traversa di via Veneto, era lì che ricevevano i registi e gli
attori famosi. Nonostante i passi avanti della moderna industria tessile, la
maggior parte degli italiani continuava però a farsi fare i vestiti in
sartoria. I meno ricchi poi indossano vestiti fatti in casa: quasi in ogni
abitazione, infatti, c’era una macchina per cucine e qualcuno che la sapesse
usare. L’abbigliamento era un bene che passava di mano in mano: riadattato e
rimodellato per essere indossato nuovamente. Non si può parlare quindi ancora
di un’industrializzazione massiccia. Però l’Italia scopre il fascino dell’alta
moda e il boom degli anni ’50 le permette di andare in competizione con paesi
come la Francia, da sempre il leader del settore.
Il primo défilé collettivo al quale si fa risalire la nascita della moda
italiana è avvenuto a Firenze: il marchese Giovanni Battista Giorgini, il 12
febbraio 1951 organizzò nella sua casa fiorentina in via dei Serragli, il
"First Italian High Fashion Show". Alla base di questo evento ci fu
una grande intuizione: riuscì a convincere i presidenti dei magazzini americani
a venire a Firenze il giorno dopo le sfilate di Parigi. Mise insieme dieci
stilisti con diciotto modelli a testa, tra i partecipanti ci furono le sorelle
Fontana, Emilio Schubert, la casa di moda Fabiani, Noverasco, Veneziani, e
anche Germana Marucelli, anticipatrice del new look di Christian Dior.
Anche per Giorgini fu un momento estremamente emozionante: “ero in un angolo
della sala col cuore in gola per questi compratori, questi esperti di moda che
venivano da Parigi, avevano appena visto tutte le collezioni di Parigi e non
potevo vedere dalle loro espressioni se questa collezione piaceva o non
piaceva. Terminata la sfilata mi avvicinai per sapere la loro reazione:
entusiasti. Questo gruppo di cinque compratori tornarono in america con tale
entusiasmo che quando feci la seconda sfilata vennero dall’america in 300!”
Fu un successo formidabile quindi e in seguito, per le sfilate successive, il
comune di Firenze, con un’idea illuminata, permise l’utilizzo di Palazzo
Strozzi prima e Palazzo Pitti poi, dove nacque la famosa sala bianca. Le
sfilate erano ben congegnate, emozionanti: la passerella era sempre la stessa, era
lo stile del sarto a cambiare.
Il grande boom
Il fenomeno commerciale della moda non esisteva prima delle sfilate di
Giorgini, le case di alta moda, infatti, vendevano solo ai privati. L’esempio
più importante di impresa che si costituisce negli anni successivi alla seconda
guerra mondiale è rappresentato dal gruppo GFT (Gruppo Finanziario tessile).
Nato prima della guerra, negli anni ‘50 subiva uno scontro interno tra la
vecchia generazione e la nuova che vedeva nel prodotto confezionato grandi possibilità
di crescita. Furono i giovani ad avere la meglio e grazie a Giorgio Rivetti
presero una serie di iniziative per unificare il mercato italiano della
distribuzione e produzione del prodotto confezionato. I prodotti venivano
distribuiti nei Magazzini Marus (magazzini, ragazzi, uomini e signore) e,
compiendo la più grande operazione di rilevazione antropologica della
popolazione italiana dopo quella dell’esercito, la GFT creò il sistema delle
taglie. Fu un passo straordinario che venne accompagnato dalla politica del
prezzo imposto. Il gruppo torinese Gft (Gruppo Finanziario Tessile),
controllato dalla holding Hdp, chiuderà in via definitiva nel febbraio 2003,
cedendo i marchi Facis, Valentino e Sahzà.
Intanto dal ’58 al ’63 il grande boom fece aumentare i consumi del 5%. Solo nel
1958 vennero prodotti 300.000 televisori, 369.000 automobili, 700.000 radio, e
ci fu un aumento del 10% degli elettrodomestici sul mercato. L’esportazione
passò da un passivo di 187 miliardi, a un attivo di 124,3 miliardi. Il miracolo
economico però nascondeva anche delle ombre: in quegli anni il fenomeno
dell’emigrazione dalle campagne alle città e dal sud al nord era altissimo, gli
immigrati nel solo settentrione furono 300.000.
Quindi proprio mentre cresceva l’industri tessile, la domanda si spostava verso
altri mercati, ma questo non proibì a molti stilisti di creare l’alta moda
pronta, ovvero il prodotto di alta moda confezionato ad hoc per essere fruibile
non solo da un’elite. Il primo a intraprendere questa strada fu lo stilista
francese Pierre Cardin, ma ben presto molti atelier seguirono questa idea
innovativa. Nasce così il prêt-à-porter italiano. Le boutique più importanti
iniziarono a vendere non più abiti su misura ma confezionati in taglie,
adattabili quindi a tutti i clienti e a costi più bassi. La qualità dei vestiti
era comunque molto alta, grazie anche ai materiali usati: venivano utilizzate
infatti stoffe pregiate, seconde solamente a quelle inglesi.
È in questo periodo, in questo meccanismo commerciale, che si sviluppa il nuovo
settore pubblicitario che porta alla nascita dell’editoria specializzata in
moda.
Gli anni ’60 e ’70, si afferma il Made in Italy
La modella Mirella Pettini ricorda questi anni come anni meravigliosi, in cui
il rapporto con gli stilisti emergenti come Valentino e Armani erano molto
validi perché si era ancora in pochi e gli stilisti si occupavano direttamente
anche della pubblicità. Le modelle erano diverse da quelle di oggi, si
truccavano e pettinavano da sole, inoltre non c’erano competizione tra di loro
in quanto tutte cercavano di mantenere la propria personalità, di avere il
proprio stile. Il gruppo moda, in qualche modo, era un gruppo di amici.
Alla fine degli anni ‘60 la contestazione politica coinvolse anche il mondo
della moda. La rottura col passato divenne evidente, soprattutto tra i giovani.
Nacquero movimenti come gli yuppie che rivoluzionarono completamente il modo di
essere e di apparire. La stilista londinese Mary Quant ha individuato nella
minigonna il simbolo della moda di quegli anni. La minigonna infatti voleva
dire giovinezza, libertà, movimento. Improvvisamente le donne ebbero infatti la
gioia di godere del loro vestito, senza dargli troppa importanza.
Il ’68 investe anche l’Italia e negli anni ’70 gli operai iniziarono una serie
di scioperi e di occupazioni delle fabbriche. La stilista Micol Fontana non
ricorda affatto bene quegli anni in cui a causa di scioperi proprio nei giorni
precedenti alle sfilate spesso non fecero in tempo a spedire le collezioni e
furono costrette quindi a chiudere la loro fabbrica ai Castelli.
Nonostante l’ammodernamento i modelli di produzione tessile entrarono però in
crisi e ci furono profonde modifiche a livello mondiale nell’organizzazione
della produzione. Molti paesi superarono questa crisi decentrando la
produzione: gli Usa nelle aree satellite del Centro America, la Francia
nell’Africa del nord, la Germania nell’Est europeo. Ma l’Italia non aveva aree
satellite e così fu costretta a ripiegare proprio nella struttura interna industriale
la quale da quel momento presentò una specifica peculiarità: uno dei pilastri
portanti era rappresentato dal sistema diffusissimo delle piccole e medie
imprese.
Fu una soluzione straordinaria, in quanto portò innovazione nella produzione
grazie alla flessibilità, ovvero alla capacità di cambiare rapidamente il
genere produttivo. Artefice di questa idea fu Marco Olivetti il quale
rivitalizzò l’industria tessile grazie al rapporto instaurato con gli stilisti
e in particolare con Giorgio Armani. Allenza tra stilismo e industria e quindi
tra creatività e imprenditoria, segna così la nascita del Made in Italy. È
proprio grazie all’incontro e alla collaborazione tra questi due mondi così
diversi che, negli ultimi 20 anni del 900, si è affermata la moda italiana nel
mondo.
L’impero delle grandi firme italiane
Negli anni ‘70 il rapporto tra stilismo e industria assunse connotati
particolari, si istaurarono i primi licencing, ovvero i primi rapporti
di licenza del marchio. Questi prevedevano l’esclusione dell’impresa dalle
scelte stilistiche del marchio e, di contro, l’esclusione dello stilista dalle
scelte produttive dello stilista. Così da prime donne autonome e inavvicinabili
gli stilisti si trovano a fondere, in modo ancora più netto, la loro arte con
il sistema della produzione industriale.
Il 24 luglio 1975 nasce la Giorgio Armani spa, viene lanciata una linea di
"prêt-à-porter" maschile e femminile, nascono undici nuovi punti
vendita e lo stilista firma il suo primo contratto con la GFT. Nel 1981 fa un
nuovo balzo in avanti: presenta il suo primo profumo, apre negozi in tutto il
mondo e il suo nome diventa ufficialmente la firma di un grande marchio
mondiale.
Tra i grandi nomi italiani nel mondo si fa strada anche quello di Valentino
Clemente Ludovico Caravani, in arte Valentino. Dopo aver lavorato per anni
nella sartoria di Guy la Roche, capì che la sua strada era la moda e così, con
l’aiuto finanziario del padre, aprì un atelier in via Condotti, la via più “in”
di Roma in quegli anni. Il 19 luglio del 1962 il marchese Giorgini gli concede
l’ultima ora dell’ultimo giorno alla sfilata di Palazzo Pitti: i suoi vestiti
riscuotono un successo strepitoso tra i buyer americani e Vogue Francia dedica,
per la prima volta, ben due pagine al nuovo stilista italiano. È nata una
stella: all’inizio degli anni ‘70 è famoso in tutto il mondo, Andy Warhol gli
fa un ritratto, e alla fine di quel decennio anche lui allarga il suo nome e
stile ad altri prodotti come profumi e accessori. A metà degli ‘80 viene insignito
dal presidente Pertini dell’”onorificenza di grande ufficiale dell’ordine al
merito della Repubblica italiana”. Nonostante il suo nome sia legato ai
prodotti più disparati, tra cui le piastrelle d’arredamento, Valentino non si è
mai sentito mercificato perché per lui la creazione risiede in tutto.
Laura Biagiotti ricorda che a Milano con Albini, Missoni, Krizia (che ha
inventato l’italian style) e successivamente Armani e Ferrè avevano creato un
gruppo, una forza (anche grazie a Beppe Modenese), per presentare sulle
passerelle un prodotto che fosse più aderente alla realtà. Sarà proprio lei la
prima ad affrontare nuovi mercati e ad andare in Cina nell’88, e poi, dopo la
caduta del muro, a Mosca nel grande teatro del Cremlino. Nascono così molte
joint venture e collezioni di seconda linea più commerciali. Sarà Luciano
Soprani a diventare in quegli anni il più grande stilista industriale italiano.
Quando gli stilisti decisero di estendere il proprio marchio agli accessori,
venne consacrato l’impero della moda italiana nel mondo. Questo fenomeno,
infatti, inizialmente era un fenomeno prettamente italiano, solo
successivamente venne copiato anche all’estero. Fu una grande boccata di
ossigeno per la moda perché le signore e i signori capirono che il complemento
era fondamentale per rendere bello un abito, per creare un look speciale. Il
mercato si allargò ulteriormente, divenne globale.
Secondo Micol Fontana, ormai la moda poteva vendere anche le noccioline,
proprio perché tutto faceva moda. E La moda lanciava tutto.
Oggi
La moda italiana al momento è uno dei settori dell’export più in salute, dopo
la crisi internazionale post 2001, chiuderà i bilanci 2006 con il 3% in più. I
tassi di crescita maggiori sono stati riscontrati in Cina e in Russia. Il Made
in Italy viene da molto lontano: è il frutto di una lunga e fertile
cooperazione e “cross fertilisation” tra cultura, arte, artigianato, abilità
manifatturiera, territorio e memorie storiche. È grazie a ciò che negli anni
l’industria della moda italiana ha costruito la più importante filiera
d’occidente, e per quanto i Cinesi cercheranno di copiarla facendo una spietata
concorrenza, non riusciranno a raggiungere i suoi stessi obiettivi.
L’Italia infatti ha un sistema integrato, un distretto della moda, fortissimo,
proprio perché ha radici lontane. Nella sua storia annovera indubbiamente
tantissimi talenti individuali, ma questo successo è dato soprattutto dalla
flessibilità di poter creare i propri tessuti, le proprie stampe, di poter
avere degli accessori in linea con lo stile della collezione, e questo proprio
grazie al fatto che dal filato alla tessitura, dalla tintura al taglio, alla
confezione, e a tutto il mondo degli accessori, il prodotto è tutto Made in
Italy.
Quindi, sebbene il modello italiano ormai sia diventato riproducibile ed è
chiaro che l’industria della moda non può vivere solo del vantaggio
competitivo, è anche vero che il nostro sistema ha in seno qualcosa di
inimitabile, unico e raro: quelle che gli storici chiamano “le risorse intangibili”,
cioè quell’insieme di conoscenze, competenze, rapporti che le imprese hanno
sviluppato e creato nel tempo, quel connubio tra creatività e tecnologia che i
mercati non posseggono e che quindi costituiscono il vero patrimonio
dell’impresa.